ALLE FONTI DEL VAMPIRO MODERNO / 2

La vampira di Kipling

Per un trentennio il mondo anglosassone, e non solo, fu attraversato da quella che si definì “vampire craze”, una vera e propria “mania per i vampiri” (o meglio per le vampire), avviata nel 1897 con il quadro e la poesia The Vampire per poi passare il testimone, nel 1927, alla passione per Dracula grazie a Bela Lugosi.

Come abbiamo visto nell’articolo precedente, l’inizio della saga di The Vampire (imperniata su una donna che porta sventura e distruzione ai maschi, preferibilmente benestanti e sposati) è avvenuto con il quadro di Philip Burne-Jones. Ma quella vampira vittoriana dipinta forse non avrebbe avuto successo per decenni se non fosse stata accompagnata dalla poesia scritta per l’occasione dall’autore del Libro della giungla, Rudyard Kipling. È uno dei primi esempi di vampiro multimediale che attraversa differenti mezzi di comunicazione e di espressione: un quadro, una poesia, poi un testo teatrale, un romanzo, diversi film, balletti.

Le loro madri erano sorelle, quindi Kipling e Burne-Jones si erano frequentati fin da bambini e per un periodo, in età adulta, furono legati da stretta amicizia. Ci si è chiesti se per The Vampire Burne-Jones si sia ispirato alla poesia di Kipling o viceversa. Stando alle sue dichiarazioni, in occasione dell’intervista che rilasciò a “The Argus” nel 1898, il pittore aveva avuto in mente il soggetto di The Vampire per molti anni e pare ormai certo che Kipling scrisse la poesia solo dopo aver visto il quadro del cugino, per aiutarlo a lanciare la sua opera.

Due cartoline postali con la riproduzione del quadro di Burne Jones e la poesia di Kipling

La prima apparizione in forma stampata della poesia è perciò affidata alla pagina 8 nel catalogo per la mostra della New Gallery, dove il quadro era esposto come opera n. 15. Il padre di Philip, il pittore Edward Burne-Jones, sapeva che Kipling, su richiesta del cugino, aveva scritto una poesia per quel catalogo. Andrew Lycett (in Rudyard Kipling, Weidenfeld & Nicolson, London 1999) cita un ricordo dell’assistente personale dell’artista, Thomas Rooke, che il 19 aprile 1897 discusse del quadro e della poesia The Vampire con il grande pittore preraffaellita. Secondo Edward Burne-Jones, “la poesia di Ruddy sul quadro di Phil” era talmente lunga che il catalogo sarebbe stato occupato quasi tutto da quel testo. In realtà la poesia era piuttosto breve, ma di certo focalizzò l’attenzione di pubblico e critica su quell’unico quadro, a detrimento delle altre opere esposte compresi dipinti di John Singer Sargent e dello stesso Edward Burne-Jones.

Questo il testo di The Vampire, in una traduzione rielaborata da Vampirismus. Gotico e fantastico nel mito del vampiro (Alfamedia, Roma 1986):

C’era un folle e diceva le preghiere
(proprio come te e me!)
per uno straccio, un osso e una matassa di capelli
(la chiamavamo la donna che di nulla si cura)
ma il folle la chiamava la sua bella signora
(proprio come te e me!)

Oh, gli anni sprecati e le lacrime sprecate
e il lavoro della nostra mente e della nostra mano
appartengono alla donna che non sapeva
(e ora sappiamo che non avrebbe mai potuto sapere )
e che non capiva.

C’era un folle e spese i suoi beni
(proprio come te e me!)
l’onore e l’onestà e un vero ardore
(e non era quello che la signora voleva)
ma un folle deve seguire la sua inclinazione naturale
(proprio come te e me!)

Oh, le energie che abbiamo perso e i guadagni che abbiamo perso
e le grandi cose che progettavamo
appartengono alla donna che non sapeva perché
(e ora sappiamo che non avrebbe mai saputo perché)
e non capiva!

Il folle fu spogliato sino all’osso
(proprio come te e me!)
e lei poteva accorgersene quando lo gettò via
(ma non risulta che la signora abbia provato ad accorgersene)
al punto che un poco di lui visse, ma il più di lui morì
(proprio come te e me!)

E non è la vergogna e non è la colpa
che morde come un tizzone incandescente.
Ma venire a sapere che lei mai seppe perché
(vedendo, alla fine, che lei mai avrebbe potuto sapere perché)
e mai avrebbe capito.

Un’edizione americana di The Vampire del 1898

La coincidenza temporale tra la poesia di Kipling e la pubblicazione del romanzo Dracula di Bram Stoker (il 17 aprile 1897 la prima, il 26 maggio il secondo) avviò un interesse inusitato per i vampiri alla fine del secolo e per i decenni successivi. Ma in quel periodo a influenzare il senso comune e persino il linguaggio non fu Dracula, ma The Vampire. Un decennio dopo, la parola “vampire” era associata correntemente solo al vampirismo parassitario indicato da Kipling e Burne-Jones e agli esotici pipistrelli mostrati nelle fiere che si diceva succhiassero il sangue, tanto che “The New York Times” (5 marzo 1899) scriveva: “La gente oggi usa con noncuranza la parola ‘vampiro’ come termine più forte e un po’ più spregevole di ‘parassita’… Probabilmente poche persone sanno cos’è un vero vampiro”. E il quotidiano si sentiva in dovere di spiegare che i vampiri risalgono alle credenze popolari sui morti che tornano dalla tomba e si cibano del sangue dei viventi (sostenendo del tutto fantasiosamente che “questa superstizione era prevalente nel sud Italia mezzo secolo fa”). Dracula quindi non aveva lasciato il segno sui lettori di quegli anni con il suo vampiro soprannaturale, ed erano momentaneamente dimenticati The Vampyre di John Polidori (1819) e Carmilla di Joseph Sheridan Le Fanu (1872): a conclusione del secolo era The Vampire a imporre la concezione realistica del vampirismo, un vampirismo “psicologico”, “spirituale” e soprattutto femminile, solo metaforicamente associato alle antiche credenze sui nonmorti.

È significativo che nel 1914 Ernst Havekost, in una sua pionieristica dissertazione di dottorato sulla leggenda dei vampiri in Inghilterra (Die Vampirsage in England, Facoltà di filosofia dell’Università di Halle-Wittenberg), citi Dracula solo come titolo, in un elenco di “opere minori” sul vampirismo, a testimonianza della inferiore notorietà del libro di Stoker, nei primi due decenni del Novecento, rispetto alla poesia di Kipling, riportata integralmente nella dissertazione.

Resta comunque importante e singolare che le due opere, Dracula e The Vampire, avessero fatto la loro comparsa a poche settimana di distanza l’una dall’altra. Entrambi accesi sostenitori dell’imperialismo britannico, Kipling e Stoker si conoscevano bene e si frequentavano almeno dal 1889, dato che il Lyceum Theatre di Irving era un crocevia per incontri tra intellettuali.

Il 3 febbraio 1892, Rudyard Kipling prende un treno con la moglie Caroline per recarsi a Liverpool e iniziare un viaggio di nozze negli Stati Uniti. Alla stazione, scrittori ed editori li salutano. C’era Henry James, ma c’era anche Bram Stoker. Secondo Jimmie E. Cain l’episodio dimostrerebbe “gli stretti rapporti tra Stoker e Kipling” (Bram Stoker, Geopolitics, and War in Bram Stoker and the Late Victorian World, a cura di Matthew Gibson e Sabine Lenore Müller, Clemson University Press, Clemson 2018).

Comunque, nella primavera del 1897 mentre Stoker era ancora intento a correggere le bozze di Dracula, Kipling aveva già scritto The Vampire. Charles Carrington (Rudyard Kipling: His Life and Work, Macmillan, London 1978) sostiene che Kipling non aveva preso sul serio quella poesia, non vi aveva messo nulla di se stesso e la considerava “un pezzo occasionale, un favore per il cugino Phil: niente di più”. Ciò sarebbe confermato dal fatto che Kipling non tutelò la proprietà del suo testo consentendo, come vedremo, il diffondersi incontrollato della poesia The Vampire su giornali e pubblicazioni “pirata”.

L’edizione Mansfield (1898) e Street & Smith (1899), entrambe di New York

Appena la poesia di Kipling compare sul catalogo per la mostra alla New Gallery è immediatamente pubblicata integralmente dai giornali. Parte il “Daily Mail”, contemporaneamente all’apertura della mostra, seguito da svariati quotidiani e riviste. Anche la stampa americana veicola la poesia (“New York Tribune” il 9 maggio 1897, “Buffalo Evening News” il 10 maggio, poi molti altri).

The Vampire visse poi un grande ritorno di popolarità tra il 1902 e il 1903, in coincidenza del tour americano di Philip Burne-Jones e della relativa esposizione del quadro The Vampire nelle gallerie degli Stati Uniti. Nel soggiorno americano del pittore i giornali parlarono spesso di lui e immancabilmente della poesia di Kipling, ristampata più volte. In quel contesto la poesia subì anche una piccola modifica: sul “Record-Herald” cambiarono nella prima strofa il termine “hank” (matassa), che sembrava poco appropriato riferito ai capelli, in “hunk”, dal significato simile, ma più spesso usato per definire un ammasso di capelli.

Tre citazioni dalla poesia di Kipling diventarono luogo comune, innumerevoli volte riproposte. Si tratta dell’incipit “A fool there was” (C’era un folle), della descrizione della donna-vampiro come “a rag and a bone and a hank of hair” (uno straccio, un osso e una matassa di capelli) e “the woman who did not care” (la donna che di nulla si curava), di “But the fool he called her his lady fair” (Ma il folle la chiamava la sua bella signora), oltre al ritornello “Even as you and I” (Proprio come te e me).

La poesia di Kipling affascinò i lettori perché vedevano rappresentata una paura e un’inquietudine molto diffusa alla fine del secolo: la donna non più passiva e sottomessa, ma capace di minacciare salute e beni dell’uomo.

Nella letteratura anglosassone la donna fatale aveva una lunga tradizione, che risale almeno alla belle dame sans merci di John Keats, in bilico tra soprannaturale e naturale. Nella versione di Kipling, ancor più che nel quadro di Burne-Jones (dove la ferita sul petto dell’uomo potrebbe indicare il morso di una creatura fantastica succhiasangue), la “vampira” è ricondotta al realismo, a una vera donna senza nulla di soprannaturale, anzi diffusa e nota all’epoca quanto meno nelle fantasie maschili. “The Marion Enterprise” (10 luglio 1897) citava un articolo del “Louisville Courier-Journal” per spiegare il successo della poesia di Kipling: “Non si tratta di meriti letterari eccezionali. Semplicemente si tratta del coraggio di Kipling nel dare espressione a ciò che gli altri pensano, ma non osano dire. Quel tipo di donna è comune, sia se si voglia credere che esista davvero o che esista soltanto nell’immaginazione degli uomini”.

