ALLE FONTI DEL VAMPIRO MODERNO / 1

La vampira del quadro: The Vampire di Philip Burne-Jones

Il 1897 è l’anno di nascita dell’immaginario vampiresco moderno. Il 18 maggio si tiene la rappresentazione teatrale di Dracula: ovvero il Non-Morto, prima apparizione pubblica della creatura di Bram Stoker. Poi il 26 maggio il romanzo Dracula esce in libreria (e il 22 giugno si celebra il Giubileo di diamante della Regina Vittoria: può sembrare fuori tema, eppure non lo è). Un mese prima, però, i vampiri avevano già infestato l’immaginario grazie a un quadro e una poesia, oggi poco noti, ma per alcuni anni più popolari del conte Dracula. Il termine “vampire” si allontanava dalla sua valenza soprannaturale, indicando non tanto un morto che torna dalla tomba, quanto una creatura spietata, di sesso femminile, che sugge energie e provoca sciagure: di lì a poco la parola sarebbe stata sintetizzata in “vamp”.

In un freddo sabato 24 aprile 1897, alla New Gallery di Londra si inaugura un’esposizione di quadri in occasione della decima mostra estiva (Tenth Annual Summer Exhibition) della galleria. La maggior curiosità è subito creata da un dipinto racchiuso in una cornice dorata, The Vampire di Philip Burne-Jones, e dalla poesia omonima scritta per l’occasione da Rudyard Kipling, cugino dell’artista, e stampata nel catalogo. Nel quadro, un giovane uomo giace riverso sul letto, morente o in deliquio. Sul petto scoperto c’è una ferita e una donna lo sovrasta, in camicia da notte, le braccia nude e le labbra socchiuse in un sorriso enigmatico. Secondo gli articoli dell’epoca, nel dipinto (oggi perduto e mai riprodotto a colori se non in una cartolina poco attendibile) al bianco vestito della vampira si accostavano il verde e il rosso degli arredi, mentre sul petto del giovane esanime si notava una macchia vermiglia.

Oggi il quadro ci appare certamente innocuo, ma nel 1897 l’immagine di un uomo soggiogato e vampirizzato da una femmina predatrice era ancora capace di far nascere turbamenti. “The Sunday Times” (25 aprile 1897) scriveva che The Vampire “colpisce il pubblico”: “La donna appoggiata sul giovane morto, della cui linfa vitale si è nutrita, è dipinta con tale forza che cattura l’attenzione”. “Tutti si fermano davanti al quadro di Mr. Philip Burne-Jones”, esposto nella South Room della galleria, e leggono la poesia di Kipling, aggiungeva il “Country Life Illustrated” (1 maggio 1897).

The Vampire in una riproduzione del 1902 e, accanto, colorizzato con l’intelligenza artificiale

In breve The Vampire si rivela un evento e l’interesse si moltiplica grazie ai versi di Kipling, mentre il quadro viene proposto in fotografia da vari giornali (“The International Studio” ne pubblica una riproduzione a tutta pagina, nella sua edizione speciale per la mostra alla New Gallery). I critici sono generalmente benevoli, a parte qualcuno che trovò il soggetto “sgradevole”.

L’autore del quadro portava un nome illustre, perché il padre Edward Burne-Jones era uno dei più apprezzati pittori preraffaelliti (e la madre Georgiana, pittrice a sua volta e zia di Kipling, tra l’altro presenziò all’inaugurazione della mostra alla New Gallery, in abiti elegantissimi). Di carattere instabile, Philip Burne-Jones frequentava le cerchie di Oscar Wilde e poi di Virginia Woolf. Quest’ultima nei suoi diari non dà giudizi molto positivi del suo amico Phil, definendolo “una specie di dissipatore degenerato” che spendeva tutte le sterline guadagnate con i quadri in “avventure galanti e lussi”. Tra le frequentazioni di Philip non mancava Bram Stoker: i due si conoscevano bene, da tempo. Il padre dell’artista, Edward, aveva realizzato scenografie per il Lyceum, il teatro londinese di Henry Irving gestito da Stoker, e nel 1882 aveva disegnato un ritratto di Florence Balcombe, moglie dello scrittore. Sono conservate inoltre lettere del 1895 tra Edward Burne-Jones e Stoker. Sappiamo anche che il pittore preraffaellita era ospite a pranzi e cene con Irving e Stoker all’esclusivo Beefsteak Club, a conferma di una familiarità che senza dubbio coinvolgeva anche Philip. Quest’ultimo, inoltre, nel 1888 aveva collaborato lui stesso a scenografie per il Lyceum e il suo nome è citato nei ricordi di Ellen Terry, la diva indiscussa di quel teatro.

