ALLE FONTI DEL VAMPIRO MODERNO / 9

Arriva Theda Bara

Dopo il 1913 il tema della Vampira sembrava in declino. Poi, improvvisamente, a quasi 20 anni dalla pubblicazione la poesia di Rudyard Kipling The Vampire torna non solo di attualità, ma inaugura anche una lunga stagione nella storia del cinema: la stagione delle vamp. Tutto grazie a un film che esce nelle sale americane nel gennaio 1915, A Fool There Was, diretto da Frank Powell e prodotto dalla Fox. Destinato a un grandissimo successo, lanciò il personaggio della vamp, interpretato da Theda Bara che all’epoca era una sconosciuta attrice di teatro. Il film era basato sul testo teatrale e il romanzo omonimi di Porter Emerson Browne, con alcune pagine riportate quasi alla lettera dalla sceneggiatura.

Dopo i tanti adattamenti dei versi kiplinghiani per il palcoscenico e per lo schermo, il film A Fool There Was dà un aspetto definitivo alla Vampira, tramite gli occhi, le espressioni e l’abbigliamento di Theda Bara. Il produttore William Fox per la scelta dell’attrice si consultò con Robert Hilliard, ormai esperto dopo aver interpretato per anni la parte maschile principale a teatro, che gli confidò le grandi difficoltà incontrate per il ruolo della Vampira. Decidere chi dovesse recitare in quel ruolo era essenziale e Fox ha raccontato sia come si giunse alla scelta dell’attrice sia come si creò una sua biografia fittizia: “Abbiamo fatto un provino a una ragazza di nome Theodosia Goodman, senza esperienza nel cinema, e abbiamo deciso che andava bene. Era figlia di un sarto di Cincinnati. Miss Goodman diede in quel film un’interpretazione davvero notevole, ma avevamo un problema: se volevamo continuare a servirci di lei, il nome non era attraente per il pubblico e dovevamo trovarle un nome d’arte. Un giorno il nostro dipartimento pubblicità si accorse che sullo schermo c’era stato ogni tipo di donna, salvo un’araba. Il nostro direttore della pubblicità riteneva che al pubblico sarebbe piaciuta un’araba e ideò la storia che Miss Goodman fosse nata in Arabia: suo padre era un arabo e sua madre una donna francese che aveva recitato nei teatri di Parigi. Così abbiamo preso la parola ‘Arab’ che letta al contrario dava ‘Bara’ e abbiamo abbreviato il nome Theodosia in ‘ Theda’, da qui ‘Theda Bara’. Poi il direttore ha detto: ‘Non prendiamo una decisione senza aver capito se funziona. Fatemi invitare i giornalisti per un’intervista e vediamo se se la bevono’. L’ha vestita con tipici costumi arabi, l’ha circondata dell’atmosfera adatta e quindi sono entrati i giornalisti. Ha detto: ‘Voglio farvi conoscere Miss Bara’ e ha raccontato la storia, spiegando che lei non sapeva una parola di inglese. Quel giorno i giornalisti sono tornati in redazione per scrivere che la Fox Film Corporation aveva scoperto la più grande attrice del mondo” (Upton Sinclair, Upton Sinclair Presents William Fox, autopubblicato, Los Angeles 1933).

In realtà i ricordi di Fox non erano del tutto precisi, Theda parlò con i giornalisti e forse fu proprio lei a scegliere lo pseudonimo che la renderà famosa: un doppio anagramma, perché veniva spiegato come Arab Death, morte araba.

Theda Bara e Edward José in A Fool There Was

La Vampira di A Fool There Was è una Cenerentola “nera” che ottiene la sua scalata sociale grazie all’attrazione sessuale, depredando tanto giovanotti perbene quanto padri di famiglia danarosi e portandoli dalla rovina alla morte. Il vampirismo si rivela nel prosciugamento delle vittime (di soldi ed energie vitali) e nel contestuale arricchirsi e rinvigorirsi della carnefice. La vamp di Theda Bara non è per niente “inconsapevole”, come la dipingeva invece Kipling, ma determinata e astuta nelle sue trame vampiresche. L’attrice non mancava di sottolineare i contenuti sovversivi, rispetto alla mentalità dominante, del suo personaggio: “Credetemi, per ogni donna vampiro ci sono dieci uomini dello stesso tipo: uomini che prendono tutto alle donne, amore, devozione, bellezza, giovinezza, e non danno niente in cambio! V sta per Vampira e sta anche per Vendetta. La vampira che interpreto è la vendetta del mio sesso sui suoi sfruttatori. Vedete… ho il volto di una vampira, forse, ma il cuore di una feministe” (“The Montgomery Advertiser”, 21 marzo 1915).

Grazie al successo clamoroso di quel film, Theda Bara recitò in una serie di innumerevoli pellicole dove interpretava la donna fatale, con un culmine in Salome (1918) prodotto ancora dalla Fox e diretto da Gordon Edwards. Quasi tutti i suoi film sono perduti (complice anche il devastante incendio che distrusse i magazzini della Fox), ma A Fool There Was è viceversa miracolosamente sopravvissuto. Possiamo quindi ripercorrerne la trama nel dettaglio, un espediente utile perché rivela l’intero portato degli anni precedenti nella costruzione della Vampira, da Kipling ai continuatori sulla carta stampata, sul palcoscenico e sullo schermo. A Fool There Was è la summa di tutti i tasselli accumulati nel periodo intercorso dal 1897.

Theda Bara e Edward José in A Fool There Was

La trama

Un uomo elegante, di mezza età (Edward José), è seduto a un tavolo e ammira due rose sorridendo. Le avvicina al viso per sentirne il profumo. Una didascalia riporta la prima strofa della poesia di Rudyard Kipling The Vampire e le immagini passano a una donna (Theda Bara) in abito lussuoso e cappellino piumato, in piedi accanto a un vaso con due rose. Anche lei porta i fiori vicino al volto per aspirarne il profumo, sorridente. Ma il suo gesto è ben diverso da quello dell’uomo: strappa i petali, li schiaccia nella mano e li guarda ridendo.

L’uomo è John Schuyler, ricco avvocato e politico, che vive felice con la moglie Kate (Mabel Frenyear) e la figlioletta (Runa Hodges). Suo amico è Tom (Clifford Bruce), fidanzato con Elinor (May Allison), la sorella di Kate. La donna, invece, è indicata in un cartello solo come “La Vampira”, senza un nome proprio. La vediamo litigare irritata con un giovanotto barcollante, Reginal Parmalee (Victor Benoit). I due passeggiano, poi la Vampira è attratta da una vivace bambina bionda, la figlia di Schuyler, che gioca con la madre e la zia. Improvvisamente la bambina corre verso la Vampira e prende un fiore caduto a terra. La Vampira sorride e sta per accogliere il fiore dalle mani della bimba, quando la madre si colloca tra loro, afferra il fiore e lo butta via, dando le spalle alla Vampira, come se non esistesse. “Un giorno te ne pentirai”, recita a questo punto una didascalia.

Il giorno dopo, un telegramma annuncia a Schuyler che è stato nominato rappresentante speciale del governo statunitense in Inghilterra e deve partire subito a bordo del Gigantic (un nome che allude ovviamente al Titanic, naufragato nel 1912 e ancora ben impresso nella memoria degli spettatori). La Vampira legge la notizia dell’importante incarico di Schuyler e decide di seguirlo. Quando Parmalee lo apprende, ha una crisi di rabbia (“Mi hai rovinato, demonio, e ora mi getti via!”) e distrugge l’appartamento della Vampira, tra l’altro calpestando dei fiori, tema ricorrente nel film.

Al molo, i familiari e Tom stanno aspettando Schuyler per salutarlo prima che parta. La Vampira scende da un taxi vicino al porto ed è avvicinata da un uomo vestito miseramente, un mendicante curvo e magro: “Vedi come mi hai ridotto, mentre tu prosperi ancora, gatto infernale [hell cat]!”. Per tutta risposta, lei ride e chiama un poliziotto che porta via il poveraccio. Appena sale sulla nave, la Vampira suscita subito le attenzioni dei passeggeri di sesso maschile.

Da un altro taxi scende Parmalee. Il mendicante si rivolge a lui: “Sapevo che l’avresti seguita, Parmalee! Il nostro predecessore, Van Dam, marcisce in prigione a causa sua! Guarda cosa mi ha fatto… guarda cosa sta facendo a te!” (se ne deduce che la Vampira annovera già almeno tre vittime). Sulla nave, la Vampira è sul ponte, in mano tiene una grossa rosa dalla quale aspira il profumo, con un sorriso. Anche Parmalee è salito a bordo e raggiunge la donna, i due discutono. Parmalee estrae una pistola, ma lei resta immobile e continua a sorridere, abbassando l’arma con la rosa che impugna. Ridendo, la Vampira avvicina le labbra a quelle di Parmalee. “Baciami, stupido mio!” [“Kiss me, My Fool!”], dice in una didascalia destinata a rimanere celebre. Lui, allora, si punta la pistola a una tempia. Il montaggio passa ad altre immagini della famiglia Schuyler, poi a un’inquadratura di Parmalee a terra, morto. Tom chiede cosa sia successo a un lavoratore della nave che sta pulendo il sangue. “Era solo un ragazzo, signore. E quella se ne stava lì a ridere come un demonio”. Schuyler vede passare la barella con il cadavere del suicida e ne resta impressionato. Poi si congeda dai suoi familiari, ma la Vampira li osserva da un oblò, mentre si ammira in uno specchietto e si incipria. Schuyler la vede, distraendosi dai saluti, e i due si scambiano uno sguardo. Appena Schuyler è solo, con in mano i fiori che la moglie gli ha donato, la Vampira lo avvicina e lascia cadere a terra la sua grossa rosa, battendogli sulla spalla per invitarlo a raccoglierla. Lui è talmente confuso che prende la rosa, ma per errore consegna alla Vampira il mazzolino di fiori della moglie. La Vampira si allontana sorridendo soddisfatta e torna a sedersi sulla sua sedia a sdraio, dopo aver fatto collocare da un inserviente la sedia riservata a Schuyler accanto alla sua.