In The Vampire gli uomini sono ingannati dall’apparenza (a loro pareva una bellissima dama, ma era solo “uno straccio, un osso e una matassa di capelli”), si rovinano per lei (spendendo “energie” e “guadagni”), fin quasi a morirne, per poi scoprire che era una donna sventata e incapace di capire qualsiasi cosa. L’uomo della poesia prova quindi vergogna di se stesso e soffre della propria stupidità. Per quanto chiaramente dettata da una mentalità che oggi si definirebbe semplicisticamente “patriarcale”, la poesia di Kipling non è certo lusinghiera verso il maschio vittoriano, ridotto a uno stupido che cade nella trappola di una donna tanto fatale quanto superficiale (due interessanti analisi su questi aspetti sono in Anne Morey, Claudia Nelson, Phallus and Void in Kipling’s “The Vampire” and Its Progeny, “Frame”, novembre 2011; Janet Staiger, Bad Women: Regulating Sexuality in Early American Cinema, University of Minnesota Press, 1995).

Quando Kipling scrisse The Vampire, il suo matrimonio con la moglie americana Caroline era in crisi e il testo evidenzia un risentimento personale dell’autore verso il sesso femminile (lo scrittore, tra l’altro, aveva una predilezione per le donne dal carattere mascolino). Secondo alcuni, la misoginia di Kipling era dovuta all’infelice infatuazione adolescenziale per Florence Garrard, che lo respinse (Angus Wilson, The Strange Ride of Rudyard Kipling: His Life and Works, Secker & Warburg, London 1977), secondo altri alla presunta relazione segreta con l’attrice americana di vaudeville Lulu Glazer, nelle cui carte è stata trovata la poesia The Vampire con testi scritti a mano da Kipling stesso (J. Lawrence Mitchell, Rudyard Kipling, The Vampire, and the Actress, “English Literature in Transition 1880–1920”, n. 3, 2012).

Le opinioni di Kipling sulle donne, come anticipate da The Vampire, vennero poi rielaborate e confermate dalla sua poesia The Female of the Species (1911), rimasta celebre per le parole ripetute più volte “The female of the species is more deadly than the male” (La femmina di ogni specie è più letale del maschio).

Disegno ispirato al quadro di Burne-Jones dall’edizione Mansfield di The Vampire (1898)

The Vampire tornò sulle prime pagine dei giornali il 28 novembre 1911, in occasione di un infuocato processo per uxoricidio a Denver. Sul banco degli imputati c’era Gertrude Gibson Patterson, donna dalla “vita licenziosa”. Aveva sposato il giovane Charles Patterson, ma presto lui la sorprese in viaggio con l’amante, il ricco e anziano imprenditore Emil W. Strouss. Ne seguirono molte liti tra i coniugi, fino a che Charles fu ucciso da due colpi di pistola alla schiena. Gertrude prima disse che il marito si era suicidato, poi ammise il delitto affermando di essere stata picchiata e maltrattata. Al processo l’avvocato dell’accusa, Horace Benson, descrisse Gertrude come una donna avida, spietata e recitò in aula la prima strofa di The Vampire, aggiungendo dopo il verso “ma il folle la chiamava la sua bella signora” un drammatico “E lei gli sparò nella schiena” (And she shot him in the back). Nonostante l’oratoria dell’avvocato e la citazione di Kipling, la donna fu assolta grazie alla dubbia testimonianza di un passante che dichiarò di aver visto Charles picchiare la moglie in strada.

La popolarità di The Vampire prosegue per molti anni, rinvigorita dalle trasposizioni teatrali e cinematografiche. Ancora nel 1916 Francis Scott Fitzgerald, nel testo per una delle canzoni del musical Safety First!, cita la poesia di Kipling. La canzone lamenta che le ragazze della vita reale non assomiglino alle vamp del cinema e Fitzgerald scrive: “Perché non ne incontro qualcuna che non sia dolce, ma / si comporti piuttosto come le signore di Kipling?”. E per il pubblico americano il quadro e la poesia The Vampire continuarono a essere evocativi per molti anni, come dimostrano tra i tanti esempi due lunghi articoli sui vampiri di “American Weekly” nel 1927 (Mystery of the Vampire’s Bite) e del “Detroit Evening Times” il 19 ottobre 1941 (New Reason Why People Still Believe There Are“Vampires”) entrambi illustrati da una riproduzione del quadro di Burne-Jones e con riferimento alla poesia di Kipling.

Due edizioni newyorchesi: Grosset & Company (1898) e Dodge Publishing Co (1900)

Le parodie

Il successo popolare di The Vampire fu tale che quasi subito si pubblicarono parodie, con gran divertimento dei giornali, dove la poesia era riscritta in chiave umoristica o polemica. Ovviamente le prime reazioni satiriche furono da parte di donne, giustamente irritate dal ritratto della vampira mangiauomini e rovinafamiglie. Ne uscirono diverse soprattutto in America, sia scritte da uomini che da donne, caratterizzate dall’imitazione dello stile e dei versi di The Vampire, aperte spesso dalla scritta “Con scuse a Mr. Kipling” (With apologies to Mr. Kipling).

Le parodie iniziarono quasi immediatamente. Già il 27 maggio 1897 sul “Buffalo Evening News” appare una parodia di The Vampire che ironizza sul Kipling scrittore, ripresa dal settimanale “New York Press”, e il 5 agosto lo stesso quotidiano pubblica un dialogo satirico dove una signora rivendica che le donne non sono vampire, ma per la maggior parte “angeli”. Pochi giorni dopo il “San Francisco Examiner” e “The Evening Journal” (18 agosto 1897) stampano una breve parodia anonima che imita lo stile di The Vampire.

Le più popolari erano parodie che rovesciavano il punto di vista, facendo della donna la vittima di uomini spietati e ottusi. È il caso di The Vampire (From a woman’s point of view. With apologies to Rudyard Kipling) di Mary C. Low, apparsa su “The New York Bookman” (27 marzo 1899) e poi dalla rivista “The Academy” che la ristampa accanto all’originale (1 aprile 1899). Tutta virata al femminile, la poesia si apre con un rovesciamento delle parole iniziali di Kipling, trasformate in “A woman there was”, ed è l’uomo che non si prende cura di nulla e non capisce.

Le parodie di The Vampire sono state innumerevoli ed è impossibile citarle tutte. Tre parodie sono riportate da Robert Thurston Hopkins in un suo libro (Rudyard Kipling: ALiterary Appreciation, Simpkin, Marshall, Hamilton, Kent & Co., London 1915). Hopkins segnalava la “vasta circolazione” della parodia scritta da Felicia Blake dove al posto della vampira c’è un uomo egoista e maschilista (i giornali la ristamparono ancora nel 1919), mentre T.W.H. Crosland nel 1899 sostituiva la vampira con “il pubblico che non compra poesie”. Hopkins citava infine i versi di The Vampire riscritti dal poeta James Douglas per polemizzare con Kipling intorno alla presunta “stupidità” dell’uomo di fronte alla donna-vampiro. Per inciso, Robert Thurston Hopkins si intendeva di vampiri: scrittore e “cacciatore di fantasmi”, è stato autore di The Vampire of Woolpit Grange (1938), racconto ispirato alla leggenda di una strega che ritorna dalla tomba.

Le parodie riprendono vigore con l’esposizione americana del quadro di Burne-Jones. Così, “The Brooklyn Daily Eagle” l’11 febbraio 1902 ne pubblica una di Harvey E. Williams, comica riscrittura di The Vampire dedicata al rapporto tra uomini e automobili, con l’aggiunta di un “coro” alle strofe originali. Su “The Sunday Telegraph” del 2 marzo 1902 c’era invece una parodia di The Vampire scritta da John Joseph Beekman, incentrata sul divorzio. Il giornale nei giorni successivi riceve una lettera firmata da un certo R. Blount che risponde alla poesia di Beekman con un’altra parodia, come se si fosse sentito tirato in causa per le sue personali vicende familiari (“The Morning Telegraph”, 7 marzo 1902). Non pago, “The Sunday Telegraph” due giorni dopo dedica un’intera pagina a una vignetta che ironizza sul quadro di Burne-Jones (definito “il dipinto che i versi di Kipling e il press agent di Mrs. Patrick Campbell hanno reso famoso”) e a un’ennesima parodia della poesia di Kipling, questa volta intitolata The Umpire (L’arbitro), accompagnata da un testo satirico.

Parodie e vignette da “The Coolgardie Pioneer” (1898) e “The Sunday Telegraph” (1902)

La moda delle parodie di The Vampire arrivò anche in Australia. Il 18 marzo 1898 “The Euroa Advertiser” pubblica la poesia originale di Kipling e di seguito “The Woman Version”, firmata da Isobel Henderson Floyd. Il 18 ottobre 1902 tocca a “The Western Mail” affidare una parodia a Ethel Howell che inizia la prima strofa con un “A girl there was”. Curiosa la parodia in chiave di satira politica su “The Coolgardie Pioneer” (3 settembre 1898), accompagnata da una vignetta che riproduce stilizzato il quadro di Burne-Jones, dove la donna ha sul vestito la scritta “Westralia” (l’Australia occidentale) e l’uomo esanime “The Toiler” (il lavoratore). Il testo altera la poesia di Kipling trasformandola in una critica a quella parte dell’Australia che, con promesse non mantenute, “vampirizza” il resto del paese. E in questo caso le scuse sono per il pittore e non per il poeta: “With apologies to Burne-Jones”.

Le parodie continueranno per un ventennio. Il 4 marzo 1914 “The Day Book” di Chicago pubblica A Cop There Was di H.M. Cochran, rielaborazione di The Vampire per criticare il malcostume dei poliziotti. La saga delle parodie culmina nel 1920 quando circola a Los Angeles un volantino, firmato Mrs. Stella Gilbert e intitolato The ‘He’ Vampire, dove la poesia di Kipling è riscritta in chiave esplicitamente e marcatamente femminista, invocando l’eguaglianza di diritti per le donne e con questa chiusa: “Alla fine gli uomini sono in fuga… / E noi abbiamo vinto! / (e loro non possono capire)”. È probabile che il volantino sia stato stampato in occasione della conquista del diritto di voto per le donne americane. Lo spirito polemico della parodia era segnalato anche dalla scritta sotto il titolo, che in questo caso sentenziava “Senza scuse a Kipling” (With no apologies to Kipling).

Il volantino femminista del 1920

La poesia di Kipling era tanto nota che i suoi versi potevano essere utilizzati anche come didascalia per vignette satiriche. È il caso di una vignetta apparsa su “Life” il 3 maggio 1917, vent’anni dopo la pubblicazione di The Vampire, e firmata da C.D. Gibson, un illustratore interventista che agiva anche politicamente per spingere l’America a partecipare alla Grande Guerra: “And the fool, he called her his lady fair”, recita la didascalia. Nota anche con il titolo Harlot of War (Prostituta di guerra), la vignetta ritraeva l’imperatore Guglielmo II nel panico alla vista della sua amante, una orribile megera ingioiellata e in vestito elegante, con la scritta “Guerra” sul copricapo, che simboleggia la morte.