Inconsapevole di aver anticipato con il suo quadro una stagione destinata a fondare l’immaginario vampiresco successivo, Philip Burne-Jones ricevette in omaggio il romanzo Dracula da Stoker in persona. Lo testimonia una sua lettera datata 16 giugno 1897: “Caro Bram Stoker, la tua gentilissima promessa dell’altra sera si è concretizzata con grande piacere oggi, quando il tuo libro è arrivato. Inutile dire con quanto interesse lo leggerò o quanto valore abbia per me in quanto dono del suo dotato autore. Appena ne avrò una copia ti prego di accettare una fotografia del mio ‘Vampire’ – una donna in questo caso, tanto per creare il giusto equilibrio!”.

L’uscita di Dracula a poche settimane dalla mostra della New Gallery non poteva che collegarsi a un crescente interesse, non solo “anglosassone”, per i vampiri. La recensione di Dracula sul “Weekly Sun” del 6 giugno 1897 metteva in diretta relazione il quadro di Burne-Jones e il romanzo di Stoker: “Solo quando ho letto il libro del signor Stoker ho capito in pieno il significato e la stranezza misteriosa [weirdness] di quel dipinto” (non ho rintracciato l’articolo originale, citato in due testi di David J. Skal: Fatal Image. The Artist, the Actress, and “The Vampire”, in Vampires: Encounters with the Undead, Black Dog & Leventhal, New York 2001; Something in the Blood, W. W. Norton & Company, New York 2016. Su Stoker e i Burne-Jones vedi anche Barbara Belford, Bram Stoker: A Biography of the Author of Dracula, Weidenfeld & Nicolson, London 1996).

Gossip vampireschi

Philip Burne-Jones dopo The Vampire si trovò al centro di una grande attenzione da parte dei giornali e il quadro scatenò subito una marea di pettegolezzi, perché nel volto della vampira si notò una straordinaria somiglianza con un’attrice inglese che si vociferava avesse avuto una tempestosa relazione con l’artista: Beatrice Tanner, di madre italiana, nota sulle scene come Mrs. Patrick Campbell (dal nome del primo marito).

La stampa, anche oltreoceano, evidenziò subito la vicenda, all’inizio senza citare il nome dell’”attrice inglese”, la quale – scrivevano – si sarebbe irritata non solo per essere apparentata a una vampira nel quadro, ma soprattutto per la descrizione impietosa contenuta nella poesia di Kipling. Di fronte al clamore intorno a quel dipinto, l’attrice si confidò proprio con la sorella di Burne-Jones, Margaret, sua amica e vicina di casa.

Mrs. Patrick Campbell

Il critico teatrale Elwyn Barron, su “The Brooklyn Daily Eagle” (27 giugno 1897), sarà poi esplicito, facendo nome e cognome: “Chi guarda quel quadro vede abbastanza chiaramente nella donna un eccellente ritratto di Mrs. Patrick Campbell. La somiglianza è casuale?”. La risposta di Barron era negativa, dato che era notorio il legame tra l’artista e l’attrice: Burne-Jones era stato un “generoso amico” e “benefattore” per Mrs. Campbell (i gossip dicevano che l’avesse ricoperta di gioielli e pellicce), fino a che lei gli aveva voltato le spalle, inducendolo alla “vendetta”.

