ALLE FONTI DEL VAMPIRO MODERNO / 8

Un presidente americano contro i vampiri

C’è stato un presidente degli Stati Uniti che ha avuto stretti rapporti con i vampiri. O meglio, con gli autori che hanno creato il vampirismo dell’immaginario novecentesco, in particolare diffondendo la figura della Vampira e di tutte le sue sorelle. È Theodore Roosevelt, detto Teddy, presidente degli Usa dal 1901 al 1909. Roosevelt è stato in contatto diretto con ben cinque nomi che abbiamo incontrato in questo viaggio alle fonti del vampiro moderno: Bram Stoker, Rudyard Kipling, Philip Burne-Jones, Porter Emerson Browne e George Sylvester Viereck.

Roosevelt vantava una vita avventurosa, prima come inflessibile capo della polizia di New York dal 1895, poi ardimentoso comandante sul campo a Cuba nella guerra contro gli spagnoli, per avviarsi quindi alla carriera politica su posizioni ultraconservatrici e diventare presidente nel 1901, subentrando a William McKinley  ucciso da un anarchico. La sua estrosa personalità lo portò a dialogare con scrittori come H. Rider Haggard e Arthur Conan Doyle.

La Vampira che popolava l’immaginario dopo la poesia di Kipling rispecchiava i pericoli che l’America correva secondo Roosevelt, il timore profondo per la svirilizzazione dell’uomo bianco e di conseguenza la messa in discussione del suo predominio sul mondo.

Roosevelt incarnava l’uomo della frontiera, con disprezzo dichiarato per gli Indiani d’America tanto che salutava lo sterminio dei nativi americani come un trionfo della civiltà su esseri paragonati a “squallide bestie feroci” (The Winning of the West, G. P. Putnam’s Sons, New York 1894). Anche verso gli asiatici nutriva ostilità, considerando i cinesi “rovinosi per la razza bianca” e quindi da tenere lontani dagli Stati Uniti (in “Sewanee Review”, maggio 1894).

Per Roosevelt i bianchi anglosassoni, specialmente americani e tedeschi (negli inglesi aveva poca fiducia), dovevano allearsi per contrastare le altre razze: neri, slavi, latini e persino irlandesi. Mantenere pura al cento per cento la razza bianca era considerato da Roosevelt il problema fondamentale della sua epoca. Intorno al 1906 incomincia a cavalcare il concetto di “race suicide”, il suicidio della razza bianca che sarebbe commesso tramite il calo delle nascite tra gli americani di origine anglosassone e con i matrimoni misti. Inoltre per Roosevelt il matrimonio doveva essere indissolubile o comunque chi divorziava non doveva avere il diritto di risposarsi.

A unire i sei nomi (Stoker, Kipling, Burne-Jones, Browne, Viereck e Roosevelt) era lo stesso retroterra ideologico: imperialismo, suprematismo bianco, discriminazione delle donne. Erano terrorizzati dai pericoli che correva il loro sistema di valori, tra popoli colonizzati in rivolta, donne che pretendevano diritti, immigrati che aumentavano. I cacciatori di vampiri in Dracula potevano profilarsi come “rappresentanti della razza anglosassone uniti contro la minaccia al sangue dell’Inghilterra che Dracula mette in atto” (Louis H. Palmer, Vampires in the New World, Praeger, Santa Barbara 2013), così come la Vampira kiplinghiana personificava le paure per un indebolimento della razza bianca e del maschio.

Theodore Roosevelt

Roosevelt e Stoker

L’incontro tra Theodore Roosevelt e Bram Stoker risale al novembre 1895, quando lo scrittore era in un tour americano con Henry Irving. In quel momento Roosevelt era capo della polizia di New York. Stoker ricorda in Personal Reminiscences of Henry Irving (Macmillan, New York 1906) di essere rimasto favorevolmente impressionato da Roosevelt che, dopo un pranzo insieme, lo invitò alla sede della polizia per presenziare a una sorta di informale “processo” ad alcuni agenti sotto accusa. Con notevoli capacità di predizione, Stoker annotò nel suo diario: “Un giorno deve diventare Presidente. Un uomo che non si può blandire, non si può spaventare né comprare”.