Passano altri vent’anni e di nuovo la poesia di Kipling è utilizzata per un’ulteriore vignetta di satira politica, con la didascalia “But the fool he called her his lady fair” (Even as you and I)”. Pubblicata dal “Daily News” di New York il 21 settembre 1937 e il giorno dopo da “Washington Time”, era tipica del razzismo antigiapponese che tornava a crescere in America in concomitanza con i bombardamenti del Giappone sulla Cina. La vignetta raffigura nuovamente una vampira in abiti seducenti, ma con il volto da teschio e la scritta “War” sul torace: davanti a lei, un militare giapponese inginocchiato che porta sulla schiena la scritta “Yellow Race”.

Le vignette di “Life” (1917) e “Daily News” (1937)

Vampoesia per bibliomani

The Vampire è stato un vero e proprio caso editoriale di notevole interesse: per quanto breve, la poesia fu subito stampata in agili fascicoli, senza autorizzazione da parte di Kipling. Sui giornali americani comparve anche una presunta lettera inviata da Kipling a Burne-Jones dove gli cederebbe tutti i diritti della sua poesia: “I versi per The Vampire, che chiameremo vampoesia [vampoetry], sono di tua proprietà. Quindi chiunque voglia portarli sul palcoscenico, farne un’incisione, metterli in musica, dipingerli di celeste, tradurli in gaelico, celtico o ittita, usarli come pubblicità di tintura per capelli o come inno per la Chiesa d’Inghilterra, deve accordarsi con quest’uomo” (vedi “The Daily Republican”, 17 aprile 1902; “The Argonaut”, 3 marzo 1902).

Vera o meno che sia quella lettera, di certo Kipling non tutelò in nessun modo il suo testo, consentendo così un’ampia diffusione “pirata” della poesia. Kipling non inserì The Vampire nelle sue opere ufficiali fino al 1919, ma dal 1898 la poesia appare comunque in varie collezioni di testi di Kipling, per varie case editrici, tanto che lo scrittore fece causa a un editore che aveva pubblicato la sua poesia vampiresca assieme ad altre.

Il fenomeno più straordinario è però il diffondersi di “libricini”, sia in Inghilterra sia in America, che in edizioni “non autorizzate” riproponevano The Vampire ai lettori come singolo volumetto. In genere erano fascicoli di poche pagine, in carta color crema, con ornamenti e disegni spesso di colore rosso, a volte rilegati con un nastrino di seta, in molti casi con la riproduzione all’interno del quadro di Philip Burne-Jones. La sopravvivenza fino ai giorni nostri di molte copie di quei libretti conferma che ebbero una consistente diffusione, complessivamente in migliaia di copie.

Una delle prime edizioni è pubblicata a Boston nel 1898 in due versioni. Il frontespizio indica che il volumetto è “Privately Printed”, senza nome dell’editore (si è ipotizzato che si tratti della Cornhill Press). Sulla copertina svettano pipistrelli in rosso, su un cielo dove si staglia una falce di luna, disegnati da E. J. Clark e ripetuti in ogni pagina, su carta color crema, una strofa per pagina. Un’altra versione ha un frontespizio con il disegno in rosso di una donna, tra le tombe di un cimitero, che gioca con un pipistrello (lo stesso disegno si ripete come cornice di ogni strofa della poesia). Va segnalato che diverse edizioni di The Vampire sovrapponevano nell’iconografia il vampirismo leggendario associato al notturno pipistrello e la donna in carne e ossa.

Due versioni dell’edizione di Boston

Nello stesso 1898 The Vampire è stampato anche a Washington da Woodward & Lothrop, in 20 pagine su carta lucida, e a marzo e giugno di quell’anno in due varianti con carta diversa per M.F. Mansfield di New York. Quest’ultima edizione aveva copertina rossa con scritte in oro ed era illustrata da un pipistrello stilizzato in copertina e all’interno, opera di Blanche McManus (moglie dell’editore Mansfield). Stampata in 650 copie, ospitava un disegno che riproduce parzialmente il quadro di Burne-Jones. Un’altra edizione in sole 4 pagine è stampata per il giorni di San Valentino 1898 da Adirondack Press, di Gouverneur, nello stato di New York

Tra le tante edizioni, si segnala quella di Grosset & Co., New York (1898), con in copertina una testa di donna con ali da pipistrello su inserti in rosso e all’interno la riproduzione fotografica del quadro di Burne-Jones. La casa editrice Doxey di San Francisco stampa The Vampire nel 1899 con illustrazioni di Florence Lundborg e poi nel 1901 con illustrazioni di Lander Phelps. Tra il 1898 e il 1899 The Vampire compare anche su un solo foglio di grande formato.

Una certa fortuna ebbero infine i minilibri di piccolissima dimensione con la ristampa di The Vampire, quasi sempre assieme ad altre poesie di Kipling, ma con il titolo di copertina dedicato esclusivamente al testo vampiresco.

Copertine di vari volumi in piccolo formato

ALLE FONTI DEL VAMPIRO MODERNO / 1

La vampira del quadro: The Vampire di Philip Burne-Jones

Il 1897 è l’anno di nascita dell’immaginario vampiresco moderno. Il 18 maggio si tiene la rappresentazione teatrale di Dracula: ovvero il Non-Morto, prima apparizione pubblica della creatura di Bram Stoker. Poi il 26 maggio il romanzo Dracula esce in libreria (e il 22 giugno si celebra il Giubileo di diamante della Regina Vittoria: può sembrare fuori tema, eppure non lo è). Un mese prima, però, i vampiri avevano già infestato l’immaginario grazie a un quadro e una poesia, oggi poco noti, ma per alcuni anni più popolari del conte Dracula. Il termine “vampire” si allontanava dalla sua valenza soprannaturale, indicando non tanto un morto che torna dalla tomba, quanto una creatura spietata, di sesso femminile, che sugge energie e provoca sciagure: di lì a poco la parola sarebbe stata sintetizzata in “vamp”.

In un freddo sabato 24 aprile 1897, alla New Gallery di Londra si inaugura un’esposizione di quadri in occasione della decima mostra estiva (Tenth Annual Summer Exhibition) della galleria. La maggior curiosità è subito creata da un dipinto racchiuso in una cornice dorata, The Vampire di Philip Burne-Jones, e dalla poesia omonima scritta per l’occasione da Rudyard Kipling, cugino dell’artista, e stampata nel catalogo. Nel quadro, un giovane uomo giace riverso sul letto, morente o in deliquio. Sul petto scoperto c’è una ferita e una donna lo sovrasta, in camicia da notte, le braccia nude e le labbra socchiuse in un sorriso enigmatico. Secondo gli articoli dell’epoca, nel dipinto (oggi perduto e mai riprodotto a colori se non in una cartolina poco attendibile) al bianco vestito della vampira si accostavano il verde e il rosso degli arredi, mentre sul petto del giovane esanime si notava una macchia vermiglia.

Oggi il quadro ci appare certamente innocuo, ma nel 1897 l’immagine di un uomo soggiogato e vampirizzato da una femmina predatrice era ancora capace di far nascere turbamenti. “The Sunday Times” (25 aprile 1897) scriveva che The Vampire “colpisce il pubblico”: “La donna appoggiata sul giovane morto, della cui linfa vitale si è nutrita, è dipinta con tale forza che cattura l’attenzione”. “Tutti si fermano davanti al quadro di Mr. Philip Burne-Jones”, esposto nella South Room della galleria, e leggono la poesia di Kipling, aggiungeva il “Country Life Illustrated” (1 maggio 1897).

The Vampire in una riproduzione del 1902 e, accanto, colorizzato con l’intelligenza artificiale

In breve The Vampire si rivela un evento e l’interesse si moltiplica grazie ai versi di Kipling, mentre il quadro viene proposto in fotografia da vari giornali (“The International Studio” ne pubblica una riproduzione a tutta pagina, nella sua edizione speciale per la mostra alla New Gallery). I critici sono generalmente benevoli, a parte qualcuno che trovò il soggetto “sgradevole”.

L’autore del quadro portava un nome illustre, perché il padre Edward Burne-Jones era uno dei più apprezzati pittori preraffaelliti (e la madre Georgiana, pittrice a sua volta e zia di Kipling, tra l’altro presenziò all’inaugurazione della mostra alla New Gallery, in abiti elegantissimi). Di carattere instabile, Philip Burne-Jones frequentava le cerchie di Oscar Wilde e poi di Virginia Woolf. Quest’ultima nei suoi diari non dà giudizi molto positivi del suo amico Phil, definendolo “una specie di dissipatore degenerato” che spendeva tutte le sterline guadagnate con i quadri in “avventure galanti e lussi”. Tra le frequentazioni di Philip non mancava Bram Stoker: i due si conoscevano bene, da tempo. Il padre dell’artista, Edward, aveva realizzato scenografie per il Lyceum, il teatro londinese di Henry Irving gestito da Stoker, e nel 1882 aveva disegnato un ritratto di Florence Balcombe, moglie dello scrittore. Sono conservate inoltre lettere del 1895 tra Edward Burne-Jones e Stoker. Sappiamo anche che il pittore preraffaellita era ospite a pranzi e cene con Irving e Stoker all’esclusivo Beefsteak Club, a conferma di una familiarità che senza dubbio coinvolgeva anche Philip. Quest’ultimo, inoltre, nel 1888 aveva collaborato lui stesso a scenografie per il Lyceum e il suo nome è citato nei ricordi di Ellen Terry, la diva indiscussa di quel teatro.

Inconsapevole di aver anticipato con il suo quadro una stagione destinata a fondare l’immaginario vampiresco successivo, Philip Burne-Jones ricevette in omaggio il romanzo Dracula da Stoker in persona. Lo testimonia una sua lettera datata 16 giugno 1897: “Caro Bram Stoker, la tua gentilissima promessa dell’altra sera si è concretizzata con grande piacere oggi, quando il tuo libro è arrivato. Inutile dire con quanto interesse lo leggerò o quanto valore abbia per me in quanto dono del suo dotato autore. Appena ne avrò una copia ti prego di accettare una fotografia del mio ‘Vampire’ – una donna in questo caso, tanto per creare il giusto equilibrio!”.

L’uscita di Dracula a poche settimane dalla mostra della New Gallery non poteva che collegarsi a un crescente interesse, non solo “anglosassone”, per i vampiri. La recensione di Dracula sul “Weekly Sun” del 6 giugno 1897 metteva in diretta relazione il quadro di Burne-Jones e il romanzo di Stoker: “Solo quando ho letto il libro del signor Stoker ho capito in pieno il significato e la stranezza misteriosa [weirdness] di quel dipinto” (non ho rintracciato l’articolo originale, citato in due testi di David J. Skal: Fatal Image. The Artist, the Actress, and “The Vampire”, in Vampires: Encounters with the Undead, Black Dog & Leventhal, New York 2001; Something in the Blood, W. W. Norton & Company, New York 2016. Su Stoker e i Burne-Jones vedi anche Barbara Belford, Bram Stoker: A Biography of the Author of Dracula, Weidenfeld & Nicolson, London 1996).