Due mesi dopo, la Vampira è distesa tra i palmizi di un hotel, in Italia. Tiene una mano sul petto di Schuyler, coricato con la testa appoggiata sul suo ventre, e gli offre da bere. Lei lo accarezza e Schuyler le bacia la mano, portandosela poi sul cuore, mentre la donna sorride. Schuyler si addormenta e la donna alza lentamente le braccia sopra la testa, stirandosi, con un gesto che appare anche di trionfo o il dispiegarsi delle ali di un uccello predatore.

Il caso vuole che il medico della famiglia Schuyler (interpretato dal regista del film, Frank Powell) con la moglie (Minna Gale) siano arrivati in vacanza proprio nell’hotel di Sorrento dove si trova la coppia adulterina e scorgano Schuyler che scambia effusioni con la Vampira.

In America, la sorella di Kate legge un articolo di giornale dove si parla, senza farne il nome, di un milionario in missione diplomatica che sarebbe stato sedotto da “una nota donna della specie vampiresca, non estranea al suicidio del giovane Reginal Parmalee a bordo del Gigantic”. La rovina di Schuyler è imminente: il Segretario di Stato americano gli annuncia che per il suo comportamento indecoroso è stato rimosso dall’incarico.

Schuyler e la Vampira vanno ad abitare insieme in un appartamento del milionario. Sei mesi dopo, Schuyler è ormai ridotto a una larva. Non si regge in piedi, ha scatti d’ira e beve ininterrottamente. La Vampira lo ha lasciato, è tornata nella sua casa, con un nuovo partner, e organizza feste licenziose.

Kate va da Schuyler in un estremo tentativo di riconciliazione e lo trova ubriaco, in stato confusionale. La Vampira, avvisata di quella visita da un informatore, irrompe nell’appartamento e fissa a lungo la rivale, poi si volta verso Schuyler e lo bacia sulla bocca. Mentre l’uomo si inginocchia e bacia la mano della Vampira raggiante e trionfante, Kate se ne va sconfitta.

Una settimana dopo Schuyler partecipa a una sfrenata festa da ballo e quando scorge la Vampira che si intrattiene con un altro, furioso di gelosia, colpisce l’uomo, poi minaccia anche lei impugnando una bottiglia, ma un abbraccio della perfida amante lo immobilizza.

Kate ricorre a un ultimo espediente per riportare il marito alla ragione, presentandosi da lui con la figlioletta. Si fa precedere da Tom che prende Schuyler a calci e pugni per risvegliarlo dal suo torpore. Poi entrano Kate e la bambina che, felice, abbraccia il padre. La scena è osservata dalla Vampira, in camicia da notte. Non appena la Vampira si avvicina, Schuyler si avvinghia a lei voltando le spalle ai suoi familiari. Tom, Kate e la bimba non possono che andarsene.

Schuyler, nel buio, striscia come un verme scendendo la scala della sua casa e vede in una sorta di allucinazione la moglie e la figlia, poi rivive il momento in cui sulla nave veniva portato via il cadavere di Parmalee. Si trascina a fatica nel salotto, devasta gli arredi con un bastone e una bottiglia, quindi stramazza a terra. Ancora un cartello con le parole di Kipling: “Un poco di lui visse, ma il più di lui morì”. Ora la Vampira, tenendo tra le mani un mazzo di rose, è inginocchiata sul corpo riverso di Schuyler. Con un sorriso, lascia cadere dei petali sul volto dell’uomo e poi li soffia via. L’ultimo cartello, sulle immagini in dissolvenza, recita: “(proprio come te e me)”.

Rose e vampire destabilizzanti

Il legame tra il film A Fool There Was e The Vampire di Kipling era tale che si decise di aprire la prima proiezione allo Strand Theater di New York con una lettura integrale della poesia, stampata anche nel materiale promozionale. Sullo schermo era resa per immagini la descrizione precisa del “fool” che si fa irretire da una Vampira. Il ritratto di Schuyler è impietoso. È un uomo sottomesso e debole che, come nella poesia, permette alla sua amante di umiliarlo in qualsiasi modo: subisce ogni angheria (quando riceve una lettera della moglie, la Vampira gliela toglie di mano con furia e la strappa) e sopporta che la Vampira rida di lui mentre precipita nell’alcolismo. Estenuato, a un certo punto ha un gesto di ribellione e porta una mano alla gola della Vampira, ma lei risponde con un sorriso e lo abbraccia.

A fare da contraltare a Schuyler c’era il personaggio di Tom, dalla maschia mascella, che diventa un protagonista importante della storia, incarnando l’uomo che non si fa distruggere dalle “vampire” e che protegge la famiglia tradizionale. Anche lui, però, soccombe e deve lasciare spazio alla forza travolgente della Vampira.

La scena in cui la Vampira bacia sulla bocca Schuyler di fronte alla moglie fece sensazione, turbò il perbenismo dell’epoca e tuttora conserva un suo impatto. Vediamo la moglie soccorrere il marito barcollante e guidarlo verso la porta di casa, da cui emana la luce della redenzione. Ma l’ombra della Vampira si insinua tra i due. Schuyler si accascia su una parete, lei lo imprigiona contro il muro e lo bacia. Quando l’uomo si inginocchia di fronte alla Vampira e le bacia una mano, per la moglie non c’è altra possibilità che andarsene.

Il quadro di Burne-Jones sulla copertina del romanzo di Browne, riproposto da Theda Bara nel film del 1915 e in un servizio fotografico

Se il film gioca con i rimandi alla poesia di Kipling, anche attraverso le ripetute citazioni nelle didascalie, alcune immagini evocano il quadro di Philip Burne-Jones: Theda Bara in più momenti indossa una camicia da notte bianca, con i lunghi capelli scuri sciolti, presentandosi al pubblico come una replica della donna del dipinto The Vampire. E in una serie di scatti fotografici dell’attrice, realizzati poco tempo dopo e diventati celebri, compare nella tipica posizione della donna nel quadro di Burne-Jones, china su una vittima ridotta addirittura a scheletro.

Il film A Fool There Was eredita invece da Porter Emerson Browne la famosa frase “Kiss me, my fool!”, consacrandola e rendendola luogo comune duraturo. Anche il tema delle rose è tratto da Browne. Nel film, sono quei fiori a scatenare l’ira della Vampira, quando la bambina raccoglie una rosa da terra, ma la madre le impedisce di donargliela. Ed è con una rosa che la Vampira abbassa la pistola di Parmalee, con una rosa attrae Schuyler facendolo confondere con i fiori che gli ha dato la moglie, infine con i petali di una rosa cosparge il corpo della sua vittima. Secondo Anne Morey e Claudia Nelson (Phallus and Void in Kipling’s “The Vampire” and Its Progeny, in “Frame” 24.2, novembre 2011) quei fiori alludono ai genitali femminili usati come un’arma, pronti a castrare il maschio.

Anche a causa di questi contenuti destabilizzanti, accentuati dall’assenza di lieto fine, A Fool There Was incontrò ostilità censorie e campagne moralistiche. Nonostante il successo favoloso in America, il film non fu mai distribuito in Gran Bretagna. A Fool There Was sarà riproposto in sala nel 1918, di nuovo con ottimi risultati di pubblico, in una versione abbreviata dal taglio di circa 10 minuti.

Pubblicità per la riproposta di A Fool There Was nel 1918

Nel 1922 la Fox tentò di rinnovare il successo del film con un costoso remake sempre intitolato A Fool There Was. La regia era di Emmett J. Flynn e gli interpreti principali Estelle Taylor (la Vampira), Lewis Stone (il marito) e Irene Rich (la moglie). Paradossalmente, se il film con Theda Bara del 1915 è sopravvissuto, il remake è perduto.

Nonostante le critiche sottolineassero che il film era ben recitato e con scenografie sontuose, il nuovo A Fool There Was si rivelò un flop. La storia era pressoché identica all’originale, con alcune varianti nei personaggi, e la Vampira otteneva finalmente un nome, Gilda Fontaine (“Un volto innocente… e l’animo di Satana”, spiegava la pubblicità). Eppure era impossibile replicare l’impatto straordinario della prima pellicola. Le vamp si erano moltiplicate sugli schermi, ma il film del 1915 restava insuperabile e Theda Bara ineguagliabile. Le recensioni notavano come la Taylor fosse indubbiamente “più carina” di Theda Bara, però priva delle sue abilità seduttive e della sua presenza scenica. Si aggiunga che per gli aumentati rigori della censura vennero addolcite le sequenze più audaci del film originale.

