ALLE FONTI DEL VAMPIRO MODERNO / 6

Il Vampiro psichico di George Sylvester Viereck

Abbiamo visto negli articoli precedenti che il 1909, a dodici anni di distanza dalla poesia The Vampire di Rudyard Kipling, ha ospitato un’ondata senza precedenza di vampiri, soprattutto a teatro. Quell’anno si era aperto con uno spettacolo teatrale, The Vampire, tratto non da Kipling, ma dal romanzo breve The House of the Vampire di un autore interessante e controverso: George Sylvester Viereck, nato in Germania nel 1884. Il padre, che si diceva fosse figlio illegittimo del Kaiser Guglielmo I, era un attivista marxista che emigrò negli Stati Uniti nel 1896. Qui George Sylvester fin da giovanissimo si dedica alla poesia. A 17 anni aveva stretto amicizia con Lord Alfred Douglas, il poeta che era stato compagno di Oscar Wilde, e nel suo Youthful Diary 1899-1903 affermava: “Amo tutto ciò che è malvagio! Amo lo splendore della decadenza, la ripugnante bellezza della corruzione. Ciò che odio sono gli inquisitori, freddi, gelidi raggi del sole. Il giorno è nausea, il giorno è noia, il giorno è prosa. La notte bellezza, amore, splendore, poesia, vino, aggressione, violazione, vizio e torpore. Io amo la notte”.

Nel 1905, Viereck fece girare la notizia, da lui inventata, che Wilde non era morto, ma si era nascosto in attesa di un ritorno spettacolare quando le leggi britanniche sulla sodomia fossero cambiate. Dopo aver pubblicato apprezzate poesie, Viereck a ventidue anni scrive The House of the Vampire (Moffat, Yard, New York 1907), dove il Vampiro non sottrae sangue alle sue vittime, ma idee.

Il Vampiro del titolo è un divo del mondo letterario, Reginald Clarke, ispirato chiaramente a Oscar Wilde. Noto a New York per l’oratoria affascinante, Clarke attrae nella sua casa giovani intellettuali che sono sedotti dalla sua forte personalità. La lussuosa “casa del vampiro” si trova a Riverside Drive, elegante strada alberata sul fiume Hudson. È una sorta di tipica casa del decadentismo, nello stile (in Italia) delle abitazioni di Gabriele D’Annunzio o di Mario Praz. Tra pesanti drappeggi che mantengono nelle stanze una parziale oscurità, sul camino c’è un satiro con Santa Cecilia, poi ci sono fauni, sfingi, busti di Shakespeare e Balzac ai quali Clarke si paragona, ritratti di Napoleone e damine rococo.

Il giovane poeta Ernest Fielding va a vivere nella casa di Clarke, ma presto si rende conto che alcuni personaggi e situazioni da lui creati compaiono nelle opere del suo ospite. Clarke gli spiega che il genio è caratterizzato dalla capacità di “assorbire” dalla vita: “ri-creare”, dice, è la prerogativa del poeta. Un amico scultore confida a Ernest di aver perso improvvisamente l’idea di una statua che voleva scolpire, “come se un soffio di vento l’avesse portata via”. E anche la bella artista Ethel Brandenbourg ha la sensazione di essere derubata della sua creatività e mette in guardia Ernest, innamorato di lei: “Di certo sai che nelle leggende di ogni nazione si legge di uomini e donne chiamati vampiri. Sono esseri, non sempre del tutto malvagi, che ogni notte un impulso misterioso spinge a introdursi nelle camere da letto incustodite per succhiare il sangue di chi dorme e poi, rinvigoriti dalla vita delle loro vittime, si ritirano con cautela. Per questo motivo hanno le labbra molto rosse. Si è detto anche che non possano trovare riposo nella tomba, ma tornino nei loro luoghi precedenti dopo che sono stati ritenuti morti. Coloro ai quali fanno visita, comunque, languiscono senza una ragione apparente. I medici scuotono le teste sapienti e parlano di consunzione. Ma a volte, ci garantiscono antiche cronache, nella gente sorgevano dei dubbi e sotto la guida di un buon prete andavano in solenne processione alle tombe delle persone sospettate. E aprendo le tombe si scopriva che le bare erano marcite e i fiori nei capelli erano neri. Ma i loro corpi erano intatti, non c’erano orbite vuote dove strisciassero vermi e le labbra con cui succhiavano erano ancora inumidite da un po’ di sangue”.

Il nesso con il vampiro soprannaturale è quindi dichiarato. Del resto, come il vampiro leggendario Clarke si introduce nascostamente nelle camere da letto delle proprie vittime, per sottrarre le idee durante il sonno. Invece del morso, usa le mani per trasmettere a sé stesso le idee degli altri o, di giorno, fissa intensamente negli occhi le sue prede. Espropriate delle loro idee, le vittime del Vampiro sentono estinguersi la fiamma artistica. A loro è sottratto lo spirito e sono assorbite non solo le idee, ma tutte le energie mentali delle prede, svuotate dei migliori pensieri, della forza vitale, fino a precipitare in una catastrofe fisica e psichica.

