ALLE FONTI DEL VAMPIRO MODERNO / 2

La vampira di Kipling

Per un trentennio il mondo anglosassone, e non solo, fu attraversato da quella che si definì “vampire craze”, una vera e propria “mania per i vampiri” (o meglio per le vampire), avviata nel 1897 con il quadro e la poesia The Vampire per poi passare il testimone, nel 1927, alla passione per Dracula grazie a Bela Lugosi.

Come abbiamo visto nell’articolo precedente, l’inizio della saga di The Vampire (imperniata su una donna che porta sventura e distruzione ai maschi, preferibilmente benestanti e sposati) è avvenuto con il quadro di Philip Burne-Jones. Ma quella vampira vittoriana dipinta forse non avrebbe avuto successo per decenni se non fosse stata accompagnata dalla poesia scritta per l’occasione dall’autore del Libro della giungla, Rudyard Kipling. È uno dei primi esempi di vampiro multimediale che attraversa differenti mezzi di comunicazione e di espressione: un quadro, una poesia, poi un testo teatrale, un romanzo, diversi film, balletti.

Le loro madri erano sorelle, quindi Kipling e Burne-Jones si erano frequentati fin da bambini e per un periodo, in età adulta, furono legati da stretta amicizia. Ci si è chiesti se per The Vampire Burne-Jones si sia ispirato alla poesia di Kipling o viceversa. Stando alle sue dichiarazioni, in occasione dell’intervista che rilasciò a “The Argus” nel 1898, il pittore aveva avuto in mente il soggetto di The Vampire per molti anni e pare ormai certo che Kipling scrisse la poesia solo dopo aver visto il quadro del cugino, per aiutarlo a lanciare la sua opera.

Due cartoline postali con la riproduzione del quadro di Burne Jones e la poesia di Kipling

La prima apparizione in forma stampata della poesia è perciò affidata alla pagina 8 nel catalogo per la mostra della New Gallery, dove il quadro era esposto come opera n. 15. Il padre di Philip, il pittore Edward Burne-Jones, sapeva che Kipling, su richiesta del cugino, aveva scritto una poesia per quel catalogo. Andrew Lycett (in Rudyard Kipling, Weidenfeld & Nicolson, London 1999) cita un ricordo dell’assistente personale dell’artista, Thomas Rooke, che il 19 aprile 1897 discusse del quadro e della poesia The Vampire con il grande pittore preraffaellita. Secondo Edward Burne-Jones, “la poesia di Ruddy sul quadro di Phil” era talmente lunga che il catalogo sarebbe stato occupato quasi tutto da quel testo. In realtà la poesia era piuttosto breve, ma di certo focalizzò l’attenzione di pubblico e critica su quell’unico quadro, a detrimento delle altre opere esposte compresi dipinti di John Singer Sargent e dello stesso Edward Burne-Jones.

Questo il testo di The Vampire, in una traduzione rielaborata da Vampirismus. Gotico e fantastico nel mito del vampiro (Alfamedia, Roma 1986):

C’era un folle e diceva le preghiere
(proprio come te e me!)
per uno straccio, un osso e una matassa di capelli
(la chiamavamo la donna che di nulla si cura)
ma il folle la chiamava la sua bella signora
(proprio come te e me!)

Oh, gli anni sprecati e le lacrime sprecate
e il lavoro della nostra mente e della nostra mano
appartengono alla donna che non sapeva
(e ora sappiamo che non avrebbe mai potuto sapere )
e che non capiva.

C’era un folle e spese i suoi beni
(proprio come te e me!)
l’onore e l’onestà e un vero ardore
(e non era quello che la signora voleva)
ma un folle deve seguire la sua inclinazione naturale
(proprio come te e me!)

Oh, le energie che abbiamo perso e i guadagni che abbiamo perso
e le grandi cose che progettavamo
appartengono alla donna che non sapeva perché
(e ora sappiamo che non avrebbe mai saputo perché)
e non capiva!