Poster e pubblicità per il remake del 1922

A soli sette anni dall’uscita del film con Theda Bara, i giornali scrivevano che il remake poteva essere di interesse solo per coloro ai quali “piacevano i vecchi film sulle Vampire” (Will Please Those Who Liked the Old Vampire Pictures titolava “The Film Daily”, 23 luglio 1922). Nel tritacarne hollywoodiano, creatore di continue novità, in sette anni un fenomeno clamoroso come quello della Vampira di Theda Bara poteva considerarsi già “vecchio”. Questa rapida senescenza della Vampira attirò l’attenzione del commediografo Robert E. Sherwood, che sarà poi sceneggiatore, tra l’altro, del film di Alfred Hitchcock Rebecca (Rebecca – La prima moglie,1940). Per Sherwood A Fool There Was del 1915 “probabilmente ha esercitato sul pensare contemporaneo un’influenza superiore a qualsiasi film che sia mai stato prodotto”. Eppure il commediografo si trovava costretto a segnalare che il remake non reggeva ai rapidi cambiamenti del cinema, oltre ad aver rinunciato alla forza trasgressiva del film originario, sotto le pressioni del puritanesimo americano (“Life”, 10 agosto 1922).

Lo stesso Sherwood si era già dedicato alla Vampira con una parodia della poesia di Kipling, implicitamente indirizzata a William Fox che aveva reso Theda Bara “famosa in una settimana”, ma che al contrario del “fool” di Kipling non era uno sciocco, perché la scelta di contrattualizzare quella “dama dagli occhi scuri” gli portò buoni profitti (“Life”, 14 aprile 1921).

La parodia di Sherwood era solo l’ultima di una lunga serie, come abbiamo visto in puntate precedenti, riattivate dal successo di A Fool There Was. Dopo l’uscita del film nel 1915 e poi per la riedizione del 1918 tornano ad apparire le riscritture di The Vampire, come andava di moda un ventennio prima. È il caso di Ballade of a Rheumatic Vampire (“Motion Picture”, aprile 1918), una parodia in dialetto della Louisiana scritta dal poeta Lew Sarett.

La lunga parabola della poesia di Kipling con A Fool There Was era arrivata al suo culmine. Da quel momento sorge il fenomeno delle vamp, intenso e vivace per quasi un decennio. Ne scriveremo nella prossima puntata.

La poesia di Robert E. Sherwood su “Life” (14 aprile 1921)

ALLE FONTI DEL VAMPIRO MODERNO / 7ter

I vampiri invadono la Russia

L’influsso della poesia The Vampire di Rudyard Kipling, e del quadro di Philip Burne-Jones che l’aveva ispirata, nei primi anni del Novecento si spinse fino alla Russia. Contaminò la cultura e il nascente cinema, per quanto in modo limitato e circoscritto. In Russia la creatura che in occidente era definita con il termine vampiro si chiamava upyr’. Dagli inizi del XX secolo, però, anche in Russia si adotta il termine occidentale per descrivere creature soprannaturali che succhiano il sangue o donne fatali che sottraggono energie.

A dimostrazione di quell’influsso, dai risvolti anche lessicali, nel gennaio 1906 avvia le pubblicazioni a San Pietroburgo una rivista settimanale “artistica e satirica” dal titolo “Vampir’”, chiusa dopo otto numeri. Il periodico, con le sue eleganti illustrazioni e le sue invettive politiche, si inseriva nella vivacità culturale seguita alla rivoluzione antizarista del 1905. Ne era caporedattore Benedikt Avraamovich Katlovker, che tra i tanti suoi pseudonimi si firmava “Upyr’” (tra il 1909 e il 1917, invece, sotto lo pseudonimo B. Reutsky pubblicò la serie di romanzi neri e d’avventura “Dalle note di uno psichiatra”).

Non è un caso poi che Vsevolod Mejerchold abbia tradotto in russo l’opera teatrale di Frank Wedekind Erdgeist (Lo spirito della terra), dove compare il personaggio della donna fatale Lulu, dandogli il titolo Vampir (volume pubblicato da Shipovnik, Sankt-Peterburg 1908).

Copertina del primo numero della rivista “Vampir” (1906)

Per quanto riguarda il cinema russo, un primo esempio di influenza della Vampira kiplinghiana può farsi risalire al dicembre 1912, quando esce nelle sale Tajna doma n. 5 (Il mistero della casa n. 5), pellicola di circa mezz’ora realizzata dalla sede moscovita della francese Pathé. Diretto da Kai Gansen, il film si avvaleva della fotografia suggestiva di Alexandr Levitsky (Premio Stalin nel 1949).

Tajna doma n. 5 risulta conservato negli archivi russi del Gosfilmofond, senza didascalie, ma ne sono stati diffusi solo i primi 15 minuti (esisterebbe anche una copia ungherese, dal titolo Az 5-ös számú ház titka). Inoltre, a maggio 1913 il film uscì in Francia come Le Mystère de la rue Donskaya ed è stato restaurato nel 2021 dalla Fondation Jérôme Seydoux-Pathé che ha ripristinato le musiche di accompagnamento composte da Stephan Oliva. Anche questo restauro non è disponibile al pubblico, ma dalla sceneggiatura della versione francese, conservata alla Bibliothèque National de France, si desume la trama precisa del film.

Una donna che frequenta i circoli nobiliari, Elsa (Vera Pashennaya), viene lasciata dal ricco conte Darski (Boris Piasetski) per un’altra donna. Mossa dalla vendetta, Elsa orchestra una trappola con il suo ex amante Dobrov (Mikhail Doronin) e convince Darski a passare per sfida una notte in una casa abbandonata che si ritiene infestata dal fantasma della proprietaria, morta misteriosamente: secondo le dicerie, il suo ritratto a mezzanotte prenderebbe vita per uccidere qualsiasi uomo si trovi di fronte. Quando Darski si reca nella casa, Elsa si veste in abiti ottocenteschi e si finge il dipinto della defunta padrona di casa, appeso a una parete, per terrorizzare il conte. Poi il complice Dobrov spara a Darski ed è simulato un suicidio, lasciando un biglietto accanto al corpo: “Non avendo la forza di sopportare più a lungo tanto orrore, metto fine al mio supplizio”. La mattina dopo, Darski è trovato morto dalla ragazza che lo amava e la perfida Elsa gode della vendetta (“il dolore della rivale raddoppia la sua soddisfazione”, si legge nel materiale pubblicitario).

Il film Tajna doma n. 5 univa luoghi comuni dell’immaginario macabro, come la casa infestata e il ritratto che prende vita, togliendo però ogni aspetto soprannaturale alla vicenda. Il principale personaggio femminile è indubbiamente accostabile alle donne vampiro che si erano profilate nel cinema americano ed europeo. È significativo che in Tajna doma n. 5 la Vampira resti impunita e, nonostante palesi dei rimorsi in alcune espressioni nella parte finale del film, sia fiera del suo trionfo criminale. Questa protovampira del cinema russo non è inquadrata in una postura simile al quadro di Philip Burne-Jones, ma si erge vittoriosa, in piedi, accanto al cadavere della sua vittima. A interpretare la vampiresca Elsa era Vera Pashennaya che resterà un’attrice molto attiva e apprezzata anche nel periodo sovietico.

La Vampira nel ritratto (a sinistra) e poi trionfante sulla sua vittima in Tajna doma n. 5 (1912)

L’influenza della moda occidentale per la Vampira kiplinghiana, e in particolare per i balletti che aveva ispirato, si affaccia in Russia nel 1914 con il corto di circa tre minuti Tanez vampira (Danza del vampiro) della casa produttrice Tieman e Reinhardt. Le riprese erano ancora una volta di Alexandr Levitsky, qui sotto la direzione di Yakov Protazanov (da ricordare, tra l’altro, per la sua regia del celebre film sovietico di fantascienza Aelita, nel 1924). La danza era eseguita da V. Laskina e da Richard Boleslawski, all’epoca attore teatrale e ballerino, poi regista di varie pellicole di successo a Hollywood.

Il cortometraggio è perduto e apparteneva al genere allora popolare in Russia del film-balet, brevi riprese cinematografiche di numeri danzanti. La rivista “Sine-Fono” dedicò due brevi segnalazioni al film (15 febbraio 1914; 1 marzo 1914), definendo la Danza del vampiro “degna rivale del Tango”.

L’esempio più eclatante di Vampira nel cinema russo compare un anno dopo, nel 1915, con Zagrobnaia skitalitsa (Vagabonda dell’aldilà), noto anche come Zhenshchina-vampir (La donna-vampiro). Secondo Gary D. Rhodes (The First Feature-Length Vampire Film in gdrhodes.medium.com, 28 ottobre 2023) sarebbe “il primo lungometraggio sui vampiri nella storia mondiale del cinema”, perché mette esplicitamente in scena una vampira soprannaturale, tornata dalla morte per succhiare il sangue, e non una semplice femmina che insidia energie e beni del maschio.

Il film è perduto e restano oggi a disposizione solo cinque foto. Diretto e interpretato da Viacheslav Turzhanskii (una volta emigrato in Europa, dopo la Rivoluzione sovietica, prese il nome di Viktor Tourjansky), Zagrobnaia skitalitsa vedeva nella parte della Vampira l’attrice Olga Baclanova che continuerà a interpretare bionde donne fatali anche dopo il suo trasferimento in America nel 1925, in film come The Man Who Laughs (1928) di Paul Leni e Freaks (1932) di Tod Browning.

