ALLE FONTI DEL VAMPIRO MODERNO / 6

Il Vampiro psichico di George Sylvester Viereck

Abbiamo visto negli articoli precedenti che il 1909, a dodici anni di distanza dalla poesia The Vampire di Rudyard Kipling, ha ospitato un’ondata senza precedenza di vampiri, soprattutto a teatro. Quell’anno si era aperto con uno spettacolo teatrale, The Vampire, tratto non da Kipling, ma dal romanzo breve The House of the Vampire di un autore interessante e controverso: George Sylvester Viereck, nato in Germania nel 1884. Il padre, che si diceva fosse figlio illegittimo del Kaiser Guglielmo I, era un attivista marxista che emigrò negli Stati Uniti nel 1896. Qui George Sylvester fin da giovanissimo si dedica alla poesia. A 17 anni aveva stretto amicizia con Lord Alfred Douglas, il poeta che era stato compagno di Oscar Wilde, e nel suo Youthful Diary 1899-1903 affermava: “Amo tutto ciò che è malvagio! Amo lo splendore della decadenza, la ripugnante bellezza della corruzione. Ciò che odio sono gli inquisitori, freddi, gelidi raggi del sole. Il giorno è nausea, il giorno è noia, il giorno è prosa. La notte bellezza, amore, splendore, poesia, vino, aggressione, violazione, vizio e torpore. Io amo la notte”.

Nel 1905, Viereck fece girare la notizia, da lui inventata, che Wilde non era morto, ma si era nascosto in attesa di un ritorno spettacolare quando le leggi britanniche sulla sodomia fossero cambiate. Dopo aver pubblicato apprezzate poesie, Viereck a ventidue anni scrive The House of the Vampire (Moffat, Yard, New York 1907), dove il Vampiro non sottrae sangue alle sue vittime, ma idee.

Il Vampiro del titolo è un divo del mondo letterario, Reginald Clarke, ispirato chiaramente a Oscar Wilde. Noto a New York per l’oratoria affascinante, Clarke attrae nella sua casa giovani intellettuali che sono sedotti dalla sua forte personalità. La lussuosa “casa del vampiro” si trova a Riverside Drive, elegante strada alberata sul fiume Hudson. È una sorta di tipica casa del decadentismo, nello stile (in Italia) delle abitazioni di Gabriele D’Annunzio o di Mario Praz. Tra pesanti drappeggi che mantengono nelle stanze una parziale oscurità, sul camino c’è un satiro con Santa Cecilia, poi ci sono fauni, sfingi, busti di Shakespeare e Balzac ai quali Clarke si paragona, ritratti di Napoleone e damine rococo.

Il giovane poeta Ernest Fielding va a vivere nella casa di Clarke, ma presto si rende conto che alcuni personaggi e situazioni da lui creati compaiono nelle opere del suo ospite. Clarke gli spiega che il genio è caratterizzato dalla capacità di “assorbire” dalla vita: “ri-creare”, dice, è la prerogativa del poeta. Un amico scultore confida a Ernest di aver perso improvvisamente l’idea di una statua che voleva scolpire, “come se un soffio di vento l’avesse portata via”. E anche la bella artista Ethel Brandenbourg ha la sensazione di essere derubata della sua creatività e mette in guardia Ernest, innamorato di lei: “Di certo sai che nelle leggende di ogni nazione si legge di uomini e donne chiamati vampiri. Sono esseri, non sempre del tutto malvagi, che ogni notte un impulso misterioso spinge a introdursi nelle camere da letto incustodite per succhiare il sangue di chi dorme e poi, rinvigoriti dalla vita delle loro vittime, si ritirano con cautela. Per questo motivo hanno le labbra molto rosse. Si è detto anche che non possano trovare riposo nella tomba, ma tornino nei loro luoghi precedenti dopo che sono stati ritenuti morti. Coloro ai quali fanno visita, comunque, languiscono senza una ragione apparente. I medici scuotono le teste sapienti e parlano di consunzione. Ma a volte, ci garantiscono antiche cronache, nella gente sorgevano dei dubbi e sotto la guida di un buon prete andavano in solenne processione alle tombe delle persone sospettate. E aprendo le tombe si scopriva che le bare erano marcite e i fiori nei capelli erano neri. Ma i loro corpi erano intatti, non c’erano orbite vuote dove strisciassero vermi e le labbra con cui succhiavano erano ancora inumidite da un po’ di sangue”.

Il nesso con il vampiro soprannaturale è quindi dichiarato. Del resto, come il vampiro leggendario Clarke si introduce nascostamente nelle camere da letto delle proprie vittime, per sottrarre le idee durante il sonno. Invece del morso, usa le mani per trasmettere a sé stesso le idee degli altri o, di giorno, fissa intensamente negli occhi le sue prede. Espropriate delle loro idee, le vittime del Vampiro sentono estinguersi la fiamma artistica. A loro è sottratto lo spirito e sono assorbite non solo le idee, ma tutte le energie mentali delle prede, svuotate dei migliori pensieri, della forza vitale, fino a precipitare in una catastrofe fisica e psichica.

Come la Vampira di A Fool There Was, anche Clarke trionfa alla conclusione del romanzo, senza lieto fine. Nelle ultime righe Ernest è ridotto a una larva, gli occhi ormai privi di qualsiasi scintilla, “senza presente e senza passato”, un idiota che farfuglia e inciampa scendendo una scala. Si noti che una scala era anche lo sfondo scenografico dei vari balletti ispirati alla poesia di Kipling The Vampire, che abbiamo descritto in articoli precedenti.


La copertina originale del romanzo e, accanto, un’edizione francese del 2003, tradotta e introdotta da Jean Marigny, esperto di vampiri letterari

Al contrario di altri scrittori vittoriani e degli inizi del secolo, Viereck non ritrae negativamente il Vampiro, ma implicitamente lo assolve e anzi parteggia per lui, spiegando così la sua interpretazione del vampirismo: “Nel trattare questo argomento ho fatto ciò che altri scrittori non hanno fatto: cioè, l’ho reso psichico. Il mio Vampiro è il Superuomo di Nietzsche. È giustificato nel rubare dalle menti degli altri. È una figura peculiare della letteratura e del teatro nel mondo” (“New York Times”, 30 gennaio 1909).

Il vampirismo spirituale proposto da Viereck è attuato da geni con la statura di giganti che fanno avanzare la cultura e la società, depredando gli inferiori. Nina Auerbach sostiene che in Viereck “il potere del vampiro non è solo perverso, ma progressista: i vampiri di Stoker sono atavici nemici del progresso, i vampiri psichici di Viereck sono motori dell’avanzamento umano” (Our Vampires, Ourselves, The University Press of Chicago, Chicago 1995).