Il folle fu spogliato sino all’osso
(proprio come te e me!)
e lei poteva accorgersene quando lo gettò via
(ma non risulta che la signora abbia provato ad accorgersene)
al punto che un poco di lui visse, ma il più di lui morì
(proprio come te e me!)

E non è la vergogna e non è la colpa
che morde come un tizzone incandescente.
Ma venire a sapere che lei mai seppe perché
(vedendo, alla fine, che lei mai avrebbe potuto sapere perché)
e mai avrebbe capito.

Un’edizione americana di The Vampire del 1898

La coincidenza temporale tra la poesia di Kipling e la pubblicazione del romanzo Dracula di Bram Stoker (il 17 aprile 1897 la prima, il 26 maggio il secondo) avviò un interesse inusitato per i vampiri alla fine del secolo e per i decenni successivi. Ma in quel periodo a influenzare il senso comune e persino il linguaggio non fu Dracula, ma The Vampire. Un decennio dopo, la parola “vampire” era associata correntemente solo al vampirismo parassitario indicato da Kipling e Burne-Jones e agli esotici pipistrelli mostrati nelle fiere che si diceva succhiassero il sangue, tanto che “The New York Times” (5 marzo 1899) scriveva: “La gente oggi usa con noncuranza la parola ‘vampiro’ come termine più forte e un po’ più spregevole di ‘parassita’… Probabilmente poche persone sanno cos’è un vero vampiro”. E il quotidiano si sentiva in dovere di spiegare che i vampiri risalgono alle credenze popolari sui morti che tornano dalla tomba e si cibano del sangue dei viventi (sostenendo del tutto fantasiosamente che “questa superstizione era prevalente nel sud Italia mezzo secolo fa”). Dracula quindi non aveva lasciato il segno sui lettori di quegli anni con il suo vampiro soprannaturale, ed erano momentaneamente dimenticati The Vampyre di John Polidori (1819) e Carmilla di Joseph Sheridan Le Fanu (1872): a conclusione del secolo era The Vampire a imporre la concezione realistica del vampirismo, un vampirismo “psicologico”, “spirituale” e soprattutto femminile, solo metaforicamente associato alle antiche credenze sui nonmorti.

È significativo che nel 1914 Ernst Havekost, in una sua pionieristica dissertazione di dottorato sulla leggenda dei vampiri in Inghilterra (Die Vampirsage in England, Facoltà di filosofia dell’Università di Halle-Wittenberg), citi Dracula solo come titolo, in un elenco di “opere minori” sul vampirismo, a testimonianza della inferiore notorietà del libro di Stoker, nei primi due decenni del Novecento, rispetto alla poesia di Kipling, riportata integralmente nella dissertazione.

Resta comunque importante e singolare che le due opere, Dracula e The Vampire, avessero fatto la loro comparsa a poche settimana di distanza l’una dall’altra. Entrambi accesi sostenitori dell’imperialismo britannico, Kipling e Stoker si conoscevano bene e si frequentavano almeno dal 1889, dato che il Lyceum Theatre di Irving era un crocevia per incontri tra intellettuali.

Il 3 febbraio 1892, Rudyard Kipling prende un treno con la moglie Caroline per recarsi a Liverpool e iniziare un viaggio di nozze negli Stati Uniti. Alla stazione, scrittori ed editori li salutano. C’era Henry James, ma c’era anche Bram Stoker. Secondo Jimmie E. Cain l’episodio dimostrerebbe “gli stretti rapporti tra Stoker e Kipling” (Bram Stoker, Geopolitics, and War in Bram Stoker and the Late Victorian World, a cura di Matthew Gibson e Sabine Lenore Müller, Clemson University Press, Clemson 2018).