Stoker e Roosevelt si incontrarono ancora il primo gennaio 1904, alla Casa Bianca. Insieme a Irving, lo scrittore si trovava a Washington ed entrambi parteciparono al ricevimento presidenziale per l’anno nuovo. Da capo della polizia Roosevelt era ora presidente, la profezia di Stoker si era avverata. Nel corso della cerimonia, Stoker rimase sorpreso che dopo quasi dieci anni dal loro primo incontro Roosevelt lo riconoscesse subito e lo chiamasse per nome. Il presidente si intrattenne in privato con Irving e Stoker per un’ora.

Lo scrittore irlandese aveva un altro contatto con la famiglia Roosevelt, già prima di conoscere Teddy. Nella sua cerchia britannica, infatti, frequentava da anni Robert Roosevelt, zio di Teddy Roosevelt e amico di Oscar Wilde. Secondo un’ipotesi circolata soprattutto in rete in anni recenti, Robert sarebbe uno dei candidati come ispirazione per il personaggio di Van Helsing in Dracula. A parte provenire da una famiglia di origini olandesi (è stato anche ambasciatore Usa nei Paesi Bassi dal 1888), Robert Roosevelt non ha altro in comune con l’immaginario Abraham Van Helsing: non era uomo di scienza, ma avvocato, e non si occupava di occulto, ma di studi sulla pesca. Forse solo il suo aspetto fisico potrebbe adattarsi a Van Helsing.

Più fondata, invece, la tesi secondo cui Quincey Morris, il texano che partecipa alla caccia a Dracula nel romanzo di Stoker, possa avere dei tratti che rimandano a Theodore Roosevelt. Per Clive Leatherdale, ad esempio, Morris “è un po’ sullo stampo di Teddy Roosevelt, conforme alla visione altezzosa che si aveva nella Gran Bretagna vittoriana dell’americano rude ma genuino” (Dracula. The Novel & The Legend, The Aquarian Press, Wellingborough 1985).

Robert Roosevelt, possibile ispiratore di Van Helsing

Roosevelt e Kipling

La sua mentalità imperialista, il suprematismo bianco e l’avversione a ogni modifica del ruolo tradizionale assegnato alle donne dovevano portare inevitabilmente Roosevelt a provare simpatia per Rudyard Kipling, il “poeta dell’imperialismo”. Tra il presidente americano e lo scrittore britannico c’erano sensibilità comuni che trovavano terreno fertile nel clima culturale predominante in quegli anni, tanto che il premio Pulitzer per la storia Frank Luther Mott è arrivato ad affermare che Roosevelt e Kipling sono state le due personalità che più hanno influenzato gli intellettuali americani dell’epoca: “Roosevelt e Kipling erano divinità gemelle per gli scrittori ‘rudi e duri’ agli inizi del ventesimo secolo” (Golden Multitudes, Macmillan, New York 1947).

L’incontro tra Kipling e Roosevelt avviene un paio d’anni prima che lo scrittore britannico scrivesse The Vampire. Kipling era in America con la moglie, dove progettava di restare a lungo, e conobbe il futuro presidente Usa al  Cosmos Club di New York, rimanendone subito attratto per le sue qualità di uomo d’azione e di conservatore estremo. Da allora iniziò una frequentazione che proseguì con scambi di lettere anche dopo la partenza di Kipling dall’America nell’estate del 1896. In una lettera dell’8 gennaio 1919, Kipling definiva Roosevelt “il miglior amico” che aveva avuto in America e in occasione della morte scrisse una poesia in suo onore, Great Heart.

Roosevelt aveva letto The Vampire e non poteva che trovare consonante con le sue idee il ritratto di una donna predatrice, metafora di degrado morale, e di un uomo prosciugato e reso inutile per la difesa della nazione o degli imperi. Per Roosevelt il compito primario nella vita delle donne era prendersi cura della casa e dei figli, come teorizzò in un articolo per “Metropolitan” del maggio 1916 (The Parasite Woman), e al contrario andava promosso il culto della mascolinità, da realizzarsi attraverso il salutismo e il rafforzamento fisico. Le Vampire rappresentavano la massima minaccia, capaci com’erano di fiaccare e indebolire gli uomini fino alla consunzione. Non erano forse associabili al suo timore delle malattie veneree che, veicolate da uomini caduti tra le spire di Vampire del sesso, potevano contagiare le mogli e i figli americani?