Oltre a essere una lode del Superuomo,The House of the Vampire è una sorta di celebrazione del plagio (su questo aspetto è imprescindibile Paul K. Saint-Amour, The Copywrights: Intellectual Property and the Literary Imagination, Cornell University Press, Ithaca 2011). Da poco le legislazioni europee avevano esteso il copyright anche dopo la morte degli autori e Viereck di fatto si oppone al concetto stesso di “diritto d’autore”, soprattutto nei confronti di opere non pubblicate: i “geni” sono autorizzati ad appropriarsi delle idee da creatori incapaci o senza doti straordinarie e per un “Superuomo” è lecito impadronirsi delle creazioni di autori “inferiori”.

Tra Clarke, uomo maturo, e la giovane vittima Ernest c’è un’attrazione omosessuale, tanto che il romanzo è convenzionalmente definito “gay vampire novel” e indicato come una delle prime rielaborazioni omoerotiche del vampirismo. Viereck, del resto, nelle sue prime poesie trattava spesso di amori tra uomini, ma in realtà i due protagonisti principali del romanzo sono bisessuali, perché entrambi amano o hanno amato delle donne.

George Sylvester Viereck

Dal romanzo al teatro

A due anni dall’uscita di The House of the Vampire, la permanente popolarità del vampiro in versione kiplinghiana induce Viereck a trasporre il romanzo in un testo teatrale in tre atti, scritto con il suo compagno di studi Edgar Allen Woolf che molti anni dopo sarà tra gli sceneggiatori del film The Wizard of Oz (Il mago di Oz, 1939). Per il teatro si sceglie di intitolare l’opera soltanto The Vampire, proprio come la poesia di Kipling e il quadro di Burne-Jones.

Prodotto dai celebri manager teatrali Jacob J. Shubert e Lee Shubert, The Vampire dopo un’anteprima a Albany fa il suo esordio all’Hackett Theatre di Broadway il 18 gennaio 1909 e chiude dopo 24 repliche, per spostarsi poi alla Grand Opera House di Chicago. Il ruolo del Vampiro era interpretato da John E. Kellerd, la vittima da John Westley e nello spettacolo recitava nella parte di un’altra delle vittime anche Warner Oland, futuro Fu Manchu e Charlie Chan sugli schermi. In occasione delle rappresentazioni si stampò un volantino con la domanda: “Credete nei Vampiri?”. Distribuito in un centinaio di copie, ottenne il 97 % di risposte “Sì”.

Il testo teatrale non è stato pubblicato e si possono desumerne i contenuti solo dalle recensioni di allora. La revisione del romanzo firmata da Viereck e Woolf cambia il finale, con la protagonista femminile che salva il giovane poeta, ma lascia intatte le riflessioni sul “vampirismo letterario”. Cambiano anche i nomi dei personaggi. Reginald Clarke diventa Paul Hartleigh, Ernest diventa Caryl e Ethel Brandenbourg si trasforma in Allene Arden modificandone inoltre la biografia: nel romanzo Ethel era un’ex amante di Clarke, mentre nel testo teatrale Allene è figlia di una passata amante dello scrittore e lo chiama “papà”. Nella conclusione dello spettacolo, Allene resta di notte nella camera da letto di Caryl e sorprende il Vampiro che sta per rubare dalla mente del giovane le idee di un suo romanzo non ancora scritto: gettandosi tra Caryl e il Vampiro, Allene impedisce l’estrema sottrazione di idee e vitalità. L’atto di vampirizzazione era visualizzato mostrando Hartleigh che pone le mani sulle teste delle sue vittime, mentre dormono, per assorbirne i pensieri.

Per quanto alcune critiche lo reputassero debole e “caotico” (“The Billboard”, 13 febbraio 1909), “freddo” e incapace di suscitare simpatia nel pubblico (“The New York Press”, 22 gennaio 1909), The Vampire suscitò più ancora del romanzo grande attenzione (anche per il tema della “proprietà letteraria” rubata), tanto che il fratello di Woolf, lo stimato pittore Samuel Johnson Woolf, scrisse a Mark Twain pregandolo di vedere The Vampire all’Hackett Theatre e mettendogli a disposizione un palco. Lo spettacolo restò in tournée per due anni sotto le cure dei fratelli Shubert e l’attore italiano Amleto Novelli voleva portare The Vampire in Europa, ma il progetto pare non si sia concretizzato.

Paradossalmente Viereck e Woolf, che avevano scritto quel testo fantasticando sul plagio, finirono accusati di plagio. Uno scrittore, Arthur Stringer, sosteneva di aver trovato interi passaggi di un suo romanzo nell’opera teatrale. Il commediografo Maurice Lyons intentò una causa affermando di avere scritto nel 1907 un testo dallo stesso titolo The Vampire. Analogamente Madame Fuji-ko (della quale abbiamo scritto qui) rivendicava il copyright sui titoli The Vampire, The Vampire Cat e The Vampire Cat of Nabeshima, accusando Viereck e Woolf di essersi appropriati indebitamente di quel titolo.

I due protagonisti principali di The Vampire in una vignetta da “The Evening World” (19 gennaio 1909)

Viereck dopo The Vampire

Considerato ormai un giovane prodigio, Viereck proseguì la sua scalata nel mondo giornalistico e letterario. Non nascondeva le sue posizioni reazionarie, opposte a quelle del padre, che lo porteranno a subire il fascino di Hitler e diventare un propagandista del nazismo in terra americana. Godeva tra l’altro dell’amicizia e della protezione di grandi intellettuali non certo di destra come H.G. Wells e George Bernard Shaw (vedi John V. Antinori, Androcles and The Lion Hunter: G.B.S., George Sylvester Viereck, and the Politics of Personality, “Shaw”, vol. 11, 1991). Con Shaw l’amicizia non tramontò mai, anche se tra i due si intromise un episodio che si potrebbe definire di “vampirismo”: Shaw accusò Viereck di avergli attribuito, facendogli un’intervista, considerazioni che erano solo sue. In una lettera del 6 dicembre 1929, Shaw protesta duramente con Viereck per quell’intervista che non conteneva nulla di autentico e lo accusa di “guadagnarsi da vivere” attribuendo a lui le sue opinioni personali, facendogli dire cose che non ha detto. Insomma, Viereck avrebbe approfittato dell’intervista per vampirizzare Shaw e veicolare le proprie opinioni (“ti limiti a riportare tue nozioni che sono suggerite dagli argomenti che io menziono”, si legge nella lettera).

Oltre a Wells e Shaw, tra le amicizie di Viereck si annoverava anche Nikola Tesla, mentre con Aleister Crowley collaborò per la rivista “The International”. Alla ricerca di “geni” che avvalorassero le sue teorie superomistiche, Viereck intervistò Sigmund Freud e Albert Einstein, incontrò Benito Mussolini, ma rimane negli annali soprattutto la sua intervista a Adolf Hitler dell’ottobre 1923 pubblicata su The American Monthly”, periodico diretto dallo stesso Viereck (significativo, per i tempi odierni, lo slogan “America First” che campeggiava accanto alla testata). Hitler, non ancora Führer, delineava il suo progetto politico e proclamava soprattutto il suo odio per i comunisti e il marxismo. Quando anni dopo è ristampata in forma modificata daLiberty” (9 luglio 1932), l’intervista si apre con una frase dalle assonanze vampiresche. Descrivendo il colloquio con il capo dei nazionalsocialisti, avvenuto sorseggiando del tè, Viereck commenta: “Adolf Hitler svuotò la sua tazza come se non contenesse tè, ma il vivo sangue del bolscevismo”.