Come la Vampira di A Fool There Was, anche Clarke trionfa alla conclusione del romanzo, senza lieto fine. Nelle ultime righe Ernest è ridotto a una larva, gli occhi ormai privi di qualsiasi scintilla, “senza presente e senza passato”, un idiota che farfuglia e inciampa scendendo una scala. Si noti che una scala era anche lo sfondo scenografico dei vari balletti ispirati alla poesia di Kipling The Vampire, che abbiamo descritto in articoli precedenti.


La copertina originale del romanzo e, accanto, un’edizione francese del 2003, tradotta e introdotta da Jean Marigny, esperto di vampiri letterari

Al contrario di altri scrittori vittoriani e degli inizi del secolo, Viereck non ritrae negativamente il Vampiro, ma implicitamente lo assolve e anzi parteggia per lui, spiegando così la sua interpretazione del vampirismo: “Nel trattare questo argomento ho fatto ciò che altri scrittori non hanno fatto: cioè, l’ho reso psichico. Il mio Vampiro è il Superuomo di Nietzsche. È giustificato nel rubare dalle menti degli altri. È una figura peculiare della letteratura e del teatro nel mondo” (“New York Times”, 30 gennaio 1909).

Il vampirismo spirituale proposto da Viereck è attuato da geni con la statura di giganti che fanno avanzare la cultura e la società, depredando gli inferiori. Nina Auerbach sostiene che in Viereck “il potere del vampiro non è solo perverso, ma progressista: i vampiri di Stoker sono atavici nemici del progresso, i vampiri psichici di Viereck sono motori dell’avanzamento umano” (Our Vampires, Ourselves, The University Press of Chicago, Chicago 1995).

Oltre a essere una lode del Superuomo,The House of the Vampire è una sorta di celebrazione del plagio (su questo aspetto è imprescindibile Paul K. Saint-Amour, The Copywrights: Intellectual Property and the Literary Imagination, Cornell University Press, Ithaca 2011). Da poco le legislazioni europee avevano esteso il copyright anche dopo la morte degli autori e Viereck di fatto si oppone al concetto stesso di “diritto d’autore”, soprattutto nei confronti di opere non pubblicate: i “geni” sono autorizzati ad appropriarsi delle idee da creatori incapaci o senza doti straordinarie e per un “Superuomo” è lecito impadronirsi delle creazioni di autori “inferiori”.

Tra Clarke, uomo maturo, e la giovane vittima Ernest c’è un’attrazione omosessuale, tanto che il romanzo è convenzionalmente definito “gay vampire novel” e indicato come una delle prime rielaborazioni omoerotiche del vampirismo. Viereck, del resto, nelle sue prime poesie trattava spesso di amori tra uomini, ma in realtà i due protagonisti principali del romanzo sono bisessuali, perché entrambi amano o hanno amato delle donne.

George Sylvester Viereck

Dal romanzo al teatro

A due anni dall’uscita di The House of the Vampire, la permanente popolarità del vampiro in versione kiplinghiana induce Viereck a trasporre il romanzo in un testo teatrale in tre atti, scritto con il suo compagno di studi Edgar Allen Woolf che molti anni dopo sarà tra gli sceneggiatori del film The Wizard of Oz (Il mago di Oz, 1939). Per il teatro si sceglie di intitolare l’opera soltanto The Vampire, proprio come la poesia di Kipling e il quadro di Burne-Jones.

Prodotto dai celebri manager teatrali Jacob J. Shubert e Lee Shubert, The Vampire dopo un’anteprima a Albany fa il suo esordio all’Hackett Theatre di Broadway il 18 gennaio 1909 e chiude dopo 24 repliche, per spostarsi poi alla Grand Opera House di Chicago. Il ruolo del Vampiro era interpretato da John E. Kellerd, la vittima da John Westley e nello spettacolo recitava nella parte di un’altra delle vittime anche Warner Oland, futuro Fu Manchu e Charlie Chan sugli schermi. In occasione delle rappresentazioni si stampò un volantino con la domanda: “Credete nei Vampiri?”. Distribuito in un centinaio di copie, ottenne il 97 % di risposte “Sì”.

Il testo teatrale non è stato pubblicato e si possono desumerne i contenuti solo dalle recensioni di allora. La revisione del romanzo firmata da Viereck e Woolf cambia il finale, con la protagonista femminile che salva il giovane poeta, ma lascia intatte le riflessioni sul “vampirismo letterario”. Cambiano anche i nomi dei personaggi. Reginald Clarke diventa Paul Hartleigh, Ernest diventa Caryl e Ethel Brandenbourg si trasforma in Allene Arden modificandone inoltre la biografia: nel romanzo Ethel era un’ex amante di Clarke, mentre nel testo teatrale Allene è figlia di una passata amante dello scrittore e lo chiama “papà”. Nella conclusione dello spettacolo, Allene resta di notte nella camera da letto di Caryl e sorprende il Vampiro che sta per rubare dalla mente del giovane le idee di un suo romanzo non ancora scritto: gettandosi tra Caryl e il Vampiro, Allene impedisce l’estrema sottrazione di idee e vitalità. L’atto di vampirizzazione era visualizzato mostrando Hartleigh che pone le mani sulle teste delle sue vittime, mentre dormono, per assorbirne i pensieri.