Gossip vampireschi

Philip Burne-Jones dopo The Vampire si trovò al centro di una grande attenzione da parte dei giornali e il quadro scatenò subito una marea di pettegolezzi, perché nel volto della vampira si notò una straordinaria somiglianza con un’attrice inglese che si vociferava avesse avuto una tempestosa relazione con l’artista: Beatrice Tanner, di madre italiana, nota sulle scene come Mrs. Patrick Campbell (dal nome del primo marito).

La stampa, anche oltreoceano, evidenziò subito la vicenda, all’inizio senza citare il nome dell’”attrice inglese”, la quale – scrivevano – si sarebbe irritata non solo per essere apparentata a una vampira nel quadro, ma soprattutto per la descrizione impietosa contenuta nella poesia di Kipling. Di fronte al clamore intorno a quel dipinto, l’attrice si confidò proprio con la sorella di Burne-Jones, Margaret, sua amica e vicina di casa.

Mrs. Patrick Campbell

Il critico teatrale Elwyn Barron, su “The Brooklyn Daily Eagle” (27 giugno 1897), sarà poi esplicito, facendo nome e cognome: “Chi guarda quel quadro vede abbastanza chiaramente nella donna un eccellente ritratto di Mrs. Patrick Campbell. La somiglianza è casuale?”. La risposta di Barron era negativa, dato che era notorio il legame tra l’artista e l’attrice: Burne-Jones era stato un “generoso amico” e “benefattore” per Mrs. Campbell (i gossip dicevano che l’avesse ricoperta di gioielli e pellicce), fino a che lei gli aveva voltato le spalle, inducendolo alla “vendetta”.

Mrs. Patrick Campbell era all’epoca molto nota. Ritratta anche da Aubrey Beardsley, aveva recitato al teatro Lyceum in ruoli scespiriani ed era diventata famosa nel 1893 con la parte del titolo in The Second Mrs Tanqueray di Arthur Wing Pinero. Per certi aspetti era un ruolo di vamp ante litteram, una donna dalla grande libertà sessuale che alla fine non regge ai pregiudizi sociali verso il suo comportamento e si uccide. In seguito l’attrice diventerà la grande passione amorosa di George Bernard Shaw.

Il teatro ha dunque un ruolo importante nella nascita dell’idea moderna di vampiro. Se Dracula fa il suo esordio sul palcoscenico, prima ancora che in libreria, la donna vampiro pare connessa strettamente al teatro e alle attrici. Non solo Stoker in Dracula paragona apertamente Lucy diventata vampira a Ellen Terry, ma con tutta probabilità il volto della vampira di Burne-Jones era quello dell’attrice teatrale Campbell. Negli anni immediatamente successivi, come vedremo in un prossimo articolo, proprio a teatro si manifesterà più spesso la vampira, recitando o ballando.

Le fonti della vampira di Burne-Jones

Anche se alla sua prima apparizione londinese The Vampire ottenne buone recensioni dai critici d’arte, il quadro deve la sua popolarità soprattutto all’argomento scottante della temuta emancipazione femminile e al gossip su Mrs. Campbell. L’artista, poi, doveva sostenere il peso del paragone con il celebre padre. Edward Burne-Jones ritraeva spesso donne che apparivano svenute o addormentate e di fatto il figlio Philip ribaltava quelle concezioni, facendo della donna una predatrice. Ma ci sono almeno due importanti eccezioni nell’opera di Edward Burne-Jones che anticipano proprio il dipinto del figlio e ne sono state ispirazione. Come The Vampire, anche quei quadri fecero scandalo e sensazione. Si tratta di Phyllis and Demophoon (1870) e The Depths of the Sea (1887).

Il primo dipinto evoca il mito di Fillide e Demofonte, descritto da Ovidio e poi da Geoffrey Chaucer. Fillide, regina della Tracia, si innamora di Demofonte che però la abbandona. Fillide si impicca e gli dei la trasformano in un albero di mandorla. Demofonte pentito abbraccia l’albero e Fillide si materializza nei germogli della pianta. Aprendo uno scrigno che Fillide gli aveva donato, Demofonte inciampa e muore trafitto dalla sua spada. Edward Burne-Jones rielabora il mito facendo di Fillide una sorta di vampira che torna dalla morte per rivendicare gli abbracci del suo amante.

Ad apparentare Phyllis and Demophoon e The Vampire concorrono anche le polemiche che circondarono entrambi i quadri. Se Philip Burne-Jones fece scalpore per aver ritratto una nota attrice a cui era stato legato, sia Fillide che Demofonte avevano nell’opera di Edward Burne-Jones il volto della modella Maria Zambaco, con la quale l’artista aveva avuto una relazione. Quando il quadro fu presentato a una mostra della Old Watercolour Society nel 1870 si sollevarono grandi polemiche per la rappresentazione di Demofonte nudo, con i genitali esposti, tanto che dopo due settimane Burne-Jones ritirò il dipinto e poi si dimise dalla Society. Oltre un decennio dopo, il pittore rielaborerà il quadro con il titolo The Tree of Forgiveness (1882), lasciando il volto della Zambaco solo nelle fattezze di Phyllis: quasi per scherno verso i critici dell’opera precedente, ora il nudo integrale era della fanciulla, mentre il giovane maschio era pudicamente coperto nelle parti intime da un velo.

Le due versioni di Phyllis and Demophoon

Il tema della donna fatale è poi proposto ancora da Edward Burne-Jones con The Depths of the Sea (1886, oggi è visibile al pubblico solo una copia realizzata successivamente), dove un’androgina sirena trascina il corpo di un giovane nudo nelle profondità marine. Di nuovo il soggetto suscitò polemiche, per il sorriso indefinibile della sirena che pare compiaciuta dal destino fatale del giovane annegato e che, come un serpente, avvolge il maschio nelle sue spire.

The Depths of the Sea di Edward Burne-Jones

A parte l’ispirazione alle opere del padre, i riferimenti innegabili di Philip Burne-Jones per The Vampire risalgono a L’incubo (1781) di Johann Heinrich Füssli e La morte di Chatterton (1856) di Henry Wallis. La posizione reclinata dell’uomo in The Vampire coincide con quella della donna nel quadro di Füssli, ma al posto del demone che le pesa sul corpo c’è la vampira, la donna emancipata ormai diventata l’incubo del maschio vittoriano, il pericolo da cui fuggire. Così come la posizione del giovane vampirizzato è identica a quella di La morte di Chatterton, ispirato al suicidio con arsenico del poeta diciassettenne Thomas Chatterton.

In alto, L’incubo di Johann Heinrich Füssli e in basso La morte di Chatterton di Henry Wallis

Per quanto riguarda il soggetto di The Vampire, Philip Burne-Jones ne ha parlato in un’intervista rilasciata, nel suo grande studio londinese di West Kensington, a un anonimo giornalista (o a una giornalista: raramente all’epoca gli articoli dei quotidiani erano firmati) che esprimeva un’ammirazione sconfinata per il pittore e per The Vampire, al punto di sostenere che con quel quadro l’artista aveva “tristemente distrutto la mia serenità mentale e la mia capacità di lavorare” (“The Argus”, 26 giugno 1898). L’intervista è interessante perché Burne-Jones spiega le sue intenzioni nella realizzazione del quadro: “Volevo dipingere una di quelle donne che portano rovina, che prosciugano la linfa vitale di un uomo e i versi di Kipling rendevano l’idea. Un uomo può essere consapevole che la donna amata è malvagia, priva di anima, irragionevole, una vera Vampira egoista e avida, ma nonostante questa consapevolezza continuerà ad amarla. Ha calcolato il costo, ha considerato la pena: si tratta di rovina e morte, ma lui non può resistere. Di sicuro era così per l’uomo del mio quadro, ma era contento che andasse in quel modo ed è morto con un sorriso in parte di pietà, in parte d’amore, ma senza rimprovero negli occhi”.

Un disegno che riproduce una prima versione di The Vampire (da “The Argus”, 26 giugno 1898)

The Vampire in America

Nel 1902, Philip Burne-Jones tentò la fortuna negli Stati Uniti, partendo con un carico di suoi dipinti nella speranza di venderli a clienti americani e aprendo un suo studio a New York. Portò con sé anche The Vampire, il cui valore era stimato intorno ai 15.000 dollari, una cifra non alta considerato il clamore che circondava il quadro. A un certo punto, durante il soggiorno in America di Burne-Jones, corse voce che il dipinto fosse stato venduto a 18.400 dollari, ma l’autore si affrettò a smentire e sostenne che non era in vendita.

Philip Burne-Jones nel suo studio di New York con The Vampire alla parete

L’artista (che nel 1898 alla morte del padre aveva ereditato il titolo di baronetto, diventando Sir Philip) espose The Vampire alla galleria M. Knoedler & Co, sulla Quinta Strada di New York, dal 17 al 29 marzo 1902, con un catalogo che nella seconda pagina ristampava la poesia di Rudyard Kipling. Le recensioni, a distanza di cinque anni dalla mostra londinese, questa volta non furono positive. “The New York Press” definì il quadro “ripugnante” e “morboso” (28 marzo 1902), ma il culmine fu la stroncatura del “New York Times” (20 marzo 1902), severo e sprezzante per altro sia verso il padre Edward che verso lo stesso Kipling. “Sir Philip ha il talento di un topolino”, sentenziò l’autorevole quotidiano.

Mentre Philip era in America, sua madre si rese protagonista di un episodio che coinvolgeva proprio Kipling. Convinta pacifista, la signora Burne-Jones aveva appeso uno striscione alla finestra della sua abitazione contro la seconda guerra boera, appena vinta dalle truppe britanniche con un bagno di sangue: “Avete ucciso, avete conquistato”, si leggeva nello striscione. Una folla inferocita di nazionalisti prese d’assedio la casa della signora e solo l’intervento di Kipling, che abitava nella stessa zona, sedò gli animi. Il “poeta dell’imperialismo”, come era definito allora, scese in piazza e convinse sua zia Georgiana a togliere lo striscione e i manifestanti ad andarsene.

Sir Philip era lontano dalle posizioni politiche di sua madre e in America pensava solo a promuoversi nel mondo artistico. Espose The Vampire anche a Chicago, nel gennaio 1903 alla Russell’s Gallery, ancora suscitando scandalo e richieste di rimozione da parte dei sostenitori di Mrs. Campbell. L’attrice era a Chicago con il suo agente, ospitata nello stesso residence di Sir Philip, per la gioia dei giornalisti che potevano ricamare sul vecchio gossip intorno a The Vampire. Così, Burne-Jones si trovò costretto a smentire con la stampa qualsiasi nesso tra la sua vampira e l’innominata star del teatro: sostenne che la modella del ritratto, a pagamento, era una ragazza di Bruxelles e non la famosa attrice. Mrs. Campbell invece inviò una lettera a “The Daily News” (16 gennaio 1903), negando di trovarsi a Londra quando venne realizzato il dipinto, ma senza sfatare l’ipotesi di essere la “donna del ritratto”.