Roosevelt poteva ben vedere nella poesia di Kipling una coincidenza con la sua battaglia “contro i degenerati effetti della sessualità femminile” (Sarah Lyons Watts, Rough Rider in the White House: Theodore Roosevelt and the Politics of Desire, University of Chicago Press, Chicago 2003). Quello che Roosevelt non poteva apprezzare in The Vampire era la descrizione troppo compiaciuta dell’uomo distrutto dalla Vampira, come testimonia una sua lettera del 28 aprile 1899 allo scrittore Elbert Hubbard che nel luglio 1897 era stato tra i primi a pubblicare la poesia The Vampire sulla sua rivista “The Philistine”. Le osservazioni di Roosevelt non erano lusinghiere: “Vi devo dire che sono deliziato dai vostri libri. Lasciatemi solo protestare contro la poesia di Kipling The Vampire. Mi ha sempre colpito per la nota decadente, molto fuori luogo nel carattere di Kipling” (in The Letters of Theodore Roosevelt, a cura di Elting E. Morison, Harvard University Press, Cambridge 1951)

Questi dissensi non indebolirono il rapporto positivo tra lo scrittore e il presidente, al punto che nella campagna per le presidenziali del 1912 Roosevelt usò la strofa di una poesia di Kipling per i suoi manifesti elettorali.

Kipling (a sinistra) e Roosevelt nel loro primo incontro al Cosmos Club (da Cassell’s Book of Knowledge, 1910)

Roosevelt e Burne-Jones

I rapporti di Roosevelt con il pittore Philip Burne-Jones, che aveva ispirato con il suo quadro la Vampira di suo cugino Kipling, furono più limitati. L’incontro tra Roosevelt e l’artista avvenne quando Burne-Jones si era provvisoriamente trasferito in America, nel 1902, alla ricerca di successo oltreoceano e per vendere i suoi quadri (come sappiamo, portò con sé anche The Vampire). Vide una prima volta il presidente americano mentre passeggiava con un ministro, apparentemente senza scorta, poi gli fu presentato durante una cerimonia alla Harvard University e un terzo incontro avvenne a Oyster Bay.

Burne-Jones nutrì la speranza di poterlo ritrarre in un suo dipinto. Roosevelt, infatti, aveva apprezzato un ritratto di Kipling realizzato dal cugino pittore, ma l’obiettivo di Burne-Jones non venne raggiunto e restò deluso il desiderio di acquisire prestigio immortalando su tela il presidente Usa.

Dell’incontro a Harvard, Burne-Jones scrisse nel suo libro Dollars and Democracy: “Ho avuto un’impressione molto precisa di quell’uomo acuto ed energico, l’incarnazione stessa della forza e del vigore mascolino. Con modi meravigliosamente allegri e cordiali, mi salutò come se fossi stata l’unica persona al mondo che era ansioso di incontrare – sicuramente la forma di cortesia più gratificante, e che ci tocca tutti all’istante – e sebbene avesse probabilmente dimenticato la mia esistenza un minuto dopo e si affrettava tra la folla entusiasta dei suoi vecchi compagni di college, come un ragazzone di buon carattere troppo cresciuto, ricevendo e facendo mille saluti, pieni, pensavo, di una bonomia leggermente accentuata, tuttavia mi restava una gradevole impressione della sua accoglienza”.

Una riproduzione del quadro di Burne-Jones dalla “Sahib Edition” delle opere di Kipling (1909)

Roosevelt e Browne

Molto stretta fu l’amicizia e la collaborazione tra Roosevelt e l’uomo che trasformò la Vampira di Kipling nel testo teatrale e nel romanzo A Fool There Was, Porter Emerson Browne. Lo scrittore era un fervente interventista durante la Prima guerra mondiale e nel 1915 Roosevelt fu attratto da un suo articolo sull’affondamento del Lusitania. L’ex presidente volle conoscerlo e tra i due ci fu subito sintonia, tanto che Browne iniziò a scrivere discorsi per Roosevelt. La loro intesa politica si rafforza quando Roosevelt partecipa attivamente al movimento dei Vigilantes, creato nel 1916 da Browne per unire gli intellettuali americani sotto una bandiera patriottica e bellicista (alla morte dello scrittore, nel 1934, il “New York Times” lo definirà “acerrimo nemico dei pacifisti”).