Fervente anticomunista, Viereck era stato già al centro di polemiche per la sua propaganda filotedesca durante la Grande Guerra, tanto che la sua casa nel 1918 fu protetta dalla polizia per timore di attacchi. Negli anni Trenta è un sostenitore di Hitler e continua a promuovere le politiche naziste anche durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1941 per il suo collaborazionismo subì un processo che fece scalpore e lo portò a trascorrere quasi quattro anni in prigione. Viereck ottenne comunque un trattamento privilegiato, in una cella dotata di libreria e dove aveva potuto portare preziosi oggetti personali. Dopo la scarcerazione pubblica un libro di memorie sulla condizione di vita in prigione e un ultimo romanzo, The Nude in the Mirror  (Woodford Press, New York 1953). Muore nel 1962, a 77 anni.

L’intervista di Viereck a Hitler (da “Liberty”, 9 luglio 1932)

ALLE FONTI DEL VAMPIRO MODERNO / 3

Porter Emerson Browne: la Vampira a teatro

Il quadro di Philip Burne-Jones The Vampire e la poesia omonima di Rudyard Kipling dovevano rinfocolare la loro popolarità nel 1909, grazie a uno spettacolo teatrale e a un romanzo, entrambi firmati dall’americano Porter Emerson Browne (ma come vedremo in articoli successivi, grazie anche a dei balletti e al cinema). Con l’arrivo a teatro, la figura della Vampira si concretizza per la prima volta davanti agli occhi del pubblico, accanto alla visione del decadimento fisico e morale delle sue vittime.

Nel 1907 l’attore Robert Hilliard, all’epoca idolo del teatro popolare, alto, soprannominato “Handsome Rob” (Rob il bello) e noto per la voce baritonale, propone a Porter Emerson Browne, giornalista ventottenne e aspirante scrittore, di creare un testo teatrale ispirato al quadro di Burne-Jones e alla poesia di Kipling. Nasce così A Fool There Was, con un titolo che riprende alla lettera l’incipit della poesia The Vampire.

Agente di borsa prima di diventare attore, Hilliard si impegna finanziariamente nel progetto e si accorda con il produttore Frederic Thompson, esperto di spettacoli a sensazione, creatore dei primi parchi dei divertimenti. A Fool There Was diventa così un evento destinato a grande successo di pubblico. Il 18 e 19 marzo 1909 va in scena all’Harmanus Bleecker Hall di Albany, poi seguono altre tappe nel New England fino all’esordio newyorchese, al Liberty Theatre, il 24 marzo. Le repliche a Broadway continueranno ininterrottamente fino a giugno, con un centinaio di rappresentazioni.

Foto da un opuscolo promozionale per A Fool There Was

Il testo teatrale in tre atti di due scene ciascuno non risulta conservato, ma è possibile ricostruirne i passaggi fondamentali grazie alle recensioni di allora. I nomi degli interpreti, qui di seguito, sono quelli delle prime rappresentazioni del 1909, poi in gran parte sostituiti da altri attori e attrici negli allestimenti successivi.

Primo atto, prima scena. John Schuyler (Robert Hilliard), un americano benestante in carriera diplomatica e con una famiglia felice, comunica alla moglie (Nannette Comstock) e alla figlioletta (Emily Wurster) che sta per partire: resterà lontano un mese per un’importante missione su incarico governativo.

Seconda scena. Sulla nave che deve portare Schuyler in missione. A bordo sale una donna (Katherine Kaelred), la Vampira, bella ed elegante, con un bouquet di rose. “Una donna bellissima, alta, flessuosa e languida, con le labbra rosse e i fianchi snelli che si muove ondeggiando come un serpente” (“Newark Evening Star”, 21 gennaio 1911). La donna è avvicinata da un giovane emaciato e nervoso, Parmalee (Howard Hull), che litiga con lei e la minaccia con una pistola. La vampira sorride e gli dice dolcemente: “Baciami, stupido mio”. Il giovane si punta la pistola alla testa e si spara. Appena il corpo è portato via, la Vampira si siede soddisfatta su una sdraio nello stesso punto dove il giovane è morto. Entra in scena Schuyler, accompagnato dai suoi familiari e dall’amico Tom (William Courtleigh) che vogliono salutarlo prima della partenza. In quel momento Schuyler nota la Vampira e ne è subito talmente attratto che non dà alcun peso alla notizia del suicidio di un giovane a bordo, limitandosi a sorridere recitando a Tom dei versi dalla poesia di Kipling. Quando i familiari lasciano la nave, la Vampira avvicina Schuyler e lo seduce.

Secondo atto, prima scena. Nel roseto della loro casa la signora Schuyler soffre per l’assenza del coniuge, ma sua sorella e Tom hanno appreso da una lettera che l’uomo ha rinunciato al suo incarico politico ed è in viaggio con la Vampira. Seconda scena, nella biblioteca della casa dove ora Schuyler vive da solo, lasciato dalla moglie, un mese dopo. Beve, è angosciato. L’amico Tom (che ama segretamente la moglie di Schuyler) lo scongiura di lasciare l’amante. Schuyler fa un tentativo di separarsi dalla Vampira, ma lei lo persuade del contrario ripetendo anche a lui “Baciami, stupido mio”.

Terzo atto. Un anno dopo, sempre nella biblioteca. Disordine, specchi rotti, bottiglie e bicchieri dappertutto. Tom fa un ultimo tentativo per riportare Schuyler alla ragione, ma lo trova in stato confusionale convinto di vedere le precedenti vittime della Vampira e di parlare con loro. Tom cerca invano di scuoterlo, arrivando a picchiarlo. Gli getta un bicchiere d’acqua in faccia e Schuyler si riprende, piange e sotto gli occhi di moglie e figlia promette di rompere con l’amante. Schuyler si sta apprestando a tornare dalla sua famiglia, quando la Vampira gli comunica che è stanca di lui e vuole lasciarlo. “Prima che ci separiamo, baciami, stupido mio!”, gli dice. Furioso, Schuyler tenta di strangolarla, ma è colto da malore e muore. Lei si ricompone e ridendo lascia cadere petali di rosa sul corpo di Schuyler. Sipario.

La coreografia dell’ultima scena era studiata per evocare il quadro di Burne-Jones, con la vampira vittoriosa che incombe sul cadavere dell’uomo. Niente lieto fine, la donna fatale e trasgressiva trionfa.