Per quanto alcune critiche lo reputassero debole e “caotico” (“The Billboard”, 13 febbraio 1909), “freddo” e incapace di suscitare simpatia nel pubblico (“The New York Press”, 22 gennaio 1909), The Vampire suscitò più ancora del romanzo grande attenzione (anche per il tema della “proprietà letteraria” rubata), tanto che il fratello di Woolf, lo stimato pittore Samuel Johnson Woolf, scrisse a Mark Twain pregandolo di vedere The Vampire all’Hackett Theatre e mettendogli a disposizione un palco. Lo spettacolo restò in tournée per due anni sotto le cure dei fratelli Shubert e l’attore italiano Amleto Novelli voleva portare The Vampire in Europa, ma il progetto pare non si sia concretizzato.

Paradossalmente Viereck e Woolf, che avevano scritto quel testo fantasticando sul plagio, finirono accusati di plagio. Uno scrittore, Arthur Stringer, sosteneva di aver trovato interi passaggi di un suo romanzo nell’opera teatrale. Il commediografo Maurice Lyons intentò una causa affermando di avere scritto nel 1907 un testo dallo stesso titolo The Vampire. Analogamente Madame Fuji-ko (della quale abbiamo scritto qui) rivendicava il copyright sui titoli The Vampire, The Vampire Cat e The Vampire Cat of Nabeshima, accusando Viereck e Woolf di essersi appropriati indebitamente di quel titolo.

I due protagonisti principali di The Vampire in una vignetta da “The Evening World” (19 gennaio 1909)

Viereck dopo The Vampire

Considerato ormai un giovane prodigio, Viereck proseguì la sua scalata nel mondo giornalistico e letterario. Non nascondeva le sue posizioni reazionarie, opposte a quelle del padre, che lo porteranno a subire il fascino di Hitler e diventare un propagandista del nazismo in terra americana. Godeva tra l’altro dell’amicizia e della protezione di grandi intellettuali non certo di destra come H.G. Wells e George Bernard Shaw (vedi John V. Antinori, Androcles and The Lion Hunter: G.B.S., George Sylvester Viereck, and the Politics of Personality, “Shaw”, vol. 11, 1991). Con Shaw l’amicizia non tramontò mai, anche se tra i due si intromise un episodio che si potrebbe definire di “vampirismo”: Shaw accusò Viereck di avergli attribuito, facendogli un’intervista, considerazioni che erano solo sue. In una lettera del 6 dicembre 1929, Shaw protesta duramente con Viereck per quell’intervista che non conteneva nulla di autentico e lo accusa di “guadagnarsi da vivere” attribuendo a lui le sue opinioni personali, facendogli dire cose che non ha detto. Insomma, Viereck avrebbe approfittato dell’intervista per vampirizzare Shaw e veicolare le proprie opinioni (“ti limiti a riportare tue nozioni che sono suggerite dagli argomenti che io menziono”, si legge nella lettera).

Oltre a Wells e Shaw, tra le amicizie di Viereck si annoverava anche Nikola Tesla, mentre con Aleister Crowley collaborò per la rivista “The International”. Alla ricerca di “geni” che avvalorassero le sue teorie superomistiche, Viereck intervistò Sigmund Freud e Albert Einstein, incontrò Benito Mussolini, ma rimane negli annali soprattutto la sua intervista a Adolf Hitler dell’ottobre 1923 pubblicata su The American Monthly”, periodico diretto dallo stesso Viereck (significativo, per i tempi odierni, lo slogan “America First” che campeggiava accanto alla testata). Hitler, non ancora Führer, delineava il suo progetto politico e proclamava soprattutto il suo odio per i comunisti e il marxismo. Quando anni dopo è ristampata in forma modificata daLiberty” (9 luglio 1932), l’intervista si apre con una frase dalle assonanze vampiresche. Descrivendo il colloquio con il capo dei nazionalsocialisti, avvenuto sorseggiando del tè, Viereck commenta: “Adolf Hitler svuotò la sua tazza come se non contenesse tè, ma il vivo sangue del bolscevismo”.

Fervente anticomunista, Viereck era stato già al centro di polemiche per la sua propaganda filotedesca durante la Grande Guerra, tanto che la sua casa nel 1918 fu protetta dalla polizia per timore di attacchi. Negli anni Trenta è un sostenitore di Hitler e continua a promuovere le politiche naziste anche durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1941 per il suo collaborazionismo subì un processo che fece scalpore e lo portò a trascorrere quasi quattro anni in prigione. Viereck ottenne comunque un trattamento privilegiato, in una cella dotata di libreria e dove aveva potuto portare preziosi oggetti personali. Dopo la scarcerazione pubblica un libro di memorie sulla condizione di vita in prigione e un ultimo romanzo, The Nude in the Mirror  (Woodford Press, New York 1953). Muore nel 1962, a 77 anni.

L’intervista di Viereck a Hitler (da “Liberty”, 9 luglio 1932)