Browne dedicò a Theodore Roosevelt il libro Scars and Stripes (Doran, New York 1917) che raccoglie suoi testi apparsi su giornali e riviste. Tra questi, il racconto Mary and Marie che mette in contrapposizione due donne, l’una semplice, ma coraggiosa e pronta a partecipare alla guerra, l’altra benestante e indifferente a tutto, una sorta di Vampira kiplinghiana “che di nulla si cura”. Nella satira Uncle Sham, invece, Browne ridicolizza le politiche del presidente Wilson ed esalta Roosevelt.

L’attivismo di Browne a favore della partecipazione americana alla guerra si univa perfettamente alle intransigenti idee di Roosevelt e culmina in un opuscolo di propaganda a favore dell’intervento americano (A Liberty Loan Primer, pubblicato dal Liberty Loan Committee nel 1918), indirizzato ai bambini e illustrato da James Montgomery Flagg, il grande artista dei poster. L’opuscolo invitava all’acquisto delle obbligazioni emesse dal governo degli Stati Uniti per sostenere le spese militari, tramite testi e disegni dove gli americani erano eroi belli e angelici, mentre i tedeschi erano rappresentati come repellenti mostri assetati di sangue.

Come definitivo omaggio a Roosevelt, nel 1919 Browne scrisse la sceneggiatura per il film celebrativo Our Teddy, diretto da William Nigh.

Un germanico bevitore di sangue nell’opuscolo di Porter Emerson Browne A Liberty Loan Primer

Roosevelt e Viereck

La personalità connessa all’immaginario vampiresco di inizio secolo che ebbe maggiori legami con Roosevelt è senza dubbio George Sylvester Viereck, l’autore di The House of the Vampire. Il padre, tedesco, aveva collaborato nel 1904 alla campagna elettorale di Roosevelt per la presidenza, orientando i votanti della comunità americana di origini germaniche. Sylvester nel 1911 prende le redini del giornale in lingua tedesca di suo padre e ne pubblica una versione in inglese. A quel punto l’ormai ex presidente Teddy Roosevelt si incuriosisce e discute con lo scrittore le possibili iniziative per rafforzare i legami politici e culturali tra America e Germania, aiutandolo a trovare finanziamenti per il giornale. Viereck, così, da quel momento sviluppa per l’ex presidente un attaccamento filiale (vedi Phyllis Keller, George Sylvester Viereck: The Psychology of a German-American Militant, “The Journal of Interdisciplinary History”, vol. 2, n. 1, 1971) e vede in lui il tipico “superuomo” che aveva teorizzato in The House of the Vampire. Nel 1912 decide di appoggiarlo nella campagna per la candidatura alle presidenziali, mettendo momentaneamente da parte le sue ambizioni di scrittore e poeta. Quando non riesce a ottenere la nomination dei Repubblicani, Roosevelt crea un suo partito personale, il Progressive Party. Viereck partecipa alla convention dei Repubblicani a Chicago, poi appoggia la costruzione del nuovo partito ed è talmente entusiasta di Roosevelt che torna a scrivere poesie, inneggiando in The Hymn of Armageddon all’uomo che considerava ormai il suo idolo.

Il progetto di un nuovo partito fallisce e viene eletto presidente il democratico Woodrow Wilson, ma la collaborazione tra Viereck e Roosevelt prosegue, orchestrando polemiche con il nuovo inquilino della Casa Bianca.

Lo scoppio della Prima guerra mondiale doveva però incrinare l’amicizia tra loro. Viereck era deluso dalle posizioni di Roosevelt, che non sosteneva la Germania nella Grande Guerra, nonostante la simpatia che aveva dimostrato in precedenza per il Kaiser. Tra febbraio e marzo 1915 c’è uno scambio di lettere tra i due, chiuso da una ramanzina di Roosevelt al suo giovane seguace: “Hai reso evidente che tutto il tuo cuore sta con il paese che preferisci, la Germania, e non con il paese che ti ha adottato, gli Stati Uniti. In queste circostanze qui non sei un buon cittadino… Per quanto mi riguarda, non ammetto una fedeltà divisa in due per chi ha la cittadinanza degli Stati Uniti” (lettera del 15 marzo 19195 conservata al Theodore Roosevelt Center).