Pubblicità per lo spettacolo A Fool There Was

Browne dà un’identità al “fool” della poesia di Kipling. Ne fa un uomo d’affari e diplomatico, al servizio addirittura del Presidente americano. Il tema del maschio vulnerabile ai richiami della carne, tanto da farsi dissanguare economicamente e distruggere fisicamente da una Vampira, aveva ancora grande presa sul pubblico e al successo di A Fool There Was contribuì la sontuosa messa in scena. Il produttore Thompson aveva investito su scenografie che lasciavano incantato il pubblico, come la ricostruzione della nave, con una folla di comparse, o il giardino di casa Schuyler. Per le rappresentazioni serali faceva arrivare in teatro centinaia di rose rosse e agli spettatori era consegnata insieme al programma una copia della poesia di Kipling, con la riproduzione del quadro di Burne-Jones. Le rose rosse erano un tratto distintivo della Vampira: le ha con sé sulla nave, ne lascia cadere i petali sulla sua vittima, come gocce di sangue. La Vampira spiega nel corso della rappresentazione che ci sono due tipi di amore: uno come la rosa bianca, pallida e fredda, l’altro come la rosa rossa.

Gli interpreti si rivelavano ben scelti. A parte Hilliard, già famoso e ammirato, fa scalpore l’attrice inglese Katharine Kaelred nel ruolo della Vampira (che non è mai indicata con un nome proprio). Anche se i giornali prestarono maggiore attenzione al protagonista principale interpretato da Hilliard, non mancarono le lodi per la Kaelred, prima incarnazione di quella Vampira che prenderà poi il volto di numerose attrici sullo schermo cinematografico. Nelle recite newyorchesi si fa notare anche la breve apparizione di Howard Hull nella parte del giovane che si uccide a causa della Vampira. Per la cronaca, l’attore era fratello di Henry Hull, futuro licantropo in Werewolf of London (Il segreto del Tibet, 1935).

Il quadro di Burne-Jones e la poesia di Kipling utilizzati per pubblicizzare lo spettacolo teatrale

A Fool There Was ottenne gli apprezzamenti del “New York Times” e di gran parte della critica, con importanti eccezioni come “The Evening Post” (25 marzo 1909) che lo stronca senza appello, definendolo “fallimentare” e sciorinando una serie di definizioni negative: “sensazionalista”, “stravagante”, “zuccheroso”, “imitativo”, fino a un attacco diretto all’autore, al quale mancherebbe “l’ispirazione sia del pittore [Burne-Jones] che del poeta [Kipling]”.

Il pubblico, però, premiava A Fool There Was e dopo le rappresentazioni a New York iniziò un tour per gli Stati Uniti. Il cast cambia completamente, solo Hilliard mantiene il suo ruolo nello spettacolo. In particolare, la parte della Vampira va a Bernice Golden Henderson (morirà nel 1913, a trent’anni) e poi a Virginia Pearson, giovane attrice che in breve diventerà una diva del cinema muto girando una cinquantina di film. Dudley Glass su “The Atlanta Georgian and News” (24 novembre 1910) la definisce “perfetta” e loda “la stretta imitazione del dipinto di Burne-Jones con le labbra rosse e il viso mortalmente bianco, le forme flessuose da serpente e le sue rose rosse”.

Curiosamente, la Pearson apparirà nel primo film interpretato da Theda Bara, The Stain (1914). Proprio il regista di quel film, Frank Powell, prese in considerazione la Pearson per interpretare la Vampira nel film della Fox A Fool There Was, ruolo che poi andò a Theda Bara stessa. William Fox la scelse comunque come uno dei volti da affiancare a Theda Bara nelle tante pellicole che riproponevano storie incentrate sulle donne fatali. Nel 1925 la Pearson recita con Lon Chaney in The Phantom of the Opera nella parte di Carlotta, la cantante lirica che il Fantasma costringe ad abbandonare le scene per lasciare il posto alla sua amata Christine. Quando il film viene aggiornato con nuove riprese per una versione sonora, nel 1929, Virginia Pearson apparirà in alcune scene interpretando anche la madre di Carlotta. Nel corso degli anni Venti, però, la sua notorietà è in crisi, con il rapido declino delle vamp cinematografiche, le sue finanze tracollano e si riduce a vivere in una piccola stanza di hotel con il marito, l’attore Sheldon Lewis.

Due interpreti della Vampira a teatro, Katharine Kaelred e Virginia Pearson

Il successo di A Fool There Was prosegue per anni. Nel 1911 lo spettacolo è ancora tanto famoso da indurre una casa discografica a incidere un disco dove Hilliard legge The Vampire e declama altre battute dal testo teatrale di Browne. “The Washington Herald” salutava A Fool There Was come “opera audace e realistica che ha scosso i newyorchesi dal loro quaresimale letargo come una improvvisa esplosione di dinamite teatrale” (12 febbraio 1911).

Nello stesso anno un giornale chiese a Robert Hilliard se donne come la Vampira del suo spettacolo, oltre che delle opere di Burne-Jones e Kipling, esistessero davvero nel mondo reale. “Ce ne sono molte”, rispose l’attore. “Donne strane che portano distruzione a qualsiasi cosa tocchino, donne che non sono bellissime (molte di loro sono insignificanti), ma che possiedono una forza di attrazione che non manca mai di incantare ovunque si diriga. Questa forza è qualcosa di impossibile da analizzare, ma può portare un uomo, per tutta la vita indifferente o insensibile di fronte alle donne più belle, a un brivido improvviso quando gli presentano determinate donne, un brivido che lo cattura e lo scuote come un terrier fa con un topo, senza lasciarlo mai fino a che la vita e i sensi sono stravolti, lasciandolo inerme, troppo tardi consapevole della propria stupidità”.

Per rafforzare le sue tesi, Hilliard citava il caso di un illustre magistrato impegnato in politica, portato alla rovina da una vampira e morto in miseria, aggiungendo: “Non credo che le donne vampiro siano delle mercenarie: non sono mai sazie d’amore. Devono possedere completamente un uomo. Poi all’improvviso, e probabilmente senza sapere perché, se ne stancano. Non amano più quell’uomo, ma la loro natura richiede amore e così ne cercano un altro… e la storia si ripete continuamente. In altre parole, la donna nota comunemente come vampira è semplicemente una versione al femminile dell’uomo di mondo” (Bob” Hilliard Tells of Vampires in Real Life, “Buffalo Evening News”, 13 marzo 1911).

Nel 1912 Hilliard è sostituito nelle recite di A Fool There Was da William L. Gibson, mentre il ruolo della Vampira va a Elsie Jane Wilson, destinata a diventare una prolifica regista e sceneggiatrice. Per un singolare sovrapporsi di rimandi tra le attrici che interpretarono la Vampira, la neozelandese Wilson era moglie del suo conterraneo Rupert Julian, in seguito regista del già citato The Phantom of the Opera. Nel 1916 Julian aveva dato alla moglie una parte da “vampira”, una donna libertina e assassina, nel suo film The Evil Women Do.