La giovane Vera (Olga Baclanova) si è innamorata dell’artista Amosov (Viacheslav Turzhanskii), ma si toglie la vita quando scopre che l’uomo la considera solo un passatempo tra un’avventura amorosa e l’altra. Nella morte, l’anima di Vera si fonde con quella di una ragazza che le assomiglia. Vent’anni dopo, la reincarnazione di Vera è una donna felicemente sposata. È però consumata da una strana malattia che i medici non sanno spiegarsi. Per sopravvivere, Vera di notte si nutre di sangue umano. Uno spiritista scopre la verità e grazie all’evocazione di un’entità dell’oltretomba la Vampira è neutralizzata.

Con Zagrobnaia skitalitsa / Zhenshchina-vampir abbiamo la prova che la Vampira, nel 1915, non era appannaggio solo del cinema americano, dato che nello stesso momento anche in Russia un personaggio analogo (e per di più direttamente connesso alla tradizione dei nonmorti) era al centro di un film. I critici russi non si distanziarono molto dai loro colleghi americani nel liquidare frettolosamente una pellicola che affrontava temi sensibili per il perbenismo, definendola sia “vergognosa” sia incapace di spaventare davvero. Il sindaco di Pietrogrado (oggi San Pietroburgo) proibì le proiezioni del film. Del resto, la garanzia che Zagrobnaia skitalitsa avrebbe fatto scandalo veniva dal nome dell’autore del soggetto, Anatolij Kamenskij, all’epoca celebre scrittore estremo, tanto che ancora nel 1976 la storica del cinema Neja Zorkaja stigmatizzava “l’esecrabile produzione del belletrista erotico Anatolij Kamenskij” (Sfondi e requisiti. La pornografia sugli schermi degli anni Dieci, ora in Letteratura e cinema nel Modernismo russo, a cura di Claudia Criveller e Anita Frison, WriteUp Books, Roma 2022).

Zagrobnaia skitalitsa / Zhenshchina-vampir (1915)

Nello stesso 1915 di Zagrobnaia skitalitsa, il cinema muto russo ci offre un’altra Vampira in Posle smerti (Dopo la morte) di Evgeny Bauer, ispirato a un racconto di Ivan Turgenev. Può sembrare una forzatura definire Vampira lo spettro al centro del film, ma sicuramente molte sequenze indicano un riferimento alla vampiresca donna distruttiva, presentando un uomo vinto e consumato da una figura femminile che torna dalla morte.

Il giovane scienziato Andrei Bagrov (Witold Polonsky), dedito solo ai suoi studi, rifiuta l’amore dell’attrice Zoya Kadmina (Vera Karalli) e la ragazza si avvelena. Leggendo il diario della suicida, Andrei comincia ad avere allucinazioni in cui vede Zoya vestita di bianco, il volto angelico e sofferente, che gli indica l’Aldilà. Col protrarsi delle visite dello spettro, il giovane deperisce, sta sempre più male. “Hai vinto… Prendimi! Sono tuo…”, esclama infine. Dopo l’ennesima apparizione, Andrei muore nel suo letto.

Il film Posle smerti è sopravvissuto, in ottime condizioni, permettendoci di valutare le effettive assonanze con il vampirismo. Per quanto immateriale, il fantasma al centro del film assomma le caratteristiche del vampiro: avvicina la bocca al collo del suo amato, lasciando intendere il desiderio di un morso, e lo sovrasta mentre è privo di sensi. Una scena fa sorgere il dubbio che Zoya sia un essere concreto, come i vampiri leggendari, perché Andrei dopo una delle apparizioni si risveglia e si trova tra le mani una ciocca di capelli della ragazza.

L’attrice Vera Karalli che interpretava la pseudovampira ha avuto una notevole carriera durante il cinema muto e il suo nome è legato a una vicenda importante della storia russa: era quasi certamente presente, anche se non è stato mai ammesso dai testimoni, nel palazzo del principe Feliks Jusupov quando, in una notte del dicembre 1916, venne ucciso con veleno e colpi di pistola Rasputin, il famoso consigliere dello zar. La Karalli era l’amante di uno dei cospiratori che eliminarono il “monaco nero”, il granduca Dmitrij Pavlovič Romanov, cugino dello zar Nicola II (e aspirante al trono).

Lo spettro vampiresco di Posle smerti (1915)

Per quella catena di coincidenze bizzarre che connota a volte il “vampirismo” dell’immaginario, uno degli attori di Posle smerti, Georgij Azagarov, nel 1917 scrive e dirige il film Zhenshchina vampir (La donna vampiro) che esce in sala nei giorni della Rivoluzione bolscevica. Era l’adattamento cinematografico del racconto Ubiystvo (Omicidio; in Sobraniye sochineniy, vol. 7, 1906) di Vlas Doroshevich, prolifico giornalista e scrittore che vantava oltre cento pseudonimi.

Il testo di Doroshevich è un’agghiacciante descrizione della lenta morte di un uomo, inizialmente convinto di avere solo una bronchite e a poco a poco consapevole che la sua bellissima moglie lo sta uccidendo, per impadronirsi dell’eredità. Ogni bacio che la donna gli concede lo porta verso la morte. L’uomo, in scenari tropicali, si immagina “sdraiato sull’erba, morente, mentre un vampiro succhia il sangue”.

Il film Zhenshchina vampir proponeva la stessa situazione del racconto, con il protagonista Victor (Nikolaj Rimskij) che è progressivamente indebolito dai baci e dalle attrattive sessuali di Alla (Vera Charova). Leggendo una recensione, recuperata da Gary D. Rhodes e apparsa su “Sine-Fono” (n. 1-2, 1918), pare che nel film comparisse anche il quadro di una “donna vampiro” che Victor ammira e che prende vita confondendosi con l’immagine di Alla. Il film è perduto, quindi non è dato sapere quali fossero le caratteristiche del ritratto, ma possiamo fantasticare su un’ipotesi: poteva trattarsi di una riproduzione del dipinto The Vampire di Burne-Jones?

Avendo lo stesso titolo (Zhenshchina vampir) del film con Olga Baclanova del 1915, l’opera di Azagarov è spesso confusa con la pellicola anteriore. Quel titolo, in ogni caso, è rimasto a lungo nella memoria russa, come dimostra una citazione nel film sovietico del 1968 Sluzhili dva tovarishcha (Servivano due compagni, 1968) di Yevgeni Karelov. Nella prima parte, ambientata nel 1920, un comandante dell’Esercito rosso tesse le lodi del cinema a un soldato, per convincerlo della necessità di girare un film sugli eroi della Rivoluzione: “Il cinema è una gran cosa! Cinema! Hai visto Zhenshchina vampir? Resti lì seduto, sconvolto dall’orrore”.

Non sappiamo a quale delle due “donne-vampiro” del cinema russo si riferisse quella citazione, ma indubbiamente si evince che almeno una di quelle pellicole fosse popolare ed evocativa. La figura della Vampira aveva conquistato anche la Russia.

Zhenshchina vampir, 1917 (dal forum del sito kino-teatr.ru)

ALLE FONTI DEL VAMPIRO MODERNO / 7

La Vampira di Kipling invade il cinema

Quando nel 1897 Rudyard Kipling scrisse la poesia The Vampire per il quadro di Philip Burne-Jones, il cinema era ancora ai suoi primi passi. Nel giro di pochi anni, però, le produzioni cinematografiche e le sale per proiezioni erano aumentate: era inevitabile che l’ondata di interesse per la figura vampirica proposta da Kipling si presentasse anche sugli schermi.

Come abbiamo visto in un articolo precedente, l’unione tra vampiro leggendario e donna fatale ha una prima espressione al cinema nel 1905, grazie al corto Loie Fuller, prodotto dalla Pathé Frères.

Loie Fuller, della durata di un minuto e mezzo, colorizzato a mano, si avvia con le immagini di un pipistrello che vola su una terrazza e che un semplice effetto di montaggio fa tramutare in una donna dall’ampio abito. Alzando le braccia, la donna rende il costume simile ad ali di pipistrello e inizia una danza facendo vorticare il vestito, che cambia continuamente colore, nella tipica modalità delle rappresentazioni di Loïe Fuller. Dopo essersi completamente avvolta nell’abito, la donna scompare in una dissolvenza.

Il cortometraggio Loie Fuller (1905)

Non è certo che nel filmato sia ripresa proprio la Fuller o un’altra ballerina che esegue le sue tipiche danze, né c’è conferma che il regista fosse Segundo de Chomón, il cineasta spagnolo grande esperto di colorizzazione delle pellicole e di trucchi visivi. Secondo gli storici del cinema Loie Fuller si contende il ruolo di primo film sui vampiri con Le manoir du diable (1896) di Georges Méliès. Di certo entrambi condividono le immagini della trasformazione di un pipistrello in un essere umano, ma il corto di Méliès è incentrato su un tipico diavolo dal berretto piumato, non su un vampiro, per quanto arretri alla vista di una croce come i suoi colleghi succhiasangue.

Gary D. Rhodes (Vampires in Silent Cinema, Edinburgh University Press, Edinburgh 2024) assegna il primato a Loie Fuller, mentre David Annwn Jones (Vampires on the Silent Screen. Cinema’s First Age of Vampires 1897-1922, Palgrave Macmillan, London 2023) gli ha contestato che la caratteristica necessaria per definire un “vampiro” è il consumo di sangue, del tutto assente nel corto del 1905.