Mrs. Patrick Campbell era all’epoca molto nota. Ritratta anche da Aubrey Beardsley, aveva recitato al teatro Lyceum in ruoli scespiriani ed era diventata famosa nel 1893 con la parte del titolo in The Second Mrs Tanqueray di Arthur Wing Pinero. Per certi aspetti era un ruolo di vamp ante litteram, una donna dalla grande libertà sessuale che alla fine non regge ai pregiudizi sociali verso il suo comportamento e si uccide. In seguito l’attrice diventerà la grande passione amorosa di George Bernard Shaw.

Il teatro ha dunque un ruolo importante nella nascita dell’idea moderna di vampiro. Se Dracula fa il suo esordio sul palcoscenico, prima ancora che in libreria, la donna vampiro pare connessa strettamente al teatro e alle attrici. Non solo Stoker in Dracula paragona apertamente Lucy diventata vampira a Ellen Terry, ma con tutta probabilità il volto della vampira di Burne-Jones era quello dell’attrice teatrale Campbell. Negli anni immediatamente successivi, come vedremo in un prossimo articolo, proprio a teatro si manifesterà più spesso la vampira, recitando o ballando.

Le fonti della vampira di Burne-Jones

Anche se alla sua prima apparizione londinese The Vampire ottenne buone recensioni dai critici d’arte, il quadro deve la sua popolarità soprattutto all’argomento scottante della temuta emancipazione femminile e al gossip su Mrs. Campbell. L’artista, poi, doveva sostenere il peso del paragone con il celebre padre. Edward Burne-Jones ritraeva spesso donne che apparivano svenute o addormentate e di fatto il figlio Philip ribaltava quelle concezioni, facendo della donna una predatrice. Ma ci sono almeno due importanti eccezioni nell’opera di Edward Burne-Jones che anticipano proprio il dipinto del figlio e ne sono state ispirazione. Come The Vampire, anche quei quadri fecero scandalo e sensazione. Si tratta di Phyllis and Demophoon (1870) e The Depths of the Sea (1887).

Il primo dipinto evoca il mito di Fillide e Demofonte, descritto da Ovidio e poi da Geoffrey Chaucer. Fillide, regina della Tracia, si innamora di Demofonte che però la abbandona. Fillide si impicca e gli dei la trasformano in un albero di mandorla. Demofonte pentito abbraccia l’albero e Fillide si materializza nei germogli della pianta. Aprendo uno scrigno che Fillide gli aveva donato, Demofonte inciampa e muore trafitto dalla sua spada. Edward Burne-Jones rielabora il mito facendo di Fillide una sorta di vampira che torna dalla morte per rivendicare gli abbracci del suo amante.

Ad apparentare Phyllis and Demophoon e The Vampire concorrono anche le polemiche che circondarono entrambi i quadri. Se Philip Burne-Jones fece scalpore per aver ritratto una nota attrice a cui era stato legato, sia Fillide che Demofonte avevano nell’opera di Edward Burne-Jones il volto della modella Maria Zambaco, con la quale l’artista aveva avuto una relazione. Quando il quadro fu presentato a una mostra della Old Watercolour Society nel 1870 si sollevarono grandi polemiche per la rappresentazione di Demofonte nudo, con i genitali esposti, tanto che dopo due settimane Burne-Jones ritirò il dipinto e poi si dimise dalla Society. Oltre un decennio dopo, il pittore rielaborerà il quadro con il titolo The Tree of Forgiveness (1882), lasciando il volto della Zambaco solo nelle fattezze di Phyllis: quasi per scherno verso i critici dell’opera precedente, ora il nudo integrale era della fanciulla, mentre il giovane maschio era pudicamente coperto nelle parti intime da un velo.

Le due versioni di Phyllis and Demophoon

Il tema della donna fatale è poi proposto ancora da Edward Burne-Jones con The Depths of the Sea (1886, oggi è visibile al pubblico solo una copia realizzata successivamente), dove un’androgina sirena trascina il corpo di un giovane nudo nelle profondità marine. Di nuovo il soggetto suscitò polemiche, per il sorriso indefinibile della sirena che pare compiaciuta dal destino fatale del giovane annegato e che, come un serpente, avvolge il maschio nelle sue spire.