Comunque, nella primavera del 1897 mentre Stoker era ancora intento a correggere le bozze di Dracula, Kipling aveva già scritto The Vampire. Charles Carrington (Rudyard Kipling: His Life and Work, Macmillan, London 1978) sostiene che Kipling non aveva preso sul serio quella poesia, non vi aveva messo nulla di se stesso e la considerava “un pezzo occasionale, un favore per il cugino Phil: niente di più”. Ciò sarebbe confermato dal fatto che Kipling non tutelò la proprietà del suo testo consentendo, come vedremo, il diffondersi incontrollato della poesia The Vampire su giornali e pubblicazioni “pirata”.

L’edizione Mansfield (1898) e Street & Smith (1899), entrambe di New York

Appena la poesia di Kipling compare sul catalogo per la mostra alla New Gallery è immediatamente pubblicata integralmente dai giornali. Parte il “Daily Mail”, contemporaneamente all’apertura della mostra, seguito da svariati quotidiani e riviste. Anche la stampa americana veicola la poesia (“New York Tribune” il 9 maggio 1897, “Buffalo Evening News” il 10 maggio, poi molti altri).

The Vampire visse poi un grande ritorno di popolarità tra il 1902 e il 1903, in coincidenza del tour americano di Philip Burne-Jones e della relativa esposizione del quadro The Vampire nelle gallerie degli Stati Uniti. Nel soggiorno americano del pittore i giornali parlarono spesso di lui e immancabilmente della poesia di Kipling, ristampata più volte. In quel contesto la poesia subì anche una piccola modifica: sul “Record-Herald” cambiarono nella prima strofa il termine “hank” (matassa), che sembrava poco appropriato riferito ai capelli, in “hunk”, dal significato simile, ma più spesso usato per definire un ammasso di capelli.

Tre citazioni dalla poesia di Kipling diventarono luogo comune, innumerevoli volte riproposte. Si tratta dell’incipit “A fool there was” (C’era un folle), della descrizione della donna-vampiro come “a rag and a bone and a hank of hair” (uno straccio, un osso e una matassa di capelli) e “the woman who did not care” (la donna che di nulla si curava), di “But the fool he called her his lady fair” (Ma il folle la chiamava la sua bella signora), oltre al ritornello “Even as you and I” (Proprio come te e me).

La poesia di Kipling affascinò i lettori perché vedevano rappresentata una paura e un’inquietudine molto diffusa alla fine del secolo: la donna non più passiva e sottomessa, ma capace di minacciare salute e beni dell’uomo.

Nella letteratura anglosassone la donna fatale aveva una lunga tradizione, che risale almeno alla belle dame sans merci di John Keats, in bilico tra soprannaturale e naturale. Nella versione di Kipling, ancor più che nel quadro di Burne-Jones (dove la ferita sul petto dell’uomo potrebbe indicare il morso di una creatura fantastica succhiasangue), la “vampira” è ricondotta al realismo, a una vera donna senza nulla di soprannaturale, anzi diffusa e nota all’epoca quanto meno nelle fantasie maschili. “The Marion Enterprise” (10 luglio 1897) citava un articolo del “Louisville Courier-Journal” per spiegare il successo della poesia di Kipling: “Non si tratta di meriti letterari eccezionali. Semplicemente si tratta del coraggio di Kipling nel dare espressione a ciò che gli altri pensano, ma non osano dire. Quel tipo di donna è comune, sia se si voglia credere che esista davvero o che esista soltanto nell’immaginazione degli uomini”.

In The Vampire gli uomini sono ingannati dall’apparenza (a loro pareva una bellissima dama, ma era solo “uno straccio, un osso e una matassa di capelli”), si rovinano per lei (spendendo “energie” e “guadagni”), fin quasi a morirne, per poi scoprire che era una donna sventata e incapace di capire qualsiasi cosa. L’uomo della poesia prova quindi vergogna di se stesso e soffre della propria stupidità. Per quanto chiaramente dettata da una mentalità che oggi si definirebbe semplicisticamente “patriarcale”, la poesia di Kipling non è certo lusinghiera verso il maschio vittoriano, ridotto a uno stupido che cade nella trappola di una donna tanto fatale quanto superficiale (due interessanti analisi su questi aspetti sono in Anne Morey, Claudia Nelson, Phallus and Void in Kipling’s “The Vampire” and Its Progeny, “Frame”, novembre 2011; Janet Staiger, Bad Women: Regulating Sexuality in Early American Cinema, University of Minnesota Press, 1995).