Loie Fuller si collega comunque a un immaginario che fonde il vampiro soprannaturale e la donna, sicuramente influenzato dalla Vampira sorta dalla duplice opera di Burne-Jones e Kipling che, come abbiamo visto, avrà di lì a poco un’affermazione decisiva proprio nella danza. A essere evocato dal corto Loie Fuller non è tanto il “vampirismo” (inteso come atto di succhiare il sangue da parte di un nonmorto), quanto un generico “vampiro” (figura soprannaturale e minacciosa) associato al pipistrello. La parentela tra vampiro e pipistrello era già ben radicata all’inizio del Novecento, grazie soprattutto alle arti grafiche che, ad esempio nelle illustrazioni di satira politica, mostravano da decenni il pipistrello come animale feroce e spesso gigantesco impegnato ad attaccare il collo di esseri umani per suggerne il sangue. Nel cinema, l’associazione tra pipistrello e vampiro in quello stesso 1905 era evidenziato dalle donne con ali da chirottero nel corto L’antre infernal di Gaston Velle.

La trasformazione da pipistrello a diavolo in Le manoir du diable (1896)

The Vampire (1910)

Loie Fuller non faceva alcun riferimento diretto alla figura della Vampira popolarizzata dalla poesia omonima di Rudyard Kipling. Ma dopo pochi anni, nel 1910, la Vampira di Kipling e Burne-Jones arriva sugli schermi del cinema in modo chiaro e diretto, in particolare dopo il successo a teatro di A Fool There Was e della “Vampire Dance”. Il produttore William Nicholas Selig si inserisce nella nuova moda vampiresca e a novembre 1910 porta nelle sale The Vampire, esplicitamente ispirato alla poesia di Kipling. “The Film Index” (29 ottobre 1910) rende più che evidente l’omaggio a Kipling e Burne-Jones illustrando una segnalazione del film con il celebre quadro e aggiungendo ampie citazioni dalla poesia.

Recensione per il film The Vampire su “The Film Index” (29 ottobre 1910)

Il regista di The Vampire è ignoto, mentre la direzione della fotografia era attribuita a William C. Foster. Secondo un commento dell’epoca (“Moving Picture World”, 26 novembre 1910) il film poteva essere capito solo da chi conosceva il quadro di Burne-Jones e la poesia di Kipling, mentre “non è abbastanza chiaro per lo spettatore medio”.

Guy Temple (Charles Clary) si sposa con Emily, ma dopo il matrimonio è attratto dalle arti seduttive di Loie (Margarita Fischer): per lei si rovina e le regala gioielli. John Temple, fratello di Guy, ricorda grazie a un sogno di aver già visto la perfida Loie: aveva distrutto la vita del padre di Emily, portandolo alla morte. John cerca invano di convincere Guy a lasciare la Vampira e le offre del denaro per abbandonare l’America. Tutto è inutile e Guy precipita nell’abisso della distruzione, mentre la Vampira festeggia sul suo corpo inanimato.

Pubblicità per The Vampire (1910) e un fotogramma dalla scena finale

The Vampire è un film perduto, ma nel febbraio 2013 il blogger doctor kiss annunciava su tapatalk.com di averne scoperto un brevissimo frammento, trovandolo in una scatola di vecchie pellicole di un disegnatore tedesco. È la scena finale, con la Vampira che incombe sul corpo della sua vittima. Il ritrovamento è importante perché permette di visualizzare il riferimento del film alle scenografie delle “danze della vampira” diventate popolari dal 1909, caratterizzate proprio da una scala ai cui piedi soccombe l’uomo vampirizzato.

L’onda lunga dei versi di Kipling sulla Vampira si riverbera anche in un film distribuito nell’ottobre 1911, A Woman’s Slave, probabilmente girato in Francia, dato che è una produzione Urban-Eclipse: il produttore angloamericano Charles Urban, infatti, era legato alla società parigina Eclipse, capace di realizzare 150 film all’anno. Il debito nei confronti di Kipling era dichiarato da “Moving Picture World” (11 novembre 1911): “Forse questo film può essere considerato una corretta rappresentazione della famosa poesia di Kipling, The Vampire. La donna è mostrata come un essere senza cuore che induce l’uomo al furto per ottenere gioielli con cui ornarsi. Lui si salva dalle sue grinfie grazie al costante amore della madre e alla benevolenza di un gioielliere. C’è qualcosa di sconvolgente nel freddo egoismo e nella crudeltà della donna”.

Alice Hollister

Alice Hollister, la prima diva vamp(ira)

Ormai il termine “Vampire”, applicato alla donna fatale, era garanzia di successo e nel 1913 si mise in cantiere un’altra pellicola con lo stesso titolo del film realizzato tre anni prima dalla Selig, The Vampire, prodotta dalla Kalem per la regia di Robert G. Vignola e di cui abbiamo parlato in un articolo precedente perché conteneva la celebre Vampire Dance del duo Eis-French. Il film lanciava anche la prima diva vamp(ira), Alice Hollister nel ruolo della donna che porta alla perdizione, cui si aggiungeva Alice Eis come “vera” vampira che uccide l’uomo dopo un ballo seduttivo.

Vista la buona accoglienza del loro The Vampire, la Kalem tornò a occuparsi di una Vampira con il corto di 26 minuti The Vampire’s Trail (1914), diretto ancora da Vignola in collaborazione con T. Hayes Hunter e di nuovo con Alice Hollister nel ruolo della donna fatale (alcune filmografie sui vampiri riportano un cortometraggio dallo stesso titolo datato 1910, ma non risulta alcuna informazione sulla sua esistenza).

Il giornalista americano dedito ai gossip John Dugan (Robert Walker) e una cantante spregiudicata, Rita Caselli (Alice Hollister), si alleano per compromettere un ricco uomo sposato, Horace Payne (Tom Moore). Rita fa amicizia con l’uomo e riesce a farsi invitare a casa sua, dove conosce la moglie Laura (Alice Joyce) e il loro figlio neonato. Il bambino si ammala di difterite e Rita deve restare in quarantena nella casa, tentando ancora di sedurre Horace. Laura scopre la tresca, il marito chiede perdono e Rita si pente.

La Vampira è qui sottoposta a un processo di “normalizzazione”, perché non trionfa come nella tradizione teatrale ispirata alla poesia di Kipling, ma viceversa giunge al pentimento in un classico happy end. Il nome italiano dato al personaggio della Vampira segnala inoltre che era arrivata oltreoceano l’influenza del sorgente fenomeno tricolore delle Dive, spesso simili alle donne fatali di Hollywood (della fugace presenza di Vampire nel cinema muto italiano tratteremo in un prossimo articolo).

Pubblicità per The Vampire’s Trail (1914)

Dopo il successivo boom delle Vamp/ire grazie a Theda Bara, la Kalem riproporrà ancora Alice Hollister in un ruolo vampiresco per The Lotus Woman, nel 1916, presentando l’attrice come “the original screen vampire”. Scriverà “The Moving Picture World” (24 giugno 1916): “Quando uno storico del cinema arriverà al capitolo dedicato alla mania per le vampire, dovrà assegnare una menzione speciale a Alice Hollister, in quanto ‘vampira originaria del cinema’. La star della Kalem sarà ricordata come ‘la’ vampira del cinema prima che quel tipo di personaggio diventasse una fonte comune di ispirazione per scrittori e produttori di film”. Sempre nel 1916 la casa produttrice Kalem prenderà in giro se stessa con una parodia della Vampira, An Innocent Vampire, un corto comico dell’allora famosa “Sis Hopkins” interpretata da Rose Melville: per una serie di equivoci, Sis appare a tutti come una cacciatrice di uomini che sottrae alle rispettive mogli e fidanzate, ma alla fine si scopre la sua buona fede.

Rose Melville in An Innocent Vampire (1916)

La Vampira attraversa l’Europa

Il personaggio della Vampira kiplinghiana e delle danze relative doveva presto varcare l’oceano e riverberarsi nel cinema europeo. Nell’ottobre 1911 una Vampira compare in Germania nel cortometraggio (218 metri) dal titolo Der Vampyr, grazie al produttore tedesco Oskar Messter. Distribuito in America nel gennaio 1912, per l’ennesima volta con il titolo The Vampire, il corto è così sintetizzato da “Moving Picture World” (20 gennaio 1912): “Un giovane milionario dopo l’incontro con una donna vampira sogna che lei entri nel suo appartamento e disprezzi i doni che le getta ai piedi. Il giovane si contorce per la sofferenza, fino a che cade sul pavimento e si sveglia rendendosi conto che è stato tutto un sogno. Allora si toglie dalla mente l’immagine di lei e torna a essere un uomo assennato”.

Qualche anno dopo Messter riproporrà il tema producendo il corto di 36 minuti Vampirette (1916), dove la perfida pianista Adele (Wanda Treumann) tenta il suicidio sdraiandosi sui binari del treno, ma è salvata dalla giovane Hertha (Claire Praetz): come ricompensa per il suo gesto generoso, Adele le seduce il marito (Viggo Larsen) e Hertha si uccide coricandosi a sua volta sui binari.

Clara Wieth in Vampyrdanserinden (1912)

Messter era un produttore che tentava di competere con le potenti ditte cinematografiche scandinave, a loro volta dedite a sfruttare l’interesse per le donne fatali vampiresche. Nel 1912 esce il film danese Vampyrdanserinden (Ballerina vampira), della casa produttrice Nordisk e con regia di August Blom, distribuito un anno dopo per il pubblico anglofono come Vampire Dancer – A Tragedy of the Stage. È uno dei pochi film della saga sulla Vampira di inizi secolo che non è perduto.