The Depths of the Sea di Edward Burne-Jones

A parte l’ispirazione alle opere del padre, i riferimenti innegabili di Philip Burne-Jones per The Vampire risalgono a L’incubo (1781) di Johann Heinrich Füssli e La morte di Chatterton (1856) di Henry Wallis. La posizione reclinata dell’uomo in The Vampire coincide con quella della donna nel quadro di Füssli, ma al posto del demone che le pesa sul corpo c’è la vampira, la donna emancipata ormai diventata l’incubo del maschio vittoriano, il pericolo da cui fuggire. Così come la posizione del giovane vampirizzato è identica a quella di La morte di Chatterton, ispirato al suicidio con arsenico del poeta diciassettenne Thomas Chatterton.

In alto, L’incubo di Johann Heinrich Füssli e in basso La morte di Chatterton di Henry Wallis

Per quanto riguarda il soggetto di The Vampire, Philip Burne-Jones ne ha parlato in un’intervista rilasciata, nel suo grande studio londinese di West Kensington, a un anonimo giornalista (o a una giornalista: raramente all’epoca gli articoli dei quotidiani erano firmati) che esprimeva un’ammirazione sconfinata per il pittore e per The Vampire, al punto di sostenere che con quel quadro l’artista aveva “tristemente distrutto la mia serenità mentale e la mia capacità di lavorare” (“The Argus”, 26 giugno 1898). L’intervista è interessante perché Burne-Jones spiega le sue intenzioni nella realizzazione del quadro: “Volevo dipingere una di quelle donne che portano rovina, che prosciugano la linfa vitale di un uomo e i versi di Kipling rendevano l’idea. Un uomo può essere consapevole che la donna amata è malvagia, priva di anima, irragionevole, una vera Vampira egoista e avida, ma nonostante questa consapevolezza continuerà ad amarla. Ha calcolato il costo, ha considerato la pena: si tratta di rovina e morte, ma lui non può resistere. Di sicuro era così per l’uomo del mio quadro, ma era contento che andasse in quel modo ed è morto con un sorriso in parte di pietà, in parte d’amore, ma senza rimprovero negli occhi”.

Un disegno che riproduce una prima versione di The Vampire (da “The Argus”, 26 giugno 1898)

The Vampire in America

Nel 1902, Philip Burne-Jones tentò la fortuna negli Stati Uniti, partendo con un carico di suoi dipinti nella speranza di venderli a clienti americani e aprendo un suo studio a New York. Portò con sé anche The Vampire, il cui valore era stimato intorno ai 15.000 dollari, una cifra non alta considerato il clamore che circondava il quadro. A un certo punto, durante il soggiorno in America di Burne-Jones, corse voce che il dipinto fosse stato venduto a 18.400 dollari, ma l’autore si affrettò a smentire e sostenne che non era in vendita.

Philip Burne-Jones nel suo studio di New York con The Vampire alla parete

L’artista (che nel 1898 alla morte del padre aveva ereditato il titolo di baronetto, diventando Sir Philip) espose The Vampire alla galleria M. Knoedler & Co, sulla Quinta Strada di New York, dal 17 al 29 marzo 1902, con un catalogo che nella seconda pagina ristampava la poesia di Rudyard Kipling. Le recensioni, a distanza di cinque anni dalla mostra londinese, questa volta non furono positive. “The New York Press” definì il quadro “ripugnante” e “morboso” (28 marzo 1902), ma il culmine fu la stroncatura del “New York Times” (20 marzo 1902), severo e sprezzante per altro sia verso il padre Edward che verso lo stesso Kipling. “Sir Philip ha il talento di un topolino”, sentenziò l’autorevole quotidiano.

Mentre Philip era in America, sua madre si rese protagonista di un episodio che coinvolgeva proprio Kipling. Convinta pacifista, la signora Burne-Jones aveva appeso uno striscione alla finestra della sua abitazione contro la seconda guerra boera, appena vinta dalle truppe britanniche con un bagno di sangue: “Avete ucciso, avete conquistato”, si leggeva nello striscione. Una folla inferocita di nazionalisti prese d’assedio la casa della signora e solo l’intervento di Kipling, che abitava nella stessa zona, sedò gli animi. Il “poeta dell’imperialismo”, come era definito allora, scese in piazza e convinse sua zia Georgiana a togliere lo striscione e i manifestanti ad andarsene.