Due copertine per la canzone A Fool There Was (1913). A sinistra, negli ovali l’attore Robert Hilliard nel primo atto dello spettacolo teatrale e nel terzo, quando il personaggio è rovinato dalla Vampira

Un altro indice della duratura popolarità di A Fool There Was si ha nel 1913, quando esce una canzone dallo stesso titolo, con testo di Alexander Dubin e musica di Gustav Benkhart “dalla poesia The Vampire di Rudyard Kipling”. Le prime parole sono significative: “Una volta un poeta scrisse dei versi ed emozionò il mondo con una verità”. L’omaggio a Kipling prosegue nella descrizione del giovane che a causa di una donna rimane con “il cuore freddo e morto”. Sulla copertina dello spartito, pubblicato contemporaneamente a Filadelfia, Londra e Sydney, non mancava il riferimento al “grande successo di Robert Hilliard”. Il 78 giri della canzone aveva la voce del tenore De Los Becker. La canzone si può ascoltare a questo link: A Fool There Was.

Come spesso accade con i vampiri (la diatriba Polidori-Byron, il sequestro di Nosferatu, ecc.) i diritti d’autore furono oggetto di contese. Nel novembre 1911 Browne accusa di plagio William Schilling che aveva scritto una commedia intitolata The Vampire Fool, sostenendo che aveva “rubato” intere parti del secondo e terzo atto di A Fool There Was. Da parte sua Hilliard nel marzo 1915 porta in tribunale una ditta cinematografica che voleva produrre un film dal titolo A Fool There Was e a luglio dello stesso anno fa causa alla Fox per aver distribuito il film con Theda Bara prima della data stabilita dal loro accordo.

In quel 1915, tuttavia, la parabola ascendente dello spettacolo teatrale di Browne e Hilliard si stava concludendo. Il suo successo si era esteso ai balletti da vaudeville, come vedremo nel prossimo articolo, ma soprattutto il cinema prendeva il posto del teatro, con una serie di pellicole che culminano nel film ovviamente intitolato A Fool There Was con Theda Bara.

Cartolina postale del 1910

Il romanzo di Porter Emerson Browne

Visto il grande successo a Broadway di A Fool There Was, Browne aveva subito trasposto in romanzo il suo testo teatrale, con lo stesso titolo. La prima edizione è pubblicata nel 1909 da The H.K. Fly Company di New York, con illustrazioni a colori di Edmund Magrath e a inchiostro di W.W. Fawcett, presto ristampato da Grosset & Dunlap. Il libro porta in copertina una riproduzione del quadro di Burne-Jones ed è dedicato a Robert Hilliard, vero promotore della saga sulla vampira. Browne rivendica anche l’ispirazione a The Vampire di Kipling, ponendo in epigrafe la prima strofa della poesia che viene poi citata espressamente nel corso del romanzo. Come nel testo teatrale, l’amico Tom, sulla nave dove si è appena ucciso il giovane Parmalee, chiede a Schuyler se ha letto la poesia di Kipling e lui risponde: “Beh, sì, ovviamente. Quasi tutti l’anno letta”. Poi ne recita i primi versi.

Il romanzo ripropone con uno stile verboso le stesse situazioni melodrammatiche dello spettacolo a teatro, ma aggiungendo molti dettagli sulla biografia della Vampira e sviluppando il riferimento moralistico a opinioni molto presenti nella cultura dominante dell’epoca. Si delinea ulteriormente la connotazione “di classe” dei personaggi. John Schuyler, padre modello, erede di una stirpe virtuosa anglo-olandese, cresciuto nella Fifth Avenue di New York, è esponente della “classe dominante”, ricco, di successo e ovviamente bianco. La Vampira, invece, è di povera estrazione, provenendo da un villaggio della Bretagna, tra contadini quasi animaleschi. Lei è figlia illegittima di un aristocratico francese e di una povera donna bretone che muore dopo averla data alla luce. Il padre, pur abbandonandola cinicamente, decide di scegliere il nome per la figlia: Rien (niente). L’uomo finirà male: anni dopo torna alla misera casa della figlia e lei lo fissa negli occhi, facendolo arretrare su un precipizio fino a che cade nel vuoto.

La copertina dell’edizione Grosset & Dunlap e una delle immagini all’interno

Può sembrare assurdo ai nostri occhi attuali, ma il romanzo indicava delle ragioni genetiche per il vampirismo. La povertà era considerata un segno di inferiorità e i poveri potevano essere indicati come parassiti, quindi vampiri. La Vampira, in quanto figlia del rapporto tra una povera bretone e un nobile francese, aveva genitori europei ma “latini”, diversi dal filone genetico anglo-olandese rivendicato dagli americani dell’epoca come loro ascendenza. Era dunque frutto dell’unione tra poveri, tali per la loro inferiorità, e aristocratici, decaduti a causa del vizio: il contrario dei borghesi benestanti che si ritenevano geneticamente privilegiati e mossi da rettitudine morale per guidare gli Stati Uniti. Cedendo alle attrazioni sessuali della Vampira, Schuyler indebolisce anche il suo rigore morale. Bram Dijkstra (Evil Sisters, Alfred A. Knopf, New York 1996) segnala che il disordine e la sporcizia in cui viveva la madre della vampira è analogo a quello in cui finisce a vivere Schuyler nella sua abitazione dopo essere caduto nelle grinfie della donna fatale.

La Vampira è bianca, ma viene da un mondo contadino sordido, dai bassifondi. Socialmente meticcia, incrocio tra un nobile e una contadina, si eleva a donna borghese, colta e bella, per esercitare il suo potere ipnotico sugli uomini. Come scrive ancora Dijkstra, per Browne la Vampira fa parte della schiera di donne “strisciate fuori dalla peggior feccia della peggior specie di umanità per infettare il mondo ariano con la loro lussuria”. Browne rendeva universale quella minaccia, indicandola in apertura del romanzo come valida anche nei millenni passati

In A Fool There Was non ci sono mai accenni a possibili caratteristiche soprannaturali della Vampira. Però le condizioni fisiche di Schuyler sono molto simili a quelle delle vittime di un vampiro soprannaturale: prosciugato, ridotto a una larva, Schuyler dice che quella donna “gli succhia il cervello”. Si ciba della sua salute e più lui si indebolisce (“Il sangue mi si è trasformato in acqua e le mie ossa in gesso! Il mio cervello si è avvizzito!”), più lei diventa forte e florida.

A molti decenni dalla pubblicazione del libro di Browne, almeno due romanzi hanno utilizzato lo stesso titolo. Nel 1958 esce il “mystery” A Fool There Was (Crest Books, New York) di John Manson che aveva avuto una precedente edizione l’anno prima con il titolo It Is a Dream. La nuova versione puntava molto sul legame con la poesia di Kipling, riprodotta integralmente all’interno e richiamata in copertina. Narra la vita di un uomo stravolta dall’amore incondizionato per una ragazza, i cui “profondi occhi bruni lo avevano ipnotizzato” sin dal primo incontro. Nel 2009, poi, i versi della poesia di Kipling aiutano la poliziotta Sukey Reynolds, creata dalla scrittrice Betty Rowlands, a risolvere un caso in A Fool There Was (Severn House, London).