Quando Kipling scrisse The Vampire, il suo matrimonio con la moglie americana Caroline era in crisi e il testo evidenzia un risentimento personale dell’autore verso il sesso femminile (lo scrittore, tra l’altro, aveva una predilezione per le donne dal carattere mascolino). Secondo alcuni, la misoginia di Kipling era dovuta all’infelice infatuazione adolescenziale per Florence Garrard, che lo respinse (Angus Wilson, The Strange Ride of Rudyard Kipling: His Life and Works, Secker & Warburg, London 1977), secondo altri alla presunta relazione segreta con l’attrice americana di vaudeville Lulu Glazer, nelle cui carte è stata trovata la poesia The Vampire con testi scritti a mano da Kipling stesso (J. Lawrence Mitchell, Rudyard Kipling, The Vampire, and the Actress, “English Literature in Transition 1880–1920”, n. 3, 2012).

Le opinioni di Kipling sulle donne, come anticipate da The Vampire, vennero poi rielaborate e confermate dalla sua poesia The Female of the Species (1911), rimasta celebre per le parole ripetute più volte “The female of the species is more deadly than the male” (La femmina di ogni specie è più letale del maschio).

Disegno ispirato al quadro di Burne-Jones dall’edizione Mansfield di The Vampire (1898)

The Vampire tornò sulle prime pagine dei giornali il 28 novembre 1911, in occasione di un infuocato processo per uxoricidio a Denver. Sul banco degli imputati c’era Gertrude Gibson Patterson, donna dalla “vita licenziosa”. Aveva sposato il giovane Charles Patterson, ma presto lui la sorprese in viaggio con l’amante, il ricco e anziano imprenditore Emil W. Strouss. Ne seguirono molte liti tra i coniugi, fino a che Charles fu ucciso da due colpi di pistola alla schiena. Gertrude prima disse che il marito si era suicidato, poi ammise il delitto affermando di essere stata picchiata e maltrattata. Al processo l’avvocato dell’accusa, Horace Benson, descrisse Gertrude come una donna avida, spietata e recitò in aula la prima strofa di The Vampire, aggiungendo dopo il verso “ma il folle la chiamava la sua bella signora” un drammatico “E lei gli sparò nella schiena” (And she shot him in the back). Nonostante l’oratoria dell’avvocato e la citazione di Kipling, la donna fu assolta grazie alla dubbia testimonianza di un passante che dichiarò di aver visto Charles picchiare la moglie in strada.

La popolarità di The Vampire prosegue per molti anni, rinvigorita dalle trasposizioni teatrali e cinematografiche. Ancora nel 1916 Francis Scott Fitzgerald, nel testo per una delle canzoni del musical Safety First!, cita la poesia di Kipling. La canzone lamenta che le ragazze della vita reale non assomiglino alle vamp del cinema e Fitzgerald scrive: “Perché non ne incontro qualcuna che non sia dolce, ma / si comporti piuttosto come le signore di Kipling?”. E per il pubblico americano il quadro e la poesia The Vampire continuarono a essere evocativi per molti anni, come dimostrano tra i tanti esempi due lunghi articoli sui vampiri di “American Weekly” nel 1927 (Mystery of the Vampire’s Bite) e del “Detroit Evening Times” il 19 ottobre 1941 (New Reason Why People Still Believe There Are“Vampires”) entrambi illustrati da una riproduzione del quadro di Burne-Jones e con riferimento alla poesia di Kipling.