Incalzato da William Salisbury (ne scriverà in The Career of a Journalist, B. W. Dodge & Company, New York 1908), Burne-Jones rispondeva di non conoscere affatto Mrs. Campbell. Peccato che il giornalista si sia recato subito dall’attrice chiedendole se conosceva l’artista: “Beh, certo. Lo conosco e conoscevo bene suo padre. Sua sorella l’ho sempre considerata una delle mie più care amiche”. “Eravate voi l’originale di The Vampire?”, preme Salisbury. “Questo non posso dirlo. Ho sentito che il quadro ha una somiglianza impressionante con me e che questo ha dato origine al suo successo sensazionale”. Dunque Burne-Jons smentisce, mentre Mrs. Campbell implicitamente conferma e anzi lancia la stilettata: sarebbe solo grazie a lei se The Vampire aveva fatto tanto discutere.

I gossip proseguirono per giorni, tanto che secondo Salisbury “alla fine l’artista ci ha chiesto, quasi in lacrime, di non nominargli più ‘quella donna’”. A un ballo della buona società si invitarono sia Mrs. Campbell che Sir Philip, sperando forse nelle scintille di un incontro tra i due, ma il pittore se ne andò accuratamente prima dell’arrivo di lei, per evitare di vederla, e continuò a prendersela con i giornalisti fino alla sua partenza per l’Inghilterra. Dopo un anno, infatti, Burne-Jones lasciò l’America e tornò in patria, senza aver migliorato radicalmente la sua carriera. Il destino di The Vampire è a questo punto oscuro. Il quadro trovò un compratore negli Stati Uniti o seguì il suo autore a Londra? Certamente è svanito nel nulla.

Sir Philip Burne-Jones dall’esperienza americana trasse un libro, Dollars and Democracy (D. Appleton & Company, New York 1904), illustrandolo con eleganti e ironiche vignette. Non era per nulla soddisfatto del soggiorno negli States e con il libro mise in atto un’altra vendetta, dopo quella verso la Campbell che lo aveva lasciato, in questo caso una vendetta verso un paese che non lo aveva trattato troppo bene: criticò l’amore per il denaro dei cittadini, l’assenza di “deferenza” da parte della servitù e dei subalterni, le differenze di costumi tra le donne americane e quelle europee.

Negli anni successivi Burne-Jones non vide mai decollare la sua carriera di artista. Ebbe molte relazioni, ma non si sposò mai. Nel 1926 muore a Londra, all’età di 63 anni, ufficialmente per un infarto, ma alcune voci dell’epoca insinuavano che si fosse tolto la vita.

Dopo il successo clamoroso del suo quadro, Philip Burne-Jones era restato sempre “il pittore di The Vampire”, identificato con quell’unica opera. Era vittima della maledizione che pare colpire chiunque si apparenti al tema dei vampiri (da John W. Polidori a Bram Stoker, da Bela Lugosi a Christopher Lee): rimanere ingabbiato nel riferimento al vampirismo, come un marchio indelebile.

MARXISTI E VAMPIRI

Nei giorni scorsi è stato disponibile su ARTE, il canale culturale in streaming, il film tedesco Blutsauger (Succhiasangue), che la stessa ARTE ha coprodotto.
Scritto, montato e diretto da Julian Radlmaier, il film è del 2020 ed è stato presentato l’anno dopo alla Berlinale. Le versioni in inglese e in francese portano il sottotitolo Una commedia marxista di vampiri che sintetizza il contenuto del film.

Ambientato in Germania nel 1928, Blutsauger si avvia con le immagini di un “gruppo di lettura” intento a discutere sui brani del Capitale di Marx dove il capitalismo che “succhia lavoro vivo” è paragonato ai vampiri. E se non fosse una metafora e i “padroni” fossero davvero dei vampiri? Su questa domanda si sviluppa la trama, volutamente surreale.
L’attore russo Ljowuschka (Alexandre Koberidze) cerca fortuna in occidente dopo aver interpretato Trotski in Ottobre! di Serghei Eisenstein, per poi constatare che tutte le sue scene erano state tagliate dal film su ordine di Stalin. Fingendosi un barone in fuga dai bolscevichi, Ljowuschka fa la conoscenza della bizzarra intellettuale, e ricca ereditiera, Octavia (Lilith Stangenberg). In realtà è una vampira come gli altri esponenti della sua classe sociale, ma Ljowuschka si innamora di lei e non vuole credere che sia una succhiasangue, anche quando lui stesso è morso al collo. Per aiutare il russo a fare carriera nel cinema, tra l’altro, Octavia realizza un film di vampiri, dove lei in persona recita la parte della vittima di un vampiro cinese. Nonostante tra la popolazione aumentino le morti attribuite ai vampiri, i proletari-rivoluzionari sono incapaci di capire la realtà: decidono che il vero vampiro è l’orientale del film e si accaniscono su capri espiatori, assolvendo così la ricca Octavia e gli altri borghesi-vampiri che restano liberi di continuare le loro attività predatorie.

Il film è costruito su interminabili scene con camera fissa, rese tollerabili dall’ottima fotografia, e su dialoghi da teatro dell’assurdo. La stessa ambientazione storica è paradossale, con abiti odierni accanto a vestiti d’epoca e con espliciti sfasamenti temporali: ad esempio, vediamo Jakob (Alexander Herbst), assistente-maggiordomo vampirizzato da Octavia, bere un’anacronistica lattina di cocacola negli anni Venti del secolo scorso.

Blutsauger è l’ennesima dimostrazione delle infinite suggestioni che il tema vampiresco continua a suscitare, prestandosi agli approcci più svariati. Al di là del giudizio sulla riuscita dell’esperimento, qui il vampirismo è occasione per una satira contemporaneamente dei marxisti “ortodossi” e della borghesia anticomunista.

QUATTRO VAMPIRI A VENEZIA

I soliti becchini-in-anticipo-sulle-esequie da tempo davano per morto il cinema di vampiri (almeno dagli anni Novanta del secolo scorso). Sembra che siano stati frettolosi, a giudicare dalla florida salute del genere vampiresco sugli schermi, nel 2023. Le infinite possibilità metaforiche offerte dalla figura del vampiro sono permanentemente utilizzate da registi di ogni latitudine, come testimonia la Mostra del Cinema di Venezia 2023. Quattro film proiettati a Venezia, infatti, sono indubitabilmente “film di vampiri”.

El Conde

In concorso, innanzitutto, a Venezia c’è El Conde di Pablo Larraìn, film cileno per Netflix. E la storia delconte Pinoche (Jaime Vadell), vampiro sfuggito alla Rivoluzione Francese che dopo la Seconda guerra mondiale si rifugia in Cile, assume il nome di Augusto Pinochet e con un golpe nel 1973 sgomina gli odiati comunisti. Resta dittatore per anni, poi finge la sua morte e si nasconde, stanco della sua lunga esistenza e annoiato. Vuole lasciarsi morire, ma i suoi familiari intendono spartirsi al più presto l’eredità e usano la suora Carmen (Paula Luchsinger) per circuire il vecchio vampiro. Girato in bianco e nero, El Conde non è solo satira politica, ma arricchisce di molti altri rimandi e suggestioni la vecchia metafora sociale del vampirismo che “succhia il sangue del popolo”.

Le vourdalak

Presentato alla Settimana della Critica è invece Le vourdalak del francese Adrien Beau, girato in 16mm e ispirato a un noto racconto di Aleksej K. Tolstoj. Un nobile francese (Kacey Mottet Klein) per sfuggire ai banditi nei Balcani chiede ospitalità a una famiglia. Il ritorno del capofamiglia Gorka si rivela catastrofico, dato che l’anziano è diventato un vampiro (interpretato non da un attore, ma da un burattino con la voce del regista). Il vecchio aveva chiesto di essere ucciso se fosse tornato dopo più di sei giorni, ma i figli si rifiutano di esaudire il suo desiderio. Intanto, il francese è affascinato da Zdenka (Ariane Labed), figlia di Gorka.
Il racconto di Tolstoj aveva già ispirato due film italiani: un episodio di I tre volti della paura (1963), diretto da Mario Bava, con Boris Karloff nella parte del vampiro, e La notte dei diavoli (1973) di Giorgio Ferroni. Da segnalare anche tre film prodotti in Urss e poi in Russia, Semia vourdalakov (La famiglia del vurdalak, 1990) di Gennadiy Klimov e Igor Shavlak, Papa, oumer Ded Moroz (Papà, Nonno Gelo è morto, 1991) di Evgueni Youfit, Vourdalaki (I vurdalak, 2017) di Sergei Ginzburg.

En attendant la nuit

Vampiri adolescenti sono al centro di altri due film proiettati a Venezia. Il primo, En attendant la nuit, diretto da Céline Rouzet che viene dal cinema d’inchiesta, è un film franco-belga in concorso nella sezione Orizzonti. Negli anni Ottanta, in un villaggio francese di montagna abita in completo isolamento sociale il giovane vampiro Philémon (Mathias Legoût-Hammond), che non può esporsi al sole e sopravvive grazie alle sacche di sangue rubate dalla madre in un centro per le trasfusioni. La famiglia deve spostarsi di città in città per proteggere il figlio dal pregiudizio e dall’ostilità. Philémon si innamora della coetanea Camila (Céleste Brunnquell), ma la sua diversità lo farà oggetto della violenza che cova nella piccola comunità apparentemente equilibrata e serena.

Vampire humaniste cherche suicidaire consentant

Il disagio adolescenziale torna in Vampire humaniste cherche suicidaire consentant, debutto della regista canadese Ariane Louis-Seize, proiettato a Venezia per le Giornate degli Autori. In una cittadina di provincia risiede Sasha (Sara Montpetit), giovane vampira che si rifiuta di uccidere e beve con la cannuccia dalle sacche per la trasfusione del sangue. Anche in questo caso c’è l’incontro con un coetaneo, Paul Fèlix (Antoine-Bènard), che ha difficoltà scolastiche e vari tentativi di suicidio al suo attivo. Il rapporto tra la ragazza che non vuole uccidere e il ragazzo che vuole morire finirà con il “dono” del vampirismo.