Copertina del romanzo del 1958 con i versi di Kipling

IL VAMPIRO CON LA SCIMITARRA / 2

Le avventure di Andrej Delãny, il “vampyr” creato nel 1999 dallo scrittore tedesco Wolfgang Hohlbein, continuano dopo i primi sei volumi e si arricchiscono di numerosi episodi fino al 2017. Proseguiamo quindi il censimento della saga Die Chronik der Unsterblichen (Le cronache degli immortali), dopo la prima parte.

Andrej, Abu Dun e Frederic

I TITOLI DELLA SAGA / seconda parte

Der Gejagte (La preda, 2004)
Nel 1565 Andrej e Abu Dun da tre anni vivono a Malta, il primo è Cavaliere dell’Ordine di Malta, il secondo convive con una giovane vedova. Quando giunge notizia di un prossimo attacco turco all’isola, Jean de la Valette, Gran Maestro dei Cavalieri Ospitalieri dell’Ordine di Malta, invia Andrej e Abu Dun a Costantinopoli come spie. I due devono affrontare un potentissimo vampiro e scoprono che i turchi hanno grandi forze militari a disposizione. Tornati a Malta, dopo la morte della compagna di Abu Dun i due guerrieri lasciano l’isola alla ricerca di un rifugio più sicuro.

Die Verfluchten (La maledetta, 2005)
Andrej e Abu Dun si trovano nel deserto della Libia quando vengono rapiti da mercanti di schiavi. Tra i prigionieri fanno la conoscenza della nubiana Meruhe che in realtà da millenni è una immortale come loro ed è una dea dell’antico Egitto. Andrej si innamora di Meruhe, sconfigge i mercanti di schiavi e, nella conclusione che si svolge nella Valle dei Re, ottiene anche un ricco patrimonio.

Blutkrieg (Guerra di sangue, 2007)
Si tratta di un volume “speciale” diviso in cinque episodi. Andrej e Abu Dun sono a caccia di un lupo mannaro quando incontrano una ragazza e la accompagnano nel suo villaggio sulla costa. La popolazione è in pericolo per gli attacchi dei licantropici guerrieri Dauga che viaggiano sulla nave “Schiuma nera”. Sconfitti i Dauga, Andrej vuole riportare nella loro patria i cadaveri dei guerrieri uccisi, ma sulla nave due misteriosi corvi fanno risorgere i morti. Andrej e Abu Dun riescono a raggiungere un’isola che appare come un deserto di ghiaccio. In una caverna fanno la conoscenza del giovanissimo Lief e di sua sorella Liftrasil. Andrej è sedotto dalla ragazza, che però si rivela un ragno gigantesco. Nel combattimento, Abu Dun rimane gravemente ferito e rischia di morire. Per salvarlo Andrej chiede l’aiuto della potente strega mutaforma Gryla. Dopo aver passato una notte con Andrej e aver risanato Abu Dun, la strega spiega loro come lasciare l’isola. I due guerrieri si imbarcano su una nave vichinga e scoprono che l’equipaggio è formato da lupi mannari.

Das Dämonenschiff (La nave dei demoni, 2007)
Andrej e Abu Dun sono catturati da un gruppo di norvegesi e portati nel loro villaggio, dove assistono all’assalto da parte di feroci creature. Thure, il capo del villaggio, chiede ad Andrej di aiutare il suo popolo contro gli attacchi di Odino, il dio corvo. Andrej, che nel frattempo si è innamorato di Urd, la sorella di Thure, accetta la richiesta e con i vichinghi combatte una nave di esseri mostruosi e Sleipnir, il cavallo di Odino che è una sorta di ragno a otto zampe. Infine con una spada fatata deve affrontare Loki, il dio norreno degli inganni.

Göttersterben (La morte degli dei, 2008)
Siamo nel 1588. Nel porto di Cadice, mentre l’Armada spagnola sta per dare battaglia agli inglesi, Andrej e Abu Dun proseguono la lotta contro il dio mutaforma Loki. Indebolito da un proiettile avvelenato nella testa, Andrej deve fronteggiare i tranelli di Loki, fino a uno scontro apparentemente decisivo a bordo di una nave diretta in America.

Glut und Asche (Braci e ceneri, 2009)
Nel 1666 Andrej e Abu Dun sono a Londra a caccia di Loki che è sopravvissuto. Incontrano la dea Meruhe e un gruppo di bambini vagabondi, il cui leader dodicenne si chiama Frederic, ma non assomiglia all’omonimo partner di Andrej. Il ragazzino uccide una ragazza e fa incolpare Andrej che viene imprigionato e torturato: il suo aguzzino, Marcus, sostiene di essere un discendente di padre Domenicus. Mentre Londra è in fiamme per il celebre incendio della città, Andrej viene liberato da Abu Dun e Meruhe. Frederic è proprio l’omonimo ragazzo in un nuovo corpo, ma ormai crudele dopo l’incontro con Dracula. Andrej con l’aiuto di Abu Dun e Meruhe affronta i vampiri di Frederic che riesce a scappare. Per accrescere la sua potenza, Andrej mescola il proprio sangue con quello di Meruhe e può così affrontare Loki. In uno scontro sul London Bridge, Meruhe salva Andrej ferendo il cuore di Loki. Andrej scopre che Frederic è in realtà il suo defunto figlio Marius e nel corso della storia si apprende anche che Maria è morta e che il responsabile è Dracula.
Le avventure di questo libro sono state arricchite qualche anno dopo dal racconto lungo Seelenraub (Furto di anime, 2013) ambientato ancora a Londra nel 1666, dove Andrej e Abu Dun devono combattere i Djin e si fa riferimento anche alla spada Excalibur. Il racconto è stato pubblicato per lanciare un successivo volume, Pestmond.

Der schwarze Tod (La morte nera, 2010)
Andrej e Abu Dun sono alla ricerca di Marius/Frederic. Il ragazzo è richiuso in un manicomio su un’isola, con un fedele topo gigante. Marius non solo può possedere le persone, ma comanda i topi che usa per compiere la sua vendetta contro Andrej. Nel frattempo il cavaliere ha una storia d’amore con la bella Corinne e incontra nuovamente Meruhe. Abu Dun, dopo il morso di un topo di Marius, cerca di uccidere Andrej. Nel finale, Meruhe elimina Marius e cade in una fornace.