Silvia Lafont (Clara Wieth, vero cognome Pontoppidan) è una ballerina famosa per la sua “Danza della vampira”. Il suo nuovo compagno di ballo, Oscar Borch (Robert Dinesen), si innamora di lei, ma la giovane è fidanzata e lo respinge. Disperato per il rifiuto, Oscar si avvelena e muore mentre balla la “Danza della vampira” con Silvia.

Clara Wieth e Robert Dinesen in Vampyrdanserinden

Vampyrdanserinden fece scalpore soprattutto per la danza vampiresca, a conferma della popolarità di quel ballo in tutta Europa e non solo in America. Ed è importante notare che la raffigurazione cinematografica di quella danza, con la Vampira che strangola e poi morde la sua vittima, precede di un anno il film americano The Vampire della Kalem dove si reclutarono Eis e French per lo stesso ballo.

Va ricordato che la Danimarca aveva già proposto il tema della donna fatale nel 1910, con Afgrunden (L’abisso) dove Asta Nielsen si esibiva in una Apache dance (che il quotidiano “Nationaltidende” del 13 settembre 1910 definiva esplicitamente “vampyrdans”) e poi uccideva il suo compagno. Non a caso, Georges Sadoul si è spinto ad affermare che “la vamp è una creazione danese” (Histoire générale du cinéma, Tome III, primo volume, Denoël, Paris 1946).

Le suggestioni di Vampyrdanserinden sono state ribadite in anni recenti dallo scrittore svizzero di lingua tedesca Christian Kracht nel suo romanzo Die Toten (2016; trad. it. I morti, La nave di Teseo, Milano 2021). Il protagonista del libro, Nägeli, negli anni Trenta si reca alla sede della Nordisk per farsi mostrare il film Vampyrdanserinden, ma la pellicola durante la proiezione prende fuoco e si deve ricorrere a un estintore: “Nägeli ne rimase incantato, restò seduto profondamente toccato nell’animo dall’ipnotico caleidoscopio magenta, verde, blu, giallo, turchese sullo schermo davanti a lui, prodotto dal fascio di luce del proiettore che trapassava la schiuma antincendi”.

Il morso della vampira in Vampyrdanserinden

Anche la cinematografia rivale della Danimarca, quella svedese, mette in cantiere un film melodrammatico sulla Vampira. Nel febbraio 1913 esce in Svezia il film di 43 minuti Vampyren, noto anche con il sottotitolo En kvinnas slav (Lo schiavo di una donna), scritto e diretto da Mauritz Stiller, uno dei più prestigiosi registi svedesi. L’interprete principale era Victor Sjöström, in procinto di passare dietro la macchina da presa per diventare celebre con film come Körkarlen (Il carretto fantasma, 1921). L’attrice che interpretava la Vampira tentatrice di turno era la danese Lili Bech che un anno dopo si sposerà con Sjöström.

Il tenente Roberts (Victor Sjöström) si invaghisce di Theresa (Lili Bech), un’avventuriera senza scrupoli che lo deruba e lo costringe a falsificare una cambiale. Scoperto, Roberts è costretto a fuggire dalla polizia e lo scandalo fa morire di crepacuore sua madre (Anna Norrie). Roberts anni dopo trova impiego come lavorante in un teatro americano di varietà, dove si esibisce proprio Theresa. Respinto dalla donna, Roberts tenta di ucciderla. Quando Roberts cade rovinosamente durante il suo lavoro, Theresa lo soccorre e si pente.

Il pubblico parve gradire il film, affollando le sale, poi intervenne la censura per le implicazioni sessuali di alcune scene. I critici, da parte loro, dedicarono scarsa attenzione a Vampyren, pur lodando gli interpreti e in particolare Lili Bech. Vampyren è oggi un film perduto, ma nel 1980 sono riemersi 8 secondi di pellicola, il primo piano di un bacio tra Sjöström e la Bech.

Lili Bech e Victor Sjöström in Vampyren (1913)

Hiawatha, la danza della Vampira

Nel 1913 ancora la Germania offriva un riferimento alla “danza della vampira” con un film in due bobine della casa produttrice Colonia, Hiawatha, uscito in contemporanea con Der Student von Prag (Lo studente di Praga), il grande classico del cinema tedesco nato dalla collaborazione tra Hanns Heinz Ewers, Stellan Rye e Paul Wegener.

A interpretare Hiawatha erano Joe Biller e Hild Hadges, una coppia di ballerini piuttosto nota sulla scena europea per la “danza della vampira”: nel dicembre 1913, ad esempio, portano la loro  “vámpírtánc” a Budapest e nell’aprile 1915 saranno in Italia con le loro “danze acrobatiche” al teatro Fenice di Trieste. Si leggeva su “Il Piccolo”(22 aprile 1915): “Hild Hadges e Joe Biller, i bravissimi danzatori americani, ottennero anche ieri vivo successo e furono alla fine della suggestiva ‘Danza del Vampiro’ chiamati ripetutamente alla ribalta. Spettacolo davvero magnifico”. Il legame di Biller con l’Italia doveva durare a lungo, se nel novembre 1933 si esibiva ancora in un “trio di danze” al Rossini di Venezia.

Recensendo il film Hiawatha, il quotidiano “Metzer Zeitung” (7 marzo 1914) affermava che “lo stesso imperatore Francesco Giuseppe I e l’erede al trono l’arciduca Francesco Ferdinando d’Este hanno ammirato l’arte della coppia Joe Biller e Hild Hadges”. Secondo quanto si desume dalla stampa dell’epoca, il film presentava una Vampire dance dove la donna, per gelosia, durante il ballo bacia violentemente il partner e poi lo morde al collo, uccidendolo. Hiawatha fu vietato ai minori dalla polizia di Monaco e Berlino e poi censurato.

Pubblicità da “Lichtbild-Bühne” n. 33,1913

Il primo a segnalare Hiawatha come film di vampiri è probabilmente Denis Gifford nel suo Movie Monsters (Studio Vista, London 1969), ma non è stato preso in considerazione negli studi sul genere, anche a causa di un fraintendimento: il caso volle che nello stesso anno uscisse in America un film dall’identico titolo Hiawatha, ispirato a un noto poema di Henry Wadsworth Longfellow e incentrato sui nativi americani. Si è così creato un equivoco, testimoniato da innumerevoli filmografie, che ha “fuso” i due film e i loro interpreti a detrimento della pellicola tedesca. Il film americano diretto da Edgar Lewis, infatti, è rimasto celebre per essere il primo interpretato da veri nativi, oscurando così involontariamente l’esistenza dell’omonimo tedesco dal ben diverso contenuto.

Nel settembre 1913 anche in Gran Bretagna appare una Vampira cinematografica, nel cortometraggio della Searchlight Films dal solito titolo The Vampire, perduto e di cui si sa pochissimo. Ambientato in India, vedeva un esploratore uccidere la donna che aveva portato alla morte un suo amico, poi la femme fatale resuscitava, si trasformava in serpente ed eliminava anche l’esploratore. Il film ottenne persino un remake con Heba, the Snake Woman (1915), a sua volta perduto, imperniato su una principessa azteca con le stesse attitudini alla trasformazione in serpente. L’argomento era stato peraltro già affrontato nel 1912 nel film americano di 52 minuti The Reincarnation of Karma, diretto da Van Dyke Brooke, con la donna fatale interpretata da Rosemary Theby che sarà poi la fata Morgana in A Connecticut Yankee in King Arthur’s Court (1921).

Il sacerdote indiano Karma (Courtenay Foote) resiste alle tentazioni sessuali messe in atto dall’incantatrice Quinetrea (Rosemary Theby), capace di trasformarsi in serpente. Secoli dopo Quinetrea riappare al giovane Leslie, che è la reincarnazione di Karma, e fa cadere in coma la sua fidanzata (Lillian Walker).

The Reincarnation of Karma (1912)

Altre Vampire kiplinghiane

Se gli scandinavi Vampyrdanserinden e Vampyren, l’inglese The Vampire e i tedeschi Der Vampyr e Hiawatha non dichiaravano il loro debito nei confronti di Kipling, in America il riferimento alla fonte letteraria era ancora efficace. Nel 1913, la Vitagraph produce The Vampire of the Desert (1913), cortometraggio in due bobine diretto da Charles L. Gaskill che la pubblicità definiva come “adattamento della ben nota poesia di Kipling” (“Moving Picture World”, 10 maggio 1913). La “vampira del deserto” aggiungeva ulteriori capacità sovversive alla figura della donna fatale: la distruzione della famiglia tradizionale da parte della Vampira comportava in questo caso la seduzione di padre e figlio.

The Vampire of the Desert è perduto, ma può essere dettagliatamente immaginato grazie a una novelization di Norman Bruce, basata su una copia del film inviata dai produttori e apparsa sulla rivista “Motion Picture Story” (giugno 1913).

La fascinosa Lispeth (Helen Gardner) vive in una capanna nel deserto con un uomo che la ama follemente, Ishmael (Harry T. Morey), e con la vecchia madre di lui, Hagar (Flora Finch). Il ricco banchiere William Corday (Tefft Johnson), in viaggio con la moglie (Leah Baird) e il giovane figlio Derrick (James Morrison) accompagnato dalla fidanzata Ethel (Norma Talmadge), si imbatte nella capanna durante una gita. William subisce subito il fascino di Lispeth che ne approfitta per unirsi al gruppo di turisti e sfuggire alla sua insoddisfacente vita nel deserto. Il banchiere è deciso a lasciare la sua famiglia per amore di Lispeth, ma il figlio scopre i suoi piani. Lispeth seduce anche il giovane Derrick e scatena la rivalità tra padre e figlio. Quando la situazione sta per precipitare, ecco apparire Ishmael che riporta di forza Lispeth nel deserto e la uccide.