GLI ALTRI VIAGGI DEL “DEMETER”

E’ appena arrivato nelle sale il film Demeter – Il risveglio di Dracula di André Øvredal. Nel recente passato, però, non sono mancati gli omaggi alla traversata della nave Demeter verso l’Inghilterra, come descritta in Dracula di Bram Stoker. A parte le sequenze di vari film su Dracula in cui si assiste al viaggio navale del vampiro (per primi Nosferatu di F.W. Murnau e Dracula di Tod Browning), una specifica attenzione è stata dedicata a quella parte del romanzo. Un esempio interessante è Demeter (Edicions de Ponent, Alicante 2007), con testi e disegni di Ana Juan. Il volume illustrato riproduce parti del registro di bordo “da Varna a Whitby” accompagnato da grandi immagini a tutta pagina. Il volume, tra l’altro, contiene un breve saggio di Felipe Hernandez Cava sul rapporto tra Stoker e il mare. Curiosamente, il vampiro per quanto stilizzato ha le stesse caratteristiche animalesche simili a un pipistrello che si ritrovano nel film Demeter – Il risveglio di Dracula.

La copertina e un’illustrazione di Demeter.
Una doppia pagina da Demeter.

Un fumetto pubblicato nel 2010 dalla IDW in quattro albi aveva addirittura un sottotitolo identico al film di Øvredal, che in originale è The Last Voyage of the Demeter. Si tratta di Death Ship – The Last Voyage of the Demeter, scritto da Gary Gerani e illustrato da Stuart Sayger. Con suggestivi disegni a colori si ripercorrono le allucinazioni della ciurma, decimata dal vampiro, fino a che resta solo il capitano (non manca un bambino a bordo). Anche in questo caso il vampiro sulla nave ha l’aspetto mostruoso delle illustrazioni di Ana Juan e del film di Øvredal.

La copertina del n. 4 di Death Ship e una tavola del fumetto.
Un’altra immagine da Death Ship.

Nel 2012 è stato girato un cortometraggio ispirato alle stesse pagine del romanzo di Stoker, The Final Voyage of the Good Ship Demeter, diretto da Bryan Enk. E’ un monologo in cui si raccontano gli orribili eventi sulla nave, con il protagonista inquadrato continuamente in primo piano. Enk è un filmmaker dell’Ohio che ha la passione (o l’ossessione) per Dracula di Stoker. Ha dedicato una lunga serie di sue opere al celebre personaggio. Innanzitutto la trilogia Dracula (1993), Dracula Returns (1994) e Blood Daughter (2022). Poi il corto Mina Seward (2001) e il monologo The Curious Case of R.M. Renfield (2006). ​In lavorazione dal 2007, è annunciato per il 2023 The Heartless Cruelty of Lucy Westenra, altro monologo ispirato a Stoker. I film di Enk sono visibili su Vimeo.

The Final Voyage of the Good Ship Demeter, diretto da Bryan Enk.

Da segnalare, infine, lo spettacolo teatrale Nosferatu del Proper Job Theatre, in tour per la Gran Bretagna nel 2015. Riportiamo dal libro Nosferatu – Il capolavoro di F. W. Murnau un secolo dopo: “Su un testo scritto dal poeta inglese Ian McMillan e con musiche di Rod Beale, si svolge interamente a bordo della nave che trasporta il conte Orlok (da Varna a Whitby, come nel romanzo). La scena è quasi buia, con effetti speciali creati da un illusionista, tre soli attori e una cantante. Orlok di fatto non si vede, ma ‘possiede’ il corpo del capitano della nave. Dopo essere stato vampirizzato, il capitano si toglie il lungo soprabito e rivela la militaresca giacca con i bottoni di Orlok, protendendo le mani ad artiglio”.

Nosferatu del Proper Job Theatre.

VAMPIRI ADOLESCENTI SUPEREROI

Si è appena conclusa con il sesto albo la serie a fumetti “Night Club”, dove dei giovani vampiri diventano una sorta di supereroi giustizieri.
La genesi di “Night Club” ci indica che alcuni meccanismi dei media e dell’intrattenimento stanno cambiando. Un tempo capitava che film e serie tv fossero tratti da fumetti di successo, o viceversa che un fumetto si ispirasse a film e serie di successo. Ora il fumetto diventa invece un laboratorio per esperimenti, da usare prima di produrre una serie.

Nel 2020 lo scozzese Mark Millar, in passato autore di punta per la DC e la Marvel, è stato incaricato da Netflix di preparare un progetto per una serie tv su teenager vampiri. Prima di passare alla concretizzazione della serie, Millar ha deciso di sperimentare il soggetto della serie in forma di comic. Inizialmente commissiona delle copertine di prova a Greg Capullo, Ben Oliver e Ben Templesmith, poi passa a realizzare il fumetto con i disegni di Juanan Ramirez, 6 albi per la Image Comics.
C’è anche un po’ di Italia, tra l’altro, nel fumetto della Image: Giovanna Niro e Fabiana Mascolo si occupano dei colori, mentre Matteo Scalera firma un paio di copertine.

La trama di “Night Club” può essere spoilerata in poche righe.
Danny, uno youtuber diciassettenne, precipita da un palazzo durante una ripresa e, in ospedale, è vampirizzato da uno strano personaggio con tesserino della polizia: il detective Laskaras. Sotto la sorveglianza del poliziotto, Danny acquisisce così i (super) poteri di un vampiro: domina i topi e i pipistrelli, è incredibilmente forte e con sensi acuiti, si può trasformare in nebbia e nugoli di pipistrelli, ha abilità ipnotiche. Ma il sole, nella miglior tradizione vampiresca, lo può distruggere.
Indossando una maschera che evoca quelle dei lottatori messicani, Danny morde e trasforma i suoi amici Amy e Sam. Orgogliosi dei poteri acquisiti come vampiri, i tre si dedicano a vincere partite di pallacanestro e ad agire come vigilantes contro i criminali, postando poi sui social le loro imprese. Peccato che una banda di motociclisti vampiri capeggiati da Gunner Joe, gigantesco ex soldato della guerra civile di 160 anni, non gradisca tanta pubblicità che può smascherare l’esistenza dei nonmorti. Con la banda c’è sorprendentemente anche Laskaras: era un poliziotto sotto copertura nei bassifondi, prima di essere morso e rapito dai motociclisti di Gunner Joe. Ora medita nascostamente vendetta e vuole distruggerli, per questo recluta nuovi vampiri “dalla parte del bene”.
Catturati dalla banda, i tre ragazzi sono nei guai. Laskaras, scoperto, viene decapitato con una spada e a loro per restare vivi è ordinato di uccidere i genitori. I tre si rifiutano di accettare quel ricatto terribile e fanno saltare in aria il covo dei vampiri, mentre Danny lotta con Gunner Joe fino a farlo disintegrare al sole. I tre ragazzi vampiri tornano a scuola, con il volto coperto per evitare il sole: spiegano agli insegnanti che dopo il covid soffrono di fotofobia. Ma anche se riprendono una vita apparentemente normale, i tre vogliono ancora sfruttare i loro poteri vampirici. Creano una loro sede ribattezzata “Night Club” e diventano ricchi come youtubers riprendendo le loro imprese. L’ultima tavola di quello che viene annunciato come “volume one” fa presagire un seguito dove i tre ragazzi vampiri non andranno più d’accordo. Sam, infatti, è geloso della storia d’amore tra Danny e Amy e recluta i bulli del quartiere per creare una sua gang personale.

La storia non brilla per originalità, anche sul piano vampiresco, dato che non sono mancati esempi di vampiri “supereroi” o giustizieri (ma almeno il fumetto non tenta le ennesime innovazioni sulle caratteristiche dei vampiri: questi sono classici succhiasangue, “come quelli del cinema” si specifica). Curiosa l’idea di una vecchia vampira incartapecorita, Bloody Mary, dalle origini misteriose e che parla una lingua sconosciuta, conservata dalla banda di motociclisti immersa nel liquido di una vasca.

Ci sarà un “volume two” del fumetto e soprattutto ci sarà la serie tv Netflix?
Nel fumetto tutti i personaggi più interessanti (in particolare i vampiri Laskaras, Gunner Joe e Bloody Mary) sono stati eliminati, quindi per un seguito restano solo i ben poco originali ragazzini supervampiri.
Della serie, attendiamo notizie. Certo il fumetto ci risparmia eccessi politically correct (solo Sam è di colore e non ci sono personaggi fluidi, omo, trans, ecc.). Se ci sarà la serie tv siamo sicuri che le cose rimarranno così, visti gli algoritmi preferiti da Netflix? Si accettano scommesse.

IL VAMPIRO CON LA SCIMITARRA / 2

Le avventure di Andrej Delãny, il “vampyr” creato nel 1999 dallo scrittore tedesco Wolfgang Hohlbein, continuano dopo i primi sei volumi e si arricchiscono di numerosi episodi fino al 2017. Proseguiamo quindi il censimento della saga Die Chronik der Unsterblichen (Le cronache degli immortali), dopo la prima parte.

Andrej, Abu Dun e Frederic

I TITOLI DELLA SAGA / seconda parte

Der Gejagte (La preda, 2004)
Nel 1565 Andrej e Abu Dun da tre anni vivono a Malta, il primo è Cavaliere dell’Ordine di Malta, il secondo convive con una giovane vedova. Quando giunge notizia di un prossimo attacco turco all’isola, Jean de la Valette, Gran Maestro dei Cavalieri Ospitalieri dell’Ordine di Malta, invia Andrej e Abu Dun a Costantinopoli come spie. I due devono affrontare un potentissimo vampiro e scoprono che i turchi hanno grandi forze militari a disposizione. Tornati a Malta, dopo la morte della compagna di Abu Dun i due guerrieri lasciano l’isola alla ricerca di un rifugio più sicuro.

Die Verfluchten (La maledetta, 2005)
Andrej e Abu Dun si trovano nel deserto della Libia quando vengono rapiti da mercanti di schiavi. Tra i prigionieri fanno la conoscenza della nubiana Meruhe che in realtà da millenni è una immortale come loro ed è una dea dell’antico Egitto. Andrej si innamora di Meruhe, sconfigge i mercanti di schiavi e, nella conclusione che si svolge nella Valle dei Re, ottiene anche un ricco patrimonio.

Blutkrieg (Guerra di sangue, 2007)
Si tratta di un volume “speciale” diviso in cinque episodi. Andrej e Abu Dun sono a caccia di un lupo mannaro quando incontrano una ragazza e la accompagnano nel suo villaggio sulla costa. La popolazione è in pericolo per gli attacchi dei licantropici guerrieri Dauga che viaggiano sulla nave “Schiuma nera”. Sconfitti i Dauga, Andrej vuole riportare nella loro patria i cadaveri dei guerrieri uccisi, ma sulla nave due misteriosi corvi fanno risorgere i morti. Andrej e Abu Dun riescono a raggiungere un’isola che appare come un deserto di ghiaccio. In una caverna fanno la conoscenza del giovanissimo Lief e di sua sorella Liftrasil. Andrej è sedotto dalla ragazza, che però si rivela un ragno gigantesco. Nel combattimento, Abu Dun rimane gravemente ferito e rischia di morire. Per salvarlo Andrej chiede l’aiuto della potente strega mutaforma Gryla. Dopo aver passato una notte con Andrej e aver risanato Abu Dun, la strega spiega loro come lasciare l’isola. I due guerrieri si imbarcano su una nave vichinga e scoprono che l’equipaggio è formato da lupi mannari.