Due edizioni newyorchesi: Grosset & Company (1898) e Dodge Publishing Co (1900)

Le parodie

Il successo popolare di The Vampire fu tale che quasi subito si pubblicarono parodie, con gran divertimento dei giornali, dove la poesia era riscritta in chiave umoristica o polemica. Ovviamente le prime reazioni satiriche furono da parte di donne, giustamente irritate dal ritratto della vampira mangiauomini e rovinafamiglie. Ne uscirono diverse soprattutto in America, sia scritte da uomini che da donne, caratterizzate dall’imitazione dello stile e dei versi di The Vampire, aperte spesso dalla scritta “Con scuse a Mr. Kipling” (With apologies to Mr. Kipling).

Le parodie iniziarono quasi immediatamente. Già il 27 maggio 1897 sul “Buffalo Evening News” appare una parodia di The Vampire che ironizza sul Kipling scrittore, ripresa dal settimanale “New York Press”, e il 5 agosto lo stesso quotidiano pubblica un dialogo satirico dove una signora rivendica che le donne non sono vampire, ma per la maggior parte “angeli”. Pochi giorni dopo il “San Francisco Examiner” e “The Evening Journal” (18 agosto 1897) stampano una breve parodia anonima che imita lo stile di The Vampire.

Le più popolari erano parodie che rovesciavano il punto di vista, facendo della donna la vittima di uomini spietati e ottusi. È il caso di The Vampire (From a woman’s point of view. With apologies to Rudyard Kipling) di Mary C. Low, apparsa su “The New York Bookman” (27 marzo 1899) e poi dalla rivista “The Academy” che la ristampa accanto all’originale (1 aprile 1899). Tutta virata al femminile, la poesia si apre con un rovesciamento delle parole iniziali di Kipling, trasformate in “A woman there was”, ed è l’uomo che non si prende cura di nulla e non capisce.

Le parodie di The Vampire sono state innumerevoli ed è impossibile citarle tutte. Tre parodie sono riportate da Robert Thurston Hopkins in un suo libro (Rudyard Kipling: ALiterary Appreciation, Simpkin, Marshall, Hamilton, Kent & Co., London 1915). Hopkins segnalava la “vasta circolazione” della parodia scritta da Felicia Blake dove al posto della vampira c’è un uomo egoista e maschilista (i giornali la ristamparono ancora nel 1919), mentre T.W.H. Crosland nel 1899 sostituiva la vampira con “il pubblico che non compra poesie”. Hopkins citava infine i versi di The Vampire riscritti dal poeta James Douglas per polemizzare con Kipling intorno alla presunta “stupidità” dell’uomo di fronte alla donna-vampiro. Per inciso, Robert Thurston Hopkins si intendeva di vampiri: scrittore e “cacciatore di fantasmi”, è stato autore di The Vampire of Woolpit Grange (1938), racconto ispirato alla leggenda di una strega che ritorna dalla tomba.

Le parodie riprendono vigore con l’esposizione americana del quadro di Burne-Jones. Così, “The Brooklyn Daily Eagle” l’11 febbraio 1902 ne pubblica una di Harvey E. Williams, comica riscrittura di The Vampire dedicata al rapporto tra uomini e automobili, con l’aggiunta di un “coro” alle strofe originali. Su “The Sunday Telegraph” del 2 marzo 1902 c’era invece una parodia di The Vampire scritta da John Joseph Beekman, incentrata sul divorzio. Il giornale nei giorni successivi riceve una lettera firmata da un certo R. Blount che risponde alla poesia di Beekman con un’altra parodia, come se si fosse sentito tirato in causa per le sue personali vicende familiari (“The Morning Telegraph”, 7 marzo 1902). Non pago, “The Sunday Telegraph” due giorni dopo dedica un’intera pagina a una vignetta che ironizza sul quadro di Burne-Jones (definito “il dipinto che i versi di Kipling e il press agent di Mrs. Patrick Campbell hanno reso famoso”) e a un’ennesima parodia della poesia di Kipling, questa volta intitolata The Umpire (L’arbitro), accompagnata da un testo satirico.