La novelization di The Vampire of the Desert su “Motion Picture Story” (giugno 1913)

Poco prima di The Vampire of the Desert era uscito in America un altro film, Red and White Roses, che prendeva ispirazione non tanto da Kipling, ma dal testo teatrale e dal romanzo A Fool There Was di Porter Emerson Browne, associando come in quei due antecedenti la Vampira alle rose (ovviamente rosse, mentre quelle bianche sono riservate alle “donne per bene”). La trama era molto simile alle due opere di Browne e se in A Fool There Was il protagonista maschile era impegnato in importanti attività diplomatiche per il governo, qui c’è un politico in carriera, Morgan Andrews (William Humphrey), che si fa sedurre e portare alla distruzione da una donna.

Il personaggio della storia di Browne era felicemente sposato, così come Andrews ha una fidanzata di buona famiglia, Beth (Leah Baird), che lo adora. A sovvertire la situazione interviene l’attrice Lida de Jeanne (Julia Swayne Gordon, già Lady Godiva in un corto del 1911), capace di far perdere la testa a Andrews. In questo caso, però, la Vampira agisce in nome di un vero e proprio complotto politico, manovrata dal fratello che è un avversario di Andrews. La relazione tra Andrews e Lida finisce sui giornali e l’uomo perde le elezioni. Dopo lo scandalo, Andrews teme che la fidanzata lo lasci, rovinando anche la sua vita privata: quando vede Beth priva di sensi, ma in realtà solo addormentata, è sconvolto e il giorno dopo viene trovato morto.

Red and White Roses (1913)

Parodie di Vampire

La Vampira kiplighiana era ormai tanto famosa che poteva diventare oggetto di parodia, come dimostrano tre cortometraggi comici del 1914. A marzo esce A False Beauty, in una bobina, prodotto dalla Keystone di Mack Sennett, il “re della commedia” che era in procinto di lanciare il successo di Charlie Chaplin. Il film, diretto e interpretato da Ford Sterling, mette in ridicolo la donna fatale e sarà riproposto nelle sale nel 1918 con il più esplicito titolo A Faded Vampire. Una copia è conservata alla Library of Congress.

Un uomo (Ford Sterling) spasima per una fanciulla dai molti corteggiatori (Alice Davenport) e la copre di doni. Quando, spiandola dalla finestra, scopre che la ragazza ha una parrucca e i denti finti tenta di riprendersi i gioielli che le ha regalato.

Pubblicità e un fotogramma di A False Beauty / A Faded Vampire (1914)

A giugno 1914 è la volta di Universal Ike Jr. and the Vampire, uno dei corti comici di ambientazione western che avevano come protagonista il personaggio del cowboy Alkali Ike, talmente famoso che si produssero dei pupazzi con la sua immagine. L’attore che lo interpretava, Augustus Carney, era passato dalla casa di produzione Essanay alla Universal e così il personaggio cambiò nome, diventando Universal Ike Jr.

Nel corto Universal Ike Jr. and the Vampire, Ike contende ad altri pretendenti l’amore di una fanciulla, ma la Vampira lo depreda di tutti i suoi beni. Il ruolo della Vampira era affidato a Louise Glaum, presenza ricorrente nei film di Ike come tipica “ragazza del West”. In breve la Glaum si specializzerà in parti di vamp, tanto che quando nel 1916 interpreta una donna fatale in The Wolf Woman, è proclamata “the greatest vampire woman of all time.”

Louise Glaum, “the greatest vampire woman of all time” (da “Photoplay”, dicembre 1914)

Nel settembre 1914 esce poi un altro cortometraggio comico dal titolo A Fool There Was, scritto, diretto e interpretato da Frank C. Griffin. Era una presa in giro dei film sulla Vampira rovinauomini, qui interpretata da Mabel Paige, un’attrice che diventerà molto attiva nel cinema muto e continuerà la carriera fino alla tarda età con varie apparizioni televisive. In una parte minore recitava anche Oliver Hardy. Dopo l’uscita del film omonimo con Theda Bara si dovette cambiare il titolo, trasformandolo in She Wanted a Car.

George (Jerold T. Hevener) si innamora di una ragazza, Bess (Mabel Paige), che vuole a tutti i costi un’automobile. Per non perderla, l’uomo impegna tutti i suoi beni e acquista un’auto, ma investe un poliziotto (Oliver Hardy) e finisce in prigione. Assume poi un autista (Frank C. Griffin), sempre per accontentare la sua bella, e quello fa la corte a Bess fino a soppiantare George e a sposarla.

Apparentemente, la Vampira cinematografica partorita dalla poesia di Kipling stava arrivando alla sua fase finale, ormai stereotipo oggetto di parodie. Invece il 1915, a quasi vent’anni dalla poesia The Vampire, porterà una sorpresa sconvolgente, grazie al film con Theda Bara A Fool There Was che aprirà una lunga fase caratterizzata dalla immortale figura della vamp. Ne parleremo in un prossimo articolo.

Pubblicità per A Fool There Was (1915)

MARXISTI E VAMPIRI

Nei giorni scorsi è stato disponibile su ARTE, il canale culturale in streaming, il film tedesco Blutsauger (Succhiasangue), che la stessa ARTE ha coprodotto.
Scritto, montato e diretto da Julian Radlmaier, il film è del 2020 ed è stato presentato l’anno dopo alla Berlinale. Le versioni in inglese e in francese portano il sottotitolo Una commedia marxista di vampiri che sintetizza il contenuto del film.

Ambientato in Germania nel 1928, Blutsauger si avvia con le immagini di un “gruppo di lettura” intento a discutere sui brani del Capitale di Marx dove il capitalismo che “succhia lavoro vivo” è paragonato ai vampiri. E se non fosse una metafora e i “padroni” fossero davvero dei vampiri? Su questa domanda si sviluppa la trama, volutamente surreale.
L’attore russo Ljowuschka (Alexandre Koberidze) cerca fortuna in occidente dopo aver interpretato Trotski in Ottobre! di Serghei Eisenstein, per poi constatare che tutte le sue scene erano state tagliate dal film su ordine di Stalin. Fingendosi un barone in fuga dai bolscevichi, Ljowuschka fa la conoscenza della bizzarra intellettuale, e ricca ereditiera, Octavia (Lilith Stangenberg). In realtà è una vampira come gli altri esponenti della sua classe sociale, ma Ljowuschka si innamora di lei e non vuole credere che sia una succhiasangue, anche quando lui stesso è morso al collo. Per aiutare il russo a fare carriera nel cinema, tra l’altro, Octavia realizza un film di vampiri, dove lei in persona recita la parte della vittima di un vampiro cinese. Nonostante tra la popolazione aumentino le morti attribuite ai vampiri, i proletari-rivoluzionari sono incapaci di capire la realtà: decidono che il vero vampiro è l’orientale del film e si accaniscono su capri espiatori, assolvendo così la ricca Octavia e gli altri borghesi-vampiri che restano liberi di continuare le loro attività predatorie.

Il film è costruito su interminabili scene con camera fissa, rese tollerabili dall’ottima fotografia, e su dialoghi da teatro dell’assurdo. La stessa ambientazione storica è paradossale, con abiti odierni accanto a vestiti d’epoca e con espliciti sfasamenti temporali: ad esempio, vediamo Jakob (Alexander Herbst), assistente-maggiordomo vampirizzato da Octavia, bere un’anacronistica lattina di cocacola negli anni Venti del secolo scorso.

Blutsauger è l’ennesima dimostrazione delle infinite suggestioni che il tema vampiresco continua a suscitare, prestandosi agli approcci più svariati. Al di là del giudizio sulla riuscita dell’esperimento, qui il vampirismo è occasione per una satira contemporaneamente dei marxisti “ortodossi” e della borghesia anticomunista.

QUATTRO VAMPIRI A VENEZIA

I soliti becchini-in-anticipo-sulle-esequie da tempo davano per morto il cinema di vampiri (almeno dagli anni Novanta del secolo scorso). Sembra che siano stati frettolosi, a giudicare dalla florida salute del genere vampiresco sugli schermi, nel 2023. Le infinite possibilità metaforiche offerte dalla figura del vampiro sono permanentemente utilizzate da registi di ogni latitudine, come testimonia la Mostra del Cinema di Venezia 2023. Quattro film proiettati a Venezia, infatti, sono indubitabilmente “film di vampiri”.

El Conde

In concorso, innanzitutto, a Venezia c’è El Conde di Pablo Larraìn, film cileno per Netflix. E la storia delconte Pinoche (Jaime Vadell), vampiro sfuggito alla Rivoluzione Francese che dopo la Seconda guerra mondiale si rifugia in Cile, assume il nome di Augusto Pinochet e con un golpe nel 1973 sgomina gli odiati comunisti. Resta dittatore per anni, poi finge la sua morte e si nasconde, stanco della sua lunga esistenza e annoiato. Vuole lasciarsi morire, ma i suoi familiari intendono spartirsi al più presto l’eredità e usano la suora Carmen (Paula Luchsinger) per circuire il vecchio vampiro. Girato in bianco e nero, El Conde non è solo satira politica, ma arricchisce di molti altri rimandi e suggestioni la vecchia metafora sociale del vampirismo che “succhia il sangue del popolo”.