L’ex presidente si spinge a invitare Viereck a lasciare l’America e tenta persino di farlo espellere dalla Poetry Society. Le reprimende di Roosevelt nei confronti di Viereck, però, non divennero mai pubbliche e i due continuarono a scambiarsi lettere.

Alla morte di Roosevelt, lo scrittore gli dedicò un libro (Roosevelt: A Study in Ambivalence, Jackson Press, New York 1919) spiegando il loro rapporto di odio-amore. Per un lungo periodo avevano condiviso l’ostilità verso l’Inghilterra e l’ammirazione per la Germania, ma allo scoppio della Grande Guerra l’americanismo di Roosevelt diventò incompatibile con le posizioni di Viereck. Tuttavia, se Roosevelt condannava il Viereck filogermanico, continuava a condividere con lui idee di fondo (vedi, tra l’altro, Patrick J. Quinn, Aleister Crowley, Sylvester Viereck. Literature, Lust, and the Great War, Cambridge Scholars Publishing, Newcastle upon Tyne 2021).

Anni dopo, con il nuovo conflitto mondiale, il filonazista Viereck sarà affascinato da un altro “superuomo”: nel suo ufficio di New York insieme a un ritratto di Roosevelt campeggiava una foto ancora più grande di Adolf Hitler (Rachel Maddow, Prequel: An American Fight Against Fascism, Crown, New York 2023). Per ironia della sorte, a causa delle sue attività a favore della Germania nazista Viereck si troverà contro un altro Roosevelt, il cugino di Teddy diventato a sua volta presidente degli Usa nel 1933, Franklin Delano Roosevelt.

Una lettera di George Sylvester Viereck a Theodore Roosevelt del 1912

Roosevelt e i pipistrelli succhiasangue

Finito il suo incarico presidenziale, Theodore Roosevelt si era dedicato ai viaggi e alla passione per la caccia. Da un libro che dedicò alle esperienze in Brasile (Through the Brazilian Wilderness, Scribner’s Sons, New York 1914), apprendiamo che con i suoi compagni di caccia discuteva “dei fatti inspiegabili che avvenivano sulla mutevole frontiera tra la vita e la morte, tra il conosciuto e lo sconosciuto, e di vampiri, licantropi e fantasmi”.

Proprio in Brasile, Roosevelt fece la conoscenza dei pipistrelli vampiri, trattandone in un capitolo del suo libro: “Eravamo ora nella terra dei pipistrelli succhiasangue, i pipistrelli vampiri che succhiano il sangue degli esseri viventi, aggrappati o sospesi in volo sopra la schiena di un cavallo o di una mucca, oppure sulla mano o il piede di un uomo addormentato, facendo una ferita dalla quale il sangue continua a fluire molto dopo che la sete del pipistrello si è saziata. A Tapirapoan c’erano dei bovini e uno dei vitelli si presentò una mattina indebolito per la perdita di sangue che ancora gocciolava da una ferita sulla parte anteriore della schiena, fatta da un pipistrello. Ma i pipistrelli creano pochi danni in questa zona a paragone di quanto fanno in altri luoghi, dove non solo i muli e i buoi ma anche le galline devono essere custoditi di notte dietro protezioni a prova di pipistrello, altrimenti rischiano la vita. I responsabili principali e abituali sono varie specie di pipistrelli piuttosto piccoli, ma si dice che altri tipi di pipistrelli brasiliani abbiano acquisito quella maligna abitudine, almeno sporadicamente e localmente, variando la loro consueta dieta con bevute di sangue vivo. Uno dei membri brasiliani del nostro gruppo, il botanico Hoehne, era anche zoologo. Mi informò di aver appreso che persino i grandi pipistrelli frugivori si nutrono di sangue. Secondo le sue osservazioni, non sono loro a fare la ferita iniziale, ma dopo che è stata fatta da un vero vampiro leccano il sangue che fluisce e allargano la ferita. In America del sud mancano, rispetto a Africa e India, i grandi carnivori dalla straordinaria ferocia che mangiano uomini, ma in compenso si trovano piccole creature assetate di sangue che altrove sono innocue. Solo qui dei pesci non più grandi di una trota uccidono i bagnanti e dei pipistrelli dalle dimensioni dei comuni ‘topolini volanti’ dell’emisfero settentrionale prosciugano di sangue vitale grandi animali e l’uomo stesso”.