Das Dämonenschiff (La nave dei demoni, 2007)
Andrej e Abu Dun sono catturati da un gruppo di norvegesi e portati nel loro villaggio, dove assistono all’assalto da parte di feroci creature. Thure, il capo del villaggio, chiede ad Andrej di aiutare il suo popolo contro gli attacchi di Odino, il dio corvo. Andrej, che nel frattempo si è innamorato di Urd, la sorella di Thure, accetta la richiesta e con i vichinghi combatte una nave di esseri mostruosi e Sleipnir, il cavallo di Odino che è una sorta di ragno a otto zampe. Infine con una spada fatata deve affrontare Loki, il dio norreno degli inganni.

Göttersterben (La morte degli dei, 2008)
Siamo nel 1588. Nel porto di Cadice, mentre l’Armada spagnola sta per dare battaglia agli inglesi, Andrej e Abu Dun proseguono la lotta contro il dio mutaforma Loki. Indebolito da un proiettile avvelenato nella testa, Andrej deve fronteggiare i tranelli di Loki, fino a uno scontro apparentemente decisivo a bordo di una nave diretta in America.

Glut und Asche (Braci e ceneri, 2009)
Nel 1666 Andrej e Abu Dun sono a Londra a caccia di Loki che è sopravvissuto. Incontrano la dea Meruhe e un gruppo di bambini vagabondi, il cui leader dodicenne si chiama Frederic, ma non assomiglia all’omonimo partner di Andrej. Il ragazzino uccide una ragazza e fa incolpare Andrej che viene imprigionato e torturato: il suo aguzzino, Marcus, sostiene di essere un discendente di padre Domenicus. Mentre Londra è in fiamme per il celebre incendio della città, Andrej viene liberato da Abu Dun e Meruhe. Frederic è proprio l’omonimo ragazzo in un nuovo corpo, ma ormai crudele dopo l’incontro con Dracula. Andrej con l’aiuto di Abu Dun e Meruhe affronta i vampiri di Frederic che riesce a scappare. Per accrescere la sua potenza, Andrej mescola il proprio sangue con quello di Meruhe e può così affrontare Loki. In uno scontro sul London Bridge, Meruhe salva Andrej ferendo il cuore di Loki. Andrej scopre che Frederic è in realtà il suo defunto figlio Marius e nel corso della storia si apprende anche che Maria è morta e che il responsabile è Dracula.
Le avventure di questo libro sono state arricchite qualche anno dopo dal racconto lungo Seelenraub (Furto di anime, 2013) ambientato ancora a Londra nel 1666, dove Andrej e Abu Dun devono combattere i Djin e si fa riferimento anche alla spada Excalibur. Il racconto è stato pubblicato per lanciare un successivo volume, Pestmond.

Der schwarze Tod (La morte nera, 2010)
Andrej e Abu Dun sono alla ricerca di Marius/Frederic. Il ragazzo è richiuso in un manicomio su un’isola, con un fedele topo gigante. Marius non solo può possedere le persone, ma comanda i topi che usa per compiere la sua vendetta contro Andrej. Nel frattempo il cavaliere ha una storia d’amore con la bella Corinne e incontra nuovamente Meruhe. Abu Dun, dopo il morso di un topo di Marius, cerca di uccidere Andrej. Nel finale, Meruhe elimina Marius e cade in una fornace.

Der Machdi (Il Machdi, 2011)
Andrej e Abu Dun sono a Costantinopoli dove gli uomini del sultano combattono contro i seguaci del misterioso Machdi, capo di una setta che assume una potente droga per ottenere forza straordinaria. Abu Dun prova quella droga e ne diventa dipendente. Andrej e Abu Dun partono per l’Egitto con Sharif, capo dell’esercito, per eliminare il Machdi e liberare Murida, la figlia del sultano. Nel classico colpo di scena che non manca mai nei volumi della saga, Sharif si rivela il padre di Murida. Lo scopo del sultano era di utilizzare i due immortali per le sue mire di conquista. Nel corso delle avventure, Abu Dun perde una mano e Murida è ferita a morte: per salvarla, Andrej la rende una immortale. Mentre Murida diventata vampira semina vittime, Andrej e Abu Dun riescono a fuggire.

Pestmond (Pestilenza, 2013)

E’ il 1669. Abu Dun è morto per la droga del Machdi e Andrej accetta la proposta di un misterioso personaggio, Hasan as Sabah: l’uomo riporterà in vita Abu Dun se Andrej in cambio uccide Papa Clemente IX. Abu Dun risorge e con Andrej, Hasan e la figlia Ayla partono per Roma. A Jaffa, però, sono attaccati da morti viventi che mordono Andrej, contaminandone il sangue. Dopo innumerevoli vicissitudini in mare e su un’isoletta, scoprono che Hasan as Sabah è in realtà il Papa.

Nekropole (Necropoli, 2013)
Tornati a Roma, Andrej e Abu Dun (che ha sostituito la mano perduta con una protesi di ferro) trovano la città assediata dai morti viventi. Il Papa, alias Hasan, è stato rapito con Ayla e i due immortali si mettono alla sua ricerca. Raggiunta la necropoli sotto il Vaticano, combattono gli zombi che si rivelano creati da Ayla: Andrej e Abu Dun devono eliminare la ragazza.

Dunkle Tage (Giorni bui, 2017)
A Roma, Andrej e Abu Dun sono aggrediti in un’imboscata, ma gli uomini del cardinale Altieri li salvano. Come ricompensa, il cardinale vuole che i due immortali vadano in missione segreta nella città di Hamblen, dove infuria la peste. In città, Andrej e Abu Dun devono affrontare cavalieri misteriosi e creature mostruose che rapiscono i bambini. Hamblen (che ovviamente allude a Hamelin, la città del pifferaio magico secondo la fiaba) è infestata da topi aggressivi contro i quali devono battersi i due guerrieri immortali. Attualmente è l’ultimo libro della saga, senza però che contenga una conclusione. Non è escluso un seguito.

GLI IMMORTALI MULTIMEDIALI

Quasi tutti i romanzi della saga Cronache degli immortali sono stati trasformati in audiolibri (in lingua tedesca) da Egmont, Bastei Lübbe e Audible Studios.

Copertine di due edizioni degli audiolibri per Der Vampyr

I primi tre romanzi della saga hanno avuto una trasposizione a fumetti, elegante e di successo. I testi erano di Benjamin von Eckartsberg, fedele alle storie originali quasi alla lettera. Il primo episodio aveva disegni di Thomas von Kummant, mentre i due seguenti di Chaiko, con un accurato uso del colore. Le tre avventure a fumetti sono state pubblicate anche in Italia, nel 2015, da Editoriale Cosmo in tre albi: L’abisso, Il vampiro, Il colpo di grazia.

Tavole dai fumetti ispirati alle Cronache degli immortali

I personaggi delle Cronache degli immortali sono stati rielaborati per un’opera rock, Blutnacht, che ha debuttato nel gennaio 2012 al Pfalztheater di Kaiserslautern. Il gruppo progressive metal Vanden Plas, del quale Wolfgang Hohlbein è un fan, ha scritto per la messa in scena 19 canzoni. La Frontiers Records ha poi pubblicato due album con i brani dei Vanden Plas, Chronicles of the Immortals – Netherworld (Path 1) nel 2014 e Chronicles of the Immortals – Netherworld (Path 2) nel 2015.
Il libretto dell’opera rock era scritto dal cantante dei Vanden Plas, Andy Kuntz, insieme a Hohlbein e a Dieter Winkler. Lo spettacolo riproponeva vicende e personaggi delle Cronache degli immortali, mettendo in scena anche molti combattimenti con la scimitarra.

L’opera rock Blutnacht


In occasione dell’omonima opera rock, Hohlbein ha scritto con Dieter Winkler un romanzo, Blutnacht (Notte di sangue, 2012), che permette di capire i rimaneggiamenti della storia per la messa in scena a teatro. Le avventure comparse in diversi volumi della saga sono sintetizzati e modificati. Andrej Delany e Abu Dun si separano: il primo va in Transilvania sulla tomba del figlio Marius, mentre il secondo è in viaggio per Londra alla ricerca di Frederic che è diventato il capo dei bambini di strada agli ordini del dio Loki. Andrej è attaccato da un misterioso cavaliere nero ed è ferito gravemente. Compaiono la sua amata Maria e suo fratello Domenicus, l’inquisitore. Domenicus salva Andrej con un elisir, che però perde l’immortalità. La dea Meruhe propone ad Andrej di diventare un dio, ma in cambio deve rinunciare alla sua umanità e a Maria. Quando Andrei sta per accettare il patto, Abu Dun lo ferma.

Andrej e Maria in Blutnacht

IL VAMPIRO CON LA SCIMITARRA

Wolfgang Hohlbein, nato a Weimar nel 1953, è uno degli autori tedeschi di fantasy e fantastico più noti in patria, ma che vanta anche innumerevoli traduzioni in tutto il mondo (dichiara di aver venduto più di 40 milioni di copie). A lui si deve una lunga saga incentrata sul guerriero transilvano Andrej Delãny, immortale vampiro. Una ventina di titoli, per migliaia di pagine (molti volumi si aggirano tra le 500 e le 700 pagine), che si sono estesi ad altri media: l’audiolibro, il fumetto, il teatro.

Illustrazione di Peter Popken ispirata al vampiro Andrej

I vampiri sono ricorrenti nella infinita produzione di Hohlbein. Probabilmente il primo riferimento al vampirismo compare all’interno di una lunga saga, nota in Italia come “Il ciclo dello stregone”, arrivata a una sessantina di episodi, ambientata nell’universo di H.P. Lovecraft e firmata inizialmente con lo pseudonimo collettivo Robert Craven. Tra gli innumerevoli volumi della serie, infatti, c’è Die Chrono-Vampire (I cronovampiri, 1985; trad.it. All’ombra della bestia in W. Hohlbein, L’orma dello stregone, Armenia, 2008), mentre un altro romanzo in tema, singolo, è Dunkel (Buio, 1999), dove Vlad Tepes Dracula, vampiro, miete vittime nella Germania di oggi: il personaggio, però, non ha riferimento con il Draculea che comparirà nelle Cronache degli immortali. L’argomento vampiresco è anche al centro di Unheil (Malvagità, 2007; trad. it. I seguaci del vampiro, Newton Compton, 2009), con uno psicopatico serial killer definito “Il Vampiro del Reno” e un misterioso Vlad che contatta la polizia vestito da Dracula.
Nel 1999 si avvia la saga Die Chronik der Unsterblichen (Le cronache degli immortali), dove si raccontano le avventure di Andrej Delãny. Nel primo romanzo della saga non compare mai la parola “vampiro” per descrivere la condizione di Andrej e i suoi strani poteri. Solo con il secondo episodio si afferma che Andrej è un “vampyr” e il termine sarà utilizzato correntemente in tutti i libri successivi.
I vampiri delle Cronache hanno caratteristiche precise: bere sangue di altri vampiri dà loro una forza straordinaria; con i loro sensi acuti possono percepire la presenza di altri vampiri; possono assorbire energia dalle loro vittime anche senza morso.
La saga presenta “luoghi comuni” ripetuti sostanzialmente in ogni libro: un continuo susseguirsi di descrizioni dei combattimenti tra i due eroi della serie e i loro avversari; un momento quasi immancabile in cui Andrej è catturato e torturato; la lotta dello stesso Andrej contro i suoi istinti vampireschi e la sua ostinazione nel negare sempre l’esistenza dei vampiri; infine un cliffhanger in chiusura dei volumi per preannunciare il libro successivo.