Le vourdalak

Presentato alla Settimana della Critica è invece Le vourdalak del francese Adrien Beau, girato in 16mm e ispirato a un noto racconto di Aleksej K. Tolstoj. Un nobile francese (Kacey Mottet Klein) per sfuggire ai banditi nei Balcani chiede ospitalità a una famiglia. Il ritorno del capofamiglia Gorka si rivela catastrofico, dato che l’anziano è diventato un vampiro (interpretato non da un attore, ma da un burattino con la voce del regista). Il vecchio aveva chiesto di essere ucciso se fosse tornato dopo più di sei giorni, ma i figli si rifiutano di esaudire il suo desiderio. Intanto, il francese è affascinato da Zdenka (Ariane Labed), figlia di Gorka.
Il racconto di Tolstoj aveva già ispirato due film italiani: un episodio di I tre volti della paura (1963), diretto da Mario Bava, con Boris Karloff nella parte del vampiro, e La notte dei diavoli (1973) di Giorgio Ferroni. Da segnalare anche tre film prodotti in Urss e poi in Russia, Semia vourdalakov (La famiglia del vurdalak, 1990) di Gennadiy Klimov e Igor Shavlak, Papa, oumer Ded Moroz (Papà, Nonno Gelo è morto, 1991) di Evgueni Youfit, Vourdalaki (I vurdalak, 2017) di Sergei Ginzburg.

En attendant la nuit

Vampiri adolescenti sono al centro di altri due film proiettati a Venezia. Il primo, En attendant la nuit, diretto da Céline Rouzet che viene dal cinema d’inchiesta, è un film franco-belga in concorso nella sezione Orizzonti. Negli anni Ottanta, in un villaggio francese di montagna abita in completo isolamento sociale il giovane vampiro Philémon (Mathias Legoût-Hammond), che non può esporsi al sole e sopravvive grazie alle sacche di sangue rubate dalla madre in un centro per le trasfusioni. La famiglia deve spostarsi di città in città per proteggere il figlio dal pregiudizio e dall’ostilità. Philémon si innamora della coetanea Camila (Céleste Brunnquell), ma la sua diversità lo farà oggetto della violenza che cova nella piccola comunità apparentemente equilibrata e serena.

Vampire humaniste cherche suicidaire consentant

Il disagio adolescenziale torna in Vampire humaniste cherche suicidaire consentant, debutto della regista canadese Ariane Louis-Seize, proiettato a Venezia per le Giornate degli Autori. In una cittadina di provincia risiede Sasha (Sara Montpetit), giovane vampira che si rifiuta di uccidere e beve con la cannuccia dalle sacche per la trasfusione del sangue. Anche in questo caso c’è l’incontro con un coetaneo, Paul Fèlix (Antoine-Bènard), che ha difficoltà scolastiche e vari tentativi di suicidio al suo attivo. Il rapporto tra la ragazza che non vuole uccidere e il ragazzo che vuole morire finirà con il “dono” del vampirismo.

50 SFUMATURE DI DRACULA

Il politically correct continua a far strage di vampiri. Dopo First Kill, ecco The Invitation diretto da Jessica M. Thompson, con Nathalie Emmanuel e Thomas Doherty nei due ruoli principali, appena uscito in Blu-ray e Dvd dopo una rapida ma lucrosa uscita sui grandi schermi (non in Italia).

Il best seller 50 sfumature di grigio ha imposto un cliché: la bella ragazza di modeste condizioni economiche che si innamora di un seducente e ricchissimo giovanotto, per poi scoprirne il lato oscuro. Ecco che il cliché viene utilizzato per una moderna vicenda in cui Dracula (ribattezzato stokerianamente De Ville, uno pseudonimo del vampiro nel romanzo) si trova al posto di Mister Grey.

The Invitation poteva essere un gioiello del gotico vampiresco, grazie alle sontuose atmosfere stile Hammer nel maniero dove si ambienta la vicenda, grazie alla violenza di alcune immagini e alle famiglie di umani al servizio dei vampiri che cenano celati da maschere evocando The Kiss of the Vampire (Il mistero del castello, 1963). Non mancano le citazioni da Bram Stoker (due anziani Jonathan Harker e Mina Murray, le tre spose di Dracula, Carfax, ecc.) e si assiste anche a una singolare vampirizzazione alla caviglia…


Spicca poi il Dracula dell’occasione, l’attore scozzese Thomas Doherty. Già interprete del vampiro Sebastian in 10 episodi della serie The Legacies (oltre a una piccola apparizione nella serie tv Dracula del 2013), ha qualcosa che a tratti ricorda l’indimenticabile Udo Kier in Dracula cerca sangue di vergine… (1974). La sua fisionomia particolare batte quella di Claes Bang nella miniserie Dracula del 2020.

Thomas Doherty vampiro in “The Legacies” e “The Invitation”

Questo potenziale gioiello è rovinato irreparabilmente dall’imposizione delle nuove regole ispirate al politicamente corretto. 50 sfumature di grigio era persino più audace, inscenando una complicità tra la donna vittima e l’uomo perverso. Qui invece la protagonista (che ovviamente non è “bianca”) non ha mai un cedimento alle “perversioni” di Dracula e la regista (australiana e bianchissima) aggiunge un frettoloso finale pseudofemminista con due donne, nere, amicissime ed entrambe disgustate dai maschi, che agiscono insieme come novelle ammazzavampiri. Il piatto politically correct è servito.

Il matrimonio di Dracula in “The Invitation”


VAMPIRI D’EUROPA: tre film del 2021

Il cinema di vampiri è stato dato spesso per morto. Inflazionato, demitizzato, ridicolizzato, il vampiro cinematografico rivela viceversa infinite sorprese. Anche in questo 2021 pandemico, la figura del vampiro si dimostra capace di suscitare ispirazioni artistiche originali e innovative, senza confini geografici. Da diverse parti d’Europa, infatti, provengono tre film recentissimi che sono la dimostrazione più piena delle potenzialità del mito vampirico, anche nel Terzo Millennio.

Un piccolo gioiello arriva innanzitutto dai Paesi Baschi con Ilargi Guztiak (letteralmente Tutte le lune, noto anche come Todas la lunas e All the Moons) di Igor Legarreta.
Alla fine dell’Ottocento un’orfana (la bravissima Haizea Carneros) resta sepolta tra le macerie di una chiesa. A salvarla sarà una misteriosa sconosciuta. “Come mi hai guarita?”, chiede la bimba. “Con un bacio”, è l’allusiva risposta.
Da quel momento seguiamo i tormenti di una bambina che scopre la sua condizione di vampira e trova serenità solo grazie a un uomo che la accoglie come una figlia. La incontreremo poi nel 1936, immutata, tra i bombardamenti della Guerra di Spagna, dove ritrova la sua madre/vampira e la incenerisce alla luce del sole.
Poetico e magistralmente lento, il film si avvale di panorami incantati e di oniriche riprese subacquee. Il titolo allude a tutte le lune che la bambina vedrà nella sua immortalità di vampira.
La relazione tra la bambina vampiro e un ragazzino (che ritroverà morente tanti anni dopo) evoca
Lasciami entrare, mentre il tema della bambina vampirizzata e imprigionata per sempre in un corpo infantile ricorda la piccola Claudia, inventata da Anne Rice per Intervista col vampiro.

In Irlanda, Chris Baugh ha diretto Boys From County Hell, un film al confine tra commedia e horror, una sorta di Un lupo mannaro americano a Londra girato non dagli americani, ma dagli “indigeni”.
In atmosfera folk horror, tutto ruota attorno a un tumulo nella campagna irlandese che ospita una creatura scheletrica assetata di sangue. Amici e parenti di ambiente contadino si trovano così a fronteggiare il contagio sparso dal mostro, tra sangue a fiumi e ironia. Per rendersi conto degli aspetti volutamente demenziali del film, basti dire che il vampiro finirà impalato dall’osso di una gamba appena mozzata.
L’ambientazione rurale si rivela interessante e non mancano le strizzate d’occhio per appassionati: il pub del villaggio si chiama “The Stoker” e l’insegna mostra un Dracula con canini e un Jonathan Harker impegnato a scrivere a lume di candela.

Dalla Germania giunge invece una grossa produzione veicolata da Netflix, Blood Red Sky di Peter Thorwarth. L’azione si svolge quasi interamente a bordo di un aereo di linea, dove tra i passeggeri si trovano una giovane madre con il figlioletto. La donna (Peri Baumeister) nasconde un segreto: è una vampira, resa tale in una violenta situazione mostrata in un flashback. Quando una banda di criminali prende possesso dell’aereo in volo, la vampira combatte contro i delinquenti, uccidendoli uno a uno.
I suoi morsi, però, trasformano immediatamente le vittime in vampiri e presto l’aereo è infestato di succhiasangue. Un finale pirotecnico vedrà eliminata tutta la genia vampiresca.
I vampiri, orrendi e mostruosi, sono in stile 30 giorni di buio e la protagonista è una sorta di Nosferatu che si trasforma quando ha sete di sangue.
Variazione splatter sul tema dell’aereo dirottato, il film ha un buon ritmo nonostante la lunga durata (oltre due ore).