Parodie e vignette da “The Coolgardie Pioneer” (1898) e “The Sunday Telegraph” (1902)

La moda delle parodie di The Vampire arrivò anche in Australia. Il 18 marzo 1898 “The Euroa Advertiser” pubblica la poesia originale di Kipling e di seguito “The Woman Version”, firmata da Isobel Henderson Floyd. Il 18 ottobre 1902 tocca a “The Western Mail” affidare una parodia a Ethel Howell che inizia la prima strofa con un “A girl there was”. Curiosa la parodia in chiave di satira politica su “The Coolgardie Pioneer” (3 settembre 1898), accompagnata da una vignetta che riproduce stilizzato il quadro di Burne-Jones, dove la donna ha sul vestito la scritta “Westralia” (l’Australia occidentale) e l’uomo esanime “The Toiler” (il lavoratore). Il testo altera la poesia di Kipling trasformandola in una critica a quella parte dell’Australia che, con promesse non mantenute, “vampirizza” il resto del paese. E in questo caso le scuse sono per il pittore e non per il poeta: “With apologies to Burne-Jones”.

Le parodie continueranno per un ventennio. Il 4 marzo 1914 “The Day Book” di Chicago pubblica A Cop There Was di H.M. Cochran, rielaborazione di The Vampire per criticare il malcostume dei poliziotti. La saga delle parodie culmina nel 1920 quando circola a Los Angeles un volantino, firmato Mrs. Stella Gilbert e intitolato The ‘He’ Vampire, dove la poesia di Kipling è riscritta in chiave esplicitamente e marcatamente femminista, invocando l’eguaglianza di diritti per le donne e con questa chiusa: “Alla fine gli uomini sono in fuga… / E noi abbiamo vinto! / (e loro non possono capire)”. È probabile che il volantino sia stato stampato in occasione della conquista del diritto di voto per le donne americane. Lo spirito polemico della parodia era segnalato anche dalla scritta sotto il titolo, che in questo caso sentenziava “Senza scuse a Kipling” (With no apologies to Kipling).

Il volantino femminista del 1920

La poesia di Kipling era tanto nota che i suoi versi potevano essere utilizzati anche come didascalia per vignette satiriche. È il caso di una vignetta apparsa su “Life” il 3 maggio 1917, vent’anni dopo la pubblicazione di The Vampire, e firmata da C.D. Gibson, un illustratore interventista che agiva anche politicamente per spingere l’America a partecipare alla Grande Guerra: “And the fool, he called her his lady fair”, recita la didascalia. Nota anche con il titolo Harlot of War (Prostituta di guerra), la vignetta ritraeva l’imperatore Guglielmo II nel panico alla vista della sua amante, una orribile megera ingioiellata e in vestito elegante, con la scritta “Guerra” sul copricapo, che simboleggia la morte.

Passano altri vent’anni e di nuovo la poesia di Kipling è utilizzata per un’ulteriore vignetta di satira politica, con la didascalia “But the fool he called her his lady fair” (Even as you and I)”. Pubblicata dal “Daily News” di New York il 21 settembre 1937 e il giorno dopo da “Washington Time”, era tipica del razzismo antigiapponese che tornava a crescere in America in concomitanza con i bombardamenti del Giappone sulla Cina. La vignetta raffigura nuovamente una vampira in abiti seducenti, ma con il volto da teschio e la scritta “War” sul torace: davanti a lei, un militare giapponese inginocchiato che porta sulla schiena la scritta “Yellow Race”.