Der Machdi (Il Machdi, 2011)
Andrej e Abu Dun sono a Costantinopoli dove gli uomini del sultano combattono contro i seguaci del misterioso Machdi, capo di una setta che assume una potente droga per ottenere forza straordinaria. Abu Dun prova quella droga e ne diventa dipendente. Andrej e Abu Dun partono per l’Egitto con Sharif, capo dell’esercito, per eliminare il Machdi e liberare Murida, la figlia del sultano. Nel classico colpo di scena che non manca mai nei volumi della saga, Sharif si rivela il padre di Murida. Lo scopo del sultano era di utilizzare i due immortali per le sue mire di conquista. Nel corso delle avventure, Abu Dun perde una mano e Murida è ferita a morte: per salvarla, Andrej la rende una immortale. Mentre Murida diventata vampira semina vittime, Andrej e Abu Dun riescono a fuggire.

Pestmond (Pestilenza, 2013)

E’ il 1669. Abu Dun è morto per la droga del Machdi e Andrej accetta la proposta di un misterioso personaggio, Hasan as Sabah: l’uomo riporterà in vita Abu Dun se Andrej in cambio uccide Papa Clemente IX. Abu Dun risorge e con Andrej, Hasan e la figlia Ayla partono per Roma. A Jaffa, però, sono attaccati da morti viventi che mordono Andrej, contaminandone il sangue. Dopo innumerevoli vicissitudini in mare e su un’isoletta, scoprono che Hasan as Sabah è in realtà il Papa.

Nekropole (Necropoli, 2013)
Tornati a Roma, Andrej e Abu Dun (che ha sostituito la mano perduta con una protesi di ferro) trovano la città assediata dai morti viventi. Il Papa, alias Hasan, è stato rapito con Ayla e i due immortali si mettono alla sua ricerca. Raggiunta la necropoli sotto il Vaticano, combattono gli zombi che si rivelano creati da Ayla: Andrej e Abu Dun devono eliminare la ragazza.

Dunkle Tage (Giorni bui, 2017)
A Roma, Andrej e Abu Dun sono aggrediti in un’imboscata, ma gli uomini del cardinale Altieri li salvano. Come ricompensa, il cardinale vuole che i due immortali vadano in missione segreta nella città di Hamblen, dove infuria la peste. In città, Andrej e Abu Dun devono affrontare cavalieri misteriosi e creature mostruose che rapiscono i bambini. Hamblen (che ovviamente allude a Hamelin, la città del pifferaio magico secondo la fiaba) è infestata da topi aggressivi contro i quali devono battersi i due guerrieri immortali. Attualmente è l’ultimo libro della saga, senza però che contenga una conclusione. Non è escluso un seguito.

GLI IMMORTALI MULTIMEDIALI

Quasi tutti i romanzi della saga Cronache degli immortali sono stati trasformati in audiolibri (in lingua tedesca) da Egmont, Bastei Lübbe e Audible Studios.

Copertine di due edizioni degli audiolibri per Der Vampyr

I primi tre romanzi della saga hanno avuto una trasposizione a fumetti, elegante e di successo. I testi erano di Benjamin von Eckartsberg, fedele alle storie originali quasi alla lettera. Il primo episodio aveva disegni di Thomas von Kummant, mentre i due seguenti di Chaiko, con un accurato uso del colore. Le tre avventure a fumetti sono state pubblicate anche in Italia, nel 2015, da Editoriale Cosmo in tre albi: L’abisso, Il vampiro, Il colpo di grazia.

Tavole dai fumetti ispirati alle Cronache degli immortali

I personaggi delle Cronache degli immortali sono stati rielaborati per un’opera rock, Blutnacht, che ha debuttato nel gennaio 2012 al Pfalztheater di Kaiserslautern. Il gruppo progressive metal Vanden Plas, del quale Wolfgang Hohlbein è un fan, ha scritto per la messa in scena 19 canzoni. La Frontiers Records ha poi pubblicato due album con i brani dei Vanden Plas, Chronicles of the Immortals – Netherworld (Path 1) nel 2014 e Chronicles of the Immortals – Netherworld (Path 2) nel 2015.
Il libretto dell’opera rock era scritto dal cantante dei Vanden Plas, Andy Kuntz, insieme a Hohlbein e a Dieter Winkler. Lo spettacolo riproponeva vicende e personaggi delle Cronache degli immortali, mettendo in scena anche molti combattimenti con la scimitarra.

L’opera rock Blutnacht


In occasione dell’omonima opera rock, Hohlbein ha scritto con Dieter Winkler un romanzo, Blutnacht (Notte di sangue, 2012), che permette di capire i rimaneggiamenti della storia per la messa in scena a teatro. Le avventure comparse in diversi volumi della saga sono sintetizzati e modificati. Andrej Delany e Abu Dun si separano: il primo va in Transilvania sulla tomba del figlio Marius, mentre il secondo è in viaggio per Londra alla ricerca di Frederic che è diventato il capo dei bambini di strada agli ordini del dio Loki. Andrej è attaccato da un misterioso cavaliere nero ed è ferito gravemente. Compaiono la sua amata Maria e suo fratello Domenicus, l’inquisitore. Domenicus salva Andrej con un elisir, che però perde l’immortalità. La dea Meruhe propone ad Andrej di diventare un dio, ma in cambio deve rinunciare alla sua umanità e a Maria. Quando Andrei sta per accettare il patto, Abu Dun lo ferma.

Andrej e Maria in Blutnacht

IL VAMPIRO CON LA SCIMITARRA

Wolfgang Hohlbein, nato a Weimar nel 1953, è uno degli autori tedeschi di fantasy e fantastico più noti in patria, ma che vanta anche innumerevoli traduzioni in tutto il mondo (dichiara di aver venduto più di 40 milioni di copie). A lui si deve una lunga saga incentrata sul guerriero transilvano Andrej Delãny, immortale vampiro. Una ventina di titoli, per migliaia di pagine (molti volumi si aggirano tra le 500 e le 700 pagine), che si sono estesi ad altri media: l’audiolibro, il fumetto, il teatro.