Sir Philip era lontano dalle posizioni politiche di sua madre e in America pensava solo a promuoversi nel mondo artistico. Espose The Vampire anche a Chicago, nel gennaio 1903 alla Russell’s Gallery, ancora suscitando scandalo e richieste di rimozione da parte dei sostenitori di Mrs. Campbell. L’attrice era a Chicago con il suo agente, ospitata nello stesso residence di Sir Philip, per la gioia dei giornalisti che potevano ricamare sul vecchio gossip intorno a The Vampire. Così, Burne-Jones si trovò costretto a smentire con la stampa qualsiasi nesso tra la sua vampira e l’innominata star del teatro: sostenne che la modella del ritratto, a pagamento, era una ragazza di Bruxelles e non la famosa attrice. Mrs. Campbell invece inviò una lettera a “The Daily News” (16 gennaio 1903), negando di trovarsi a Londra quando venne realizzato il dipinto, ma senza sfatare l’ipotesi di essere la “donna del ritratto”.

Incalzato da William Salisbury (ne scriverà in The Career of a Journalist, B. W. Dodge & Company, New York 1908), Burne-Jones rispondeva di non conoscere affatto Mrs. Campbell. Peccato che il giornalista si sia recato subito dall’attrice chiedendole se conosceva l’artista: “Beh, certo. Lo conosco e conoscevo bene suo padre. Sua sorella l’ho sempre considerata una delle mie più care amiche”. “Eravate voi l’originale di The Vampire?”, preme Salisbury. “Questo non posso dirlo. Ho sentito che il quadro ha una somiglianza impressionante con me e che questo ha dato origine al suo successo sensazionale”. Dunque Burne-Jons smentisce, mentre Mrs. Campbell implicitamente conferma e anzi lancia la stilettata: sarebbe solo grazie a lei se The Vampire aveva fatto tanto discutere.

I gossip proseguirono per giorni, tanto che secondo Salisbury “alla fine l’artista ci ha chiesto, quasi in lacrime, di non nominargli più ‘quella donna’”. A un ballo della buona società si invitarono sia Mrs. Campbell che Sir Philip, sperando forse nelle scintille di un incontro tra i due, ma il pittore se ne andò accuratamente prima dell’arrivo di lei, per evitare di vederla, e continuò a prendersela con i giornalisti fino alla sua partenza per l’Inghilterra. Dopo un anno, infatti, Burne-Jones lasciò l’America e tornò in patria, senza aver migliorato radicalmente la sua carriera. Il destino di The Vampire è a questo punto oscuro. Il quadro trovò un compratore negli Stati Uniti o seguì il suo autore a Londra? Certamente è svanito nel nulla.

Sir Philip Burne-Jones dall’esperienza americana trasse un libro, Dollars and Democracy (D. Appleton & Company, New York 1904), illustrandolo con eleganti e ironiche vignette. Non era per nulla soddisfatto del soggiorno negli States e con il libro mise in atto un’altra vendetta, dopo quella verso la Campbell che lo aveva lasciato, in questo caso una vendetta verso un paese che non lo aveva trattato troppo bene: criticò l’amore per il denaro dei cittadini, l’assenza di “deferenza” da parte della servitù e dei subalterni, le differenze di costumi tra le donne americane e quelle europee.

Negli anni successivi Burne-Jones non vide mai decollare la sua carriera di artista. Ebbe molte relazioni, ma non si sposò mai. Nel 1926 muore a Londra, all’età di 63 anni, ufficialmente per un infarto, ma alcune voci dell’epoca insinuavano che si fosse tolto la vita.

Dopo il successo clamoroso del suo quadro, Philip Burne-Jones era restato sempre “il pittore di The Vampire”, identificato con quell’unica opera. Era vittima della maledizione che pare colpire chiunque si apparenti al tema dei vampiri (da John W. Polidori a Bram Stoker, da Bela Lugosi a Christopher Lee): rimanere ingabbiato nel riferimento al vampirismo, come un marchio indelebile.