Le vignette di “Life” (1917) e “Daily News” (1937)

Vampoesia per bibliomani

The Vampire è stato un vero e proprio caso editoriale di notevole interesse: per quanto breve, la poesia fu subito stampata in agili fascicoli, senza autorizzazione da parte di Kipling. Sui giornali americani comparve anche una presunta lettera inviata da Kipling a Burne-Jones dove gli cederebbe tutti i diritti della sua poesia: “I versi per The Vampire, che chiameremo vampoesia [vampoetry], sono di tua proprietà. Quindi chiunque voglia portarli sul palcoscenico, farne un’incisione, metterli in musica, dipingerli di celeste, tradurli in gaelico, celtico o ittita, usarli come pubblicità di tintura per capelli o come inno per la Chiesa d’Inghilterra, deve accordarsi con quest’uomo” (vedi “The Daily Republican”, 17 aprile 1902; “The Argonaut”, 3 marzo 1902).

Vera o meno che sia quella lettera, di certo Kipling non tutelò in nessun modo il suo testo, consentendo così un’ampia diffusione “pirata” della poesia. Kipling non inserì The Vampire nelle sue opere ufficiali fino al 1919, ma dal 1898 la poesia appare comunque in varie collezioni di testi di Kipling, per varie case editrici, tanto che lo scrittore fece causa a un editore che aveva pubblicato la sua poesia vampiresca assieme ad altre.

Il fenomeno più straordinario è però il diffondersi di “libricini”, sia in Inghilterra sia in America, che in edizioni “non autorizzate” riproponevano The Vampire ai lettori come singolo volumetto. In genere erano fascicoli di poche pagine, in carta color crema, con ornamenti e disegni spesso di colore rosso, a volte rilegati con un nastrino di seta, in molti casi con la riproduzione all’interno del quadro di Philip Burne-Jones. La sopravvivenza fino ai giorni nostri di molte copie di quei libretti conferma che ebbero una consistente diffusione, complessivamente in migliaia di copie.

Una delle prime edizioni è pubblicata a Boston nel 1898 in due versioni. Il frontespizio indica che il volumetto è “Privately Printed”, senza nome dell’editore (si è ipotizzato che si tratti della Cornhill Press). Sulla copertina svettano pipistrelli in rosso, su un cielo dove si staglia una falce di luna, disegnati da E. J. Clark e ripetuti in ogni pagina, su carta color crema, una strofa per pagina. Un’altra versione ha un frontespizio con il disegno in rosso di una donna, tra le tombe di un cimitero, che gioca con un pipistrello (lo stesso disegno si ripete come cornice di ogni strofa della poesia). Va segnalato che diverse edizioni di The Vampire sovrapponevano nell’iconografia il vampirismo leggendario associato al notturno pipistrello e la donna in carne e ossa.

Due versioni dell’edizione di Boston

Nello stesso 1898 The Vampire è stampato anche a Washington da Woodward & Lothrop, in 20 pagine su carta lucida, e a marzo e giugno di quell’anno in due varianti con carta diversa per M.F. Mansfield di New York. Quest’ultima edizione aveva copertina rossa con scritte in oro ed era illustrata da un pipistrello stilizzato in copertina e all’interno, opera di Blanche McManus (moglie dell’editore Mansfield). Stampata in 650 copie, ospitava un disegno che riproduce parzialmente il quadro di Burne-Jones. Un’altra edizione in sole 4 pagine è stampata per il giorni di San Valentino 1898 da Adirondack Press, di Gouverneur, nello stato di New York

Tra le tante edizioni, si segnala quella di Grosset & Co., New York (1898), con in copertina una testa di donna con ali da pipistrello su inserti in rosso e all’interno la riproduzione fotografica del quadro di Burne-Jones. La casa editrice Doxey di San Francisco stampa The Vampire nel 1899 con illustrazioni di Florence Lundborg e poi nel 1901 con illustrazioni di Lander Phelps. Tra il 1898 e il 1899 The Vampire compare anche su un solo foglio di grande formato.

Una certa fortuna ebbero infine i minilibri di piccolissima dimensione con la ristampa di The Vampire, quasi sempre assieme ad altre poesie di Kipling, ma con il titolo di copertina dedicato esclusivamente al testo vampiresco.

Copertine di vari volumi in piccolo formato