Illustrazione di Peter Popken ispirata al vampiro Andrej

I vampiri sono ricorrenti nella infinita produzione di Hohlbein. Probabilmente il primo riferimento al vampirismo compare all’interno di una lunga saga, nota in Italia come “Il ciclo dello stregone”, arrivata a una sessantina di episodi, ambientata nell’universo di H.P. Lovecraft e firmata inizialmente con lo pseudonimo collettivo Robert Craven. Tra gli innumerevoli volumi della serie, infatti, c’è Die Chrono-Vampire (I cronovampiri, 1985; trad.it. All’ombra della bestia in W. Hohlbein, L’orma dello stregone, Armenia, 2008), mentre un altro romanzo in tema, singolo, è Dunkel (Buio, 1999), dove Vlad Tepes Dracula, vampiro, miete vittime nella Germania di oggi: il personaggio, però, non ha riferimento con il Draculea che comparirà nelle Cronache degli immortali. L’argomento vampiresco è anche al centro di Unheil (Malvagità, 2007; trad. it. I seguaci del vampiro, Newton Compton, 2009), con uno psicopatico serial killer definito “Il Vampiro del Reno” e un misterioso Vlad che contatta la polizia vestito da Dracula.
Nel 1999 si avvia la saga Die Chronik der Unsterblichen (Le cronache degli immortali), dove si raccontano le avventure di Andrej Delãny. Nel primo romanzo della saga non compare mai la parola “vampiro” per descrivere la condizione di Andrej e i suoi strani poteri. Solo con il secondo episodio si afferma che Andrej è un “vampyr” e il termine sarà utilizzato correntemente in tutti i libri successivi.
I vampiri delle Cronache hanno caratteristiche precise: bere sangue di altri vampiri dà loro una forza straordinaria; con i loro sensi acuti possono percepire la presenza di altri vampiri; possono assorbire energia dalle loro vittime anche senza morso.
La saga presenta “luoghi comuni” ripetuti sostanzialmente in ogni libro: un continuo susseguirsi di descrizioni dei combattimenti tra i due eroi della serie e i loro avversari; un momento quasi immancabile in cui Andrej è catturato e torturato; la lotta dello stesso Andrej contro i suoi istinti vampireschi e la sua ostinazione nel negare sempre l’esistenza dei vampiri; infine un cliffhanger in chiusura dei volumi per preannunciare il libro successivo.

Solo i primi tre volumi della saga sono stati tradotti in italiano.

Dal fumetto Il vampiro

I TITOLI DELLA SAGA / prima parte

Am Abgrund (Nell’abisso, 1999; trad. it. Nell’abisso, Editrice Nord, 2005, poi ristampato per Tea con il titolo Il sangue del cavaliere)
XV secolo. Andrej Delãny dopo un lungo esilio torna a Borsã, il suo villaggio della Transilvania. Gli abitanti sono stati sterminati o deportati dall’esercito dell’inquisitore Domenicus e tra le vittime c’è anche Marius, il giovanissimo figlio di Andrej. L’unico scampato è Frederic, un ragazzino amico di Marius. Con lui Andrej parte nella speranza di salvare i prigionieri, e giunge nella città portuale di Costanza. Nel corso del viaggio i due sono aggrediti, ma Andrej guarisce quasi istantaneamente da ogni ferita o ustione. A poco a poco sarà evidente che si tratta di un immortale, con capacità straordinarie sin dall’infanzia: proprio quelle sue inquietanti stranezze avevano provocato il suo allontanamento da Borsã. In città Andrej si innamora di una ragazza misteriosa, Maria, ma scopre che è la sorella dell’inquisitore Domenicus. Durante uno scontro con gli uomini dell’inquisitore, Frederic ferisce gravemente Domenicus, provocando la disperazione di Maria. Dopo un tentativo di fuga, Andrej è catturato dal duca di Costanza. Mentre Andrej è prigioniero, il cavaliere Malthus gli dice di essere un immortale come lui. Dopo che gli ha spiegato come si può uccidere uno di loro, Malthus affronta Andrej in un duello violento, vinto da quest’ultimo. Bevendo il sangue della sua vittima Andrej si rinvigorisce e fugge. Il duca è ucciso da Frederic, che si rivela a sua volta un immortale. Andrej ha appreso che i superstiti di Borsã sono prigionieri sulla nave del mercante di schiavi africano, il gigantesco Abu Dun: con il ragazzino, Andrej decide di inseguire lo schiavista.

Der Vampyr (Il vampiro, 2000; trad. it. Il principe Vlad, Editrice Nord 2006)
Andrej e Frederic giungono a bordo della nave di Abu Dun che sta risalendo il Danubio. Un vascello nero, comandato da un cavaliere che indossa un’armatura rosso sangue irta di punte, dà alle fiamme la nave: soltanto Andrej, Frederic e Abu Dun riescono a salvarsi. A terra, si trovano coinvolti nella guerra tra i soldati turchi e gli uomini del cavaliere rosso, il principe Vlad Tepes, detto Dracula. Catturati dal principe, apprendono che Domenicus e Maria sono suoi ospiti e chiedono che Andrej sia consegnato a loro. Per lasciarli scappare, il principe chiede ad Andrej e Abu Dun di uccidere il sultano. I due accettano, aiutati da Vlad, una guardia del principe. Ma Vlad propone ai due guerrieri di eliminare il principe, a suo parere diventato un mostro. E’ una trappola: Vlad in realtà è proprio il principe Dracula che ha come scopo di ottenere l’immortalità dai vampiri. Dracula fa decapitare Domenicus, sevizia Maria, ma è ucciso dai turchi. Il suo spirito si impadronisce di Frederic che ora è spietato e assetato di sangue: “Cos’avevano creato?” è la domanda che chiude il libro.

Copertine dell’edizione francese e di quella italiana per Der Vampyr

Der Todesstoß (Il colpo di grazia, 2001; trad. it. Il rogo dell’inquisitore, Editrice Nord 2006)
Dieci anni dopo la precedente avventura, Andrej sta attraversando l’Europa con Abu Dun per ritrovare Maria. In un villaggio della Baviera salvano una ragazza dal rogo degli inquisitori e Andrej capisce che è come lui, una vampira. La ragazza, però, soffre di una grave febbre e muore, dopo aver rivelato che la Puuri Dan, un’anziana donna cieca, conosce il segreto degli Immortali. Andrej scopre così che i vampiri possono essere uccisi da una malattia. Andrej e Abu Dun giungono al villaggio di Trentklamm, dove sgominano i lupi mannari che infestano il paese.

Der Untergang (La caduta, 2002)
Un anno dopo, Andrej e Abu Dun stanno ancora cercando la Puuri Dan. La trovano nella Germania centrale, ma non ha nulla da rivelare. Sua figlia, Elena, è a capo di una covata diabolica e viene uccisa da Andrej. Abu Dun è trasformato in vampiro e continua il viaggio con Andrej.

Die Wiederkehr (Il ritorno, 2003)
Vienna, 1529. Sono passati molti anni dall’ultima avventura. Andrej e Abu Dun arrivano nella città per trovare una spiegazione alla loro condizione di vampiri, ma si trovano coinvolti nell’assedio da parte dei turchi. Difendono Vienna e apprendono che altri vampiri stanno mietendo vittime. I due si scontrano con i turchi e i vampiri, tra i quali trovano Frederic, sempre posseduto dallo spirito di Dracula, ma Andrej non ha la forza di ucciderlo.

Die Blutgräfin (La Contessa Sanguinaria, 2004)
Ancora nel 1529. Alla ricerca della scomparsa Maria e di notizie sull’origine dei vampiri, Andrej e Abu Dun giungono in un piccolo villaggio ungherese, dove avvengono orribili omicidi. Si dice che la responsabile sia una donna misteriosa, chiamata “La Contessa Sanguinaria”. Un incantesimo fa credere ad Andrej che la contessa sia la sua amata Maria, ma è solo un’illusione.

(continua)