Un’ulteriore presenza dei pipistrelli, infine, si rintraccia in un disegno che Roosevelt allegò a una lettera indirizzata al direttore di “Emporia Gazette” (1 gennaio 1917) dove illustrava i “fallimentari tentativi” di espellere dei pipistrelli da un campanile.

Il disegno di Theodore Roosevelt sui pipistrelli

Roosevelt cacciatore di vampiri

Il nesso tra Roosevelt e i vampiri si è trasferito in romanzi e racconti che lo vedono impegnato in una lotta senza quartiere, nel suo stile, contro i nonmorti. Un primo esempio è offerto da Mike Resnick, scrittore di fantascienza per cinque volte premio Hugo, in Two Hunters in Manhattan (nell’antologia The Secret History of Vampires, a cura di Darrell Schweitzer e Martin H. Greenberg, Daw Books, New York 2007; ristampato in Mike Resnick, The Other Teddy Roosevelts, Subterranean, Burton 2008). Il racconto è ambientato nel 1897, quando Roosevelt era capo della polizia di New York: il vampiro greco Demosthenes miete vittime in città e Roosevelt lo uccide trafiggendolo con un bastone da passeggio imbevuto di acqua santa. Il metodo usato da Roosevelt per eliminare il vampiro ricorda una sua celebre frase, “Speak softly and carry a big stick; you will go far” (Parla gentilmente e portati un grosso bastone; andrai lontano), che aveva utilizzato per spiegare la sua politica estera.

Roosevelt è a caccia di vampiri anche in un breve romanzo, scritto da James Fortescue, dal titolo Theodore Roosevelt: Vampire Slayer (New Street Communications, Wickford 2012). Nella prefazione, l’autore afferma di essere imparentato con Robert Roosevelt e quindi “distante cugino” di Theodore, dicendosi certo che Stoker abbia basato il personaggio di Van Helsing proprio su Teddy Roosevelt. Nel romanzo, Roosevelt poliziotto insegue i vampiri dall’università di Harvard al quartiere a luci rosse di Manhattan.

Roosevelt torna a confrontarsi con i vampiri nel romanzo The Last American Vampire (Hachette, New York 2015) di Seth Grahame-Smith che già si era dedicato ad Abramo Lincoln come cacciatore di vampiri. Il protagonista del libro, il vampiro Henry O. Sturges che aveva contagiato Lincoln, incontra Roosevelt, a conoscenza dell’esistenza dei vampiri e sicuro dell’affidabilità del suo interlocutore. A lui confida le preoccupazioni per l’uso degli anarchici da parte dei vampiri: “Secondo Roosevelt i movimenti anarchici in Europa e negli Stati Uniti, erano di fatto parte di una ‘nascosta resurrezione vampiresca’ con l’obiettivo di sovvertire i governi che erano diventati sempre più ostili nei confronti dei vampiri in seguito alla Guerra Civile. Con la diminuzione del loro numero, quei vampiri avevano approfittato di un movimento esistente, reclutando alla propria causa giovani menti ideologizzate e facilmente manipolabili. E non solo negli Stati Uniti”.

Ancora vampiri per Roosevelt in Stoker’s Wilde West (Flame Tree, London 2020), parte di una serie di romanzi scritti da Stephen Hopstaken e Melissa Prusi  che hanno come protagonisti Oscar Wilde e Bram Stoker, uniti nella lotta a minacciose forze soprannaturali. Sotto forma di romanzo epistolare ambientato nel 1882, in Stoker’s Wilde West oltre ai due scrittori irlandesi ritroviamo Henry Irving e Florence Stoker. Questa volta l’esperienza di Stoker e Wilde è richiesta da Robert Roosevelt e dal nipote Teddy che li chiamano per contribuire alla sconfitta di una banda di pistoleri vampiri dediti alle rapine nel Far West.

Due fantasie letterarie su Roosevelt cacciatore di vampiri

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