Solo i primi tre volumi della saga sono stati tradotti in italiano.

Dal fumetto Il vampiro

I TITOLI DELLA SAGA / prima parte

Am Abgrund (Nell’abisso, 1999; trad. it. Nell’abisso, Editrice Nord, 2005, poi ristampato per Tea con il titolo Il sangue del cavaliere)
XV secolo. Andrej Delãny dopo un lungo esilio torna a Borsã, il suo villaggio della Transilvania. Gli abitanti sono stati sterminati o deportati dall’esercito dell’inquisitore Domenicus e tra le vittime c’è anche Marius, il giovanissimo figlio di Andrej. L’unico scampato è Frederic, un ragazzino amico di Marius. Con lui Andrej parte nella speranza di salvare i prigionieri, e giunge nella città portuale di Costanza. Nel corso del viaggio i due sono aggrediti, ma Andrej guarisce quasi istantaneamente da ogni ferita o ustione. A poco a poco sarà evidente che si tratta di un immortale, con capacità straordinarie sin dall’infanzia: proprio quelle sue inquietanti stranezze avevano provocato il suo allontanamento da Borsã. In città Andrej si innamora di una ragazza misteriosa, Maria, ma scopre che è la sorella dell’inquisitore Domenicus. Durante uno scontro con gli uomini dell’inquisitore, Frederic ferisce gravemente Domenicus, provocando la disperazione di Maria. Dopo un tentativo di fuga, Andrej è catturato dal duca di Costanza. Mentre Andrej è prigioniero, il cavaliere Malthus gli dice di essere un immortale come lui. Dopo che gli ha spiegato come si può uccidere uno di loro, Malthus affronta Andrej in un duello violento, vinto da quest’ultimo. Bevendo il sangue della sua vittima Andrej si rinvigorisce e fugge. Il duca è ucciso da Frederic, che si rivela a sua volta un immortale. Andrej ha appreso che i superstiti di Borsã sono prigionieri sulla nave del mercante di schiavi africano, il gigantesco Abu Dun: con il ragazzino, Andrej decide di inseguire lo schiavista.

Der Vampyr (Il vampiro, 2000; trad. it. Il principe Vlad, Editrice Nord 2006)
Andrej e Frederic giungono a bordo della nave di Abu Dun che sta risalendo il Danubio. Un vascello nero, comandato da un cavaliere che indossa un’armatura rosso sangue irta di punte, dà alle fiamme la nave: soltanto Andrej, Frederic e Abu Dun riescono a salvarsi. A terra, si trovano coinvolti nella guerra tra i soldati turchi e gli uomini del cavaliere rosso, il principe Vlad Tepes, detto Dracula. Catturati dal principe, apprendono che Domenicus e Maria sono suoi ospiti e chiedono che Andrej sia consegnato a loro. Per lasciarli scappare, il principe chiede ad Andrej e Abu Dun di uccidere il sultano. I due accettano, aiutati da Vlad, una guardia del principe. Ma Vlad propone ai due guerrieri di eliminare il principe, a suo parere diventato un mostro. E’ una trappola: Vlad in realtà è proprio il principe Dracula che ha come scopo di ottenere l’immortalità dai vampiri. Dracula fa decapitare Domenicus, sevizia Maria, ma è ucciso dai turchi. Il suo spirito si impadronisce di Frederic che ora è spietato e assetato di sangue: “Cos’avevano creato?” è la domanda che chiude il libro.

Copertine dell’edizione francese e di quella italiana per Der Vampyr

Der Todesstoß (Il colpo di grazia, 2001; trad. it. Il rogo dell’inquisitore, Editrice Nord 2006)
Dieci anni dopo la precedente avventura, Andrej sta attraversando l’Europa con Abu Dun per ritrovare Maria. In un villaggio della Baviera salvano una ragazza dal rogo degli inquisitori e Andrej capisce che è come lui, una vampira. La ragazza, però, soffre di una grave febbre e muore, dopo aver rivelato che la Puuri Dan, un’anziana donna cieca, conosce il segreto degli Immortali. Andrej scopre così che i vampiri possono essere uccisi da una malattia. Andrej e Abu Dun giungono al villaggio di Trentklamm, dove sgominano i lupi mannari che infestano il paese.

Der Untergang (La caduta, 2002)
Un anno dopo, Andrej e Abu Dun stanno ancora cercando la Puuri Dan. La trovano nella Germania centrale, ma non ha nulla da rivelare. Sua figlia, Elena, è a capo di una covata diabolica e viene uccisa da Andrej. Abu Dun è trasformato in vampiro e continua il viaggio con Andrej.

Die Wiederkehr (Il ritorno, 2003)
Vienna, 1529. Sono passati molti anni dall’ultima avventura. Andrej e Abu Dun arrivano nella città per trovare una spiegazione alla loro condizione di vampiri, ma si trovano coinvolti nell’assedio da parte dei turchi. Difendono Vienna e apprendono che altri vampiri stanno mietendo vittime. I due si scontrano con i turchi e i vampiri, tra i quali trovano Frederic, sempre posseduto dallo spirito di Dracula, ma Andrej non ha la forza di ucciderlo.

Die Blutgräfin (La Contessa Sanguinaria, 2004)
Ancora nel 1529. Alla ricerca della scomparsa Maria e di notizie sull’origine dei vampiri, Andrej e Abu Dun giungono in un piccolo villaggio ungherese, dove avvengono orribili omicidi. Si dice che la responsabile sia una donna misteriosa, chiamata “La Contessa Sanguinaria”. Un incantesimo fa credere ad Andrej che la contessa sia la sua amata Maria, ma è solo un’illusione.

(continua)

VAMPIRI SERIALI E MULTIMEDIALI

C’è una parentela forte tra il vampirismo e una particolare forma di comunicazione e narrazione: la serialità.
“Ripetizione seriale e fascino reiterato sul pubblico-spettatore affratellano il vampiro e il serial”. Così scrivevo nell’ormai lontano 1985 in Il libro dei vampiri (Dedalo). E aggiungevo questi elementi: “La reiterazione degli eventi, tuttavia sempre differenti nella loro evoluzione, è tipica della serialità, dai romanzi d’appendice ai serial del cinema degli anni Dieci (come Les Vampires di Louis Feuillade, del 1915), ai telefilm. Tutte le puntate sono in fondo uguali a se stesse, ma le somiglianze tra le puntate sono rese irriconoscibili da mille espedienti e mascherature. ll colpo di scena è sulle prime inaspettato, poi, alla decima puntata è facilmente prevedibile. Eppure ciò non diminuisce il rapimento dello spettatore. Il serial, infatti, può essere ricondotto a un’altra delle fonti narrative del vampiro, la fiaba. Il bambino ascolta la stessa fiaba innumerevoli volte, e innumerevoli volte la richiede, anche se sa a memoria come va a finire. Ogni volta la fiaba riacquista il sapore del nuovo, e il bambino non si stanca di ascoltarla. (…) Questo fascino della ripetizione è stato ben capito dagli astuti manager della casa produttrice Hammer, negli anni Sessanta. La loro interminabile serie di film dell`orrore aveva delle costanti nelle trame e negli stessi protagonisti che anticipavano, su un piano artigianale ed eminentemente cinematografico, il perfezionarsi del serial televisivo”.

Les Vampires

E ancora: “ll seriale, tra l’altro, sembra adatto al vampiro anche nella letteratura. Le «puntate››, che ritornano periodicamente ad affascinare il lettore o lo spettatore (e il lettore o lo spettatore non può fare a meno di seguire la reiterazione delle vicende) sono molto analoghe ai vampiri che ogni notte si abbeverano al collo della vittima. ll romanzo d’appendice, antenato cartaceo del telefilm, inaugura un meccanismo narrativo e produttivo dalla lunga vita. Già nel 1847 la giovane editoria «commerciale» utilizza il vampiro come personaggio base di un lungo feuilletton, Varney the Vampyre“.

Varney the Vampyre; or, the Feast of Blood.

Questa lunga autocitazione mi serve per indicare le ragioni dei prossimi post di “Vampyrismus”, dedicati ad alcune saghe sui vampiri. Saghe multimediali, quasi sempre diffuse su più mass media. Saghe che partono spesso dalla narrativa o dal fumetto e approdano al cinema, alla tv, al palcoscenico, ecc. Il primo appuntamento sarà con Le cronache degli immortali, saga creata da Wolfgang Hohlbein.

VAMPIRI ARRUOLATI PER LA GUERRA

In Ucraina sono arrivati i Vampiri. Si tratta di un nuovo sistema antiaereo, inviato dagli Usa, per abbattere i droni.
Denominato V.A.M.P.I.R.E., acronimo di Vehicle-Agnostic Modular Palletized Isr Rocket Equipment, è un lanciarazzi portatile a quattro canne, installabile sul retro di un pick-up. L’azienda americana di armamenti L3Harris lo pubblicizza nella sua brochure come una normale merce da supermercato: “Il sistema VAMPIRE offre una soluzione efficace e a basso prezzo per il dispiegamento di armi”.

L’articolo di “Wired” che annunciava la fornitura di lanciarazzi VAMPIRE all’Ucraina

Non è la prima volta che i “vampiri” sono arruolati in una guerra, o meglio che il termine “vampiri” è utilizzato in chiave bellica. Nel 1944 era stato prodotto il de Havilland DH.100 Vampire, un jet da combattimento britannico. Negli anni successivi è stato acquistato da diversi stati.

I jet da combattimento Vampire in dotazione a varie nazioni

I missili usati dal V.A.M.P.I.R.E. costano “solo” 27mila dollari l’uno. Una cifra estremamente bassa, secondo “Wired”, se paragonata ad altri missili simili in dotazione del Regno Unito che costano 1,5 milioni di dollari l’uno: la differenza è che il V.A.M.P.I.R.E. non è ad alta tecnologia, spara missili di vecchia generazione a guida tradizionale.
Per tentare di abbattere droni da pochi dollari si useranno missili da 27mila dollari ciascuno che potrebbero facilmente mancare il bersaglio. Di certo, quindi, ogni lancio di razzi V.A.M.P.I.R.E. “vampirizza” le casse statali, a scapito di altre spese “pacifiche”. I vampiri sono sempre insidiosi!