ALLE FONTI DEL VAMPIRO MODERNO / 5

Vampire che danzano

Il 1909 è stato anno di vampiri sui palcoscenici. Lo spettacolo teatrale A Fool There Was, diventato in seguito romanzo sempre per la penna di Porter Emerson Browne, ispirato alla poesia The Vampire di Rudyard Kipling e al quadro omonimo di Philip Burne-Jones, va in scena a marzo. Contemporaneamente si rappresenta a New York una brevissima commedia musicale, The Vampire, scritta e interpretata da Walter Shannon con diretto riferimento alla poesia omonima. Non aveva nulla a che fare con Kipling, invece, il testo teatrale The Vampire messo in scena all’Hackett Theatre di New York già nel gennaio dello stesso anno e tratto da un romanzo di George Sylvester Viereck (dove il vampiro del titolo è ancora una volta “psichico”, ma in questo caso è un uomo che ruba le idee agli scrittori: ne tratteremo dettagliatamente in un futuro articolo).

Il 1909 è anche, e forse soprattutto, l’anno della vampire dance, da tradurre per la precisione come “danza della vampira” dato che a portare distruzione dopo un ballo seduttivo era sempre una donna. Si tratta di un vero e proprio filone che si prolungherà per oltre un quinquennio. La vampire dance si ispirava dichiaratamente alla poesia di Kipling, al quadro di Burne-Jones e al testo teatrale A Fool There Was, quando la Vampira dice alla sua vittima “Before we part, kiss me, my fool!” e l’uomo cade a terra morto, mentre lei ride lasciando piovere petali di rosa sul cadavere.

La danza contribuisce in modo decisivo al cambiamento semantico del termine “vampiro” nel mondo anglosassone di inizio Novecento: più che creatura soprannaturale di ritorno dalla tomba, una donna fatale che prosciuga i maschi di beni e vita. Nei balletti sui palcoscenici le antiche “danze macabre” (o le danze delle streghe e degli scheletri) si univano così alla figura della femmina seduttiva che agli inizi del nuovo secolo ballava sotto le spoglie di Cleopatra e Salomè o nelle danze tentatrici di Mata Hari.

Non era un fenomeno del tutto nuovo. Come sottolinea Gary D. Rhodes (The First Vampire Films in America, Palgrave Communications, nature.com, 2017), la vampire dance era popolare almeno dal 1890, quando una compagnia americana di “minstrel” (commedie musicali interpretate da bianchi con il volto truccato di nero o da afroamericani) presentava la “Great Vampire Transformation Dance” e nel 1896 un’altra vampire dance si registra nel Massachusetts. Si trattava però di balli ispirati al vampiro soprannaturale e non alle vampiresche donne fatali che si affermano solo nel 1897 con Burne-Jones e Kipling.

Da pipistrello a danzatrice nel cortometraggio Loie Fuller (1905)

Una sorta di “danza della vampira” può rintracciarsi nella Serpentine dance e in altre esibizioni dell’artista americana Loïe Fuller che ebbero grande influenza sui simbolisti e sull’art nouveau. Danzatrice autodidatta, Loïe Fuller dopo aver lavorato nel 1892 alle Folies Bergère diventò manager, autrice teatrale e coreografa, a Parigi, Londra e New York, contribuendo alla nascita della danza moderna. Le sue rappresentazioni erano spesso caratterizzate dalle tuniche che faceva roteare creando effetti straordinari. Un cortometraggio del 1905, intitolato semplicemente Loie Fuller, mostra un pipistrello che si trasforma in donna e avvia una danza, muovendo vorticosamente un abito che simula le ali del chirottero. Si univa così il vampiro soprannaturale, evocato dal pipistrello, alla seduzione della vampira kiplinghiana grazie alla danza affascinante e ipnotica. Va ricordato che Loïe Fuller pagò un prezzo piuttosto alto per le sue rappresentazioni artistiche: il radio che utilizzava per rendere fluorescenti le “ali” dei suoi abiti di scena le provocò un tumore.

Il riferimento della danza di Loïe Fuller al vampirismo era comunque solo allusivo. La prima, esplicita “danza della vampira” va attribuita all’artista Fuji-Ko. Nata a Tokio, ma cresciuta a Londra, si esibiva in America e in Sud Africa con brevi rappresentazioni in cui univa ballo e pantomima (su Fuji-Ko vedi una breve biografia in Dixie Hines, Harry Prescott Hanaford,Who’s who in Music and Drama, Hanaford, New York 1914). Il 19 novembre 1908 presenta al Neues Deutsches Theater di New York lo spettacolo The Vampire Cat of Nabeshima, pantomima con accompagnamento musicale di un’orchestra. Un gatto soprannaturale, tipico delle leggende giapponesi, dissangua Sakura-Ko, la favorita di un principe, e ne assume l’aspetto. Sakura-Ko usa il suo fascino vampiresco per distruggere il principe e lo fa ammalare gravemente. Un giovane samurai affronta la vampira per vendicare il suo signore, ma lei tenta di sedurlo. Il samurai riesce a resistere ai suoi sguardi ammaliatori piantandosi la spada in una gamba e uccide la vampira: al posto di Sakura-Ko c’è il cadavere di un enorme gatto (il testo integrale di The Vampire Cat of Nabeshima è stato pubblicato in “The Smart Set” n. 1, 1910).

Per quanto sovrappeso, Fuji-Ko con i lunghi capelli sciolti riusciva a essere emozionante nelle sue danze da vampira attorno alle due vittime, il principe e il samurai, tra suggestive melodie orientali. Secondo “The Kansas City Star” (22 novembre 1908) “la sua abile seduzione, i suoi trucchi di sensualità provocante e il suo balzo finale sull’uomo prostrato erano una meravigliosa combinazione tra una donna diabolica e il gioco di un gatto con una vittima senza scampo”. L’articolista dichiarava di aver avuto un brivido quando la vampira protendeva le dita ad artiglio, avanzando a piedi nudi verso la sua preda, e cambiava improvvisamente espressione passando “dalle astuzie di una sirena alla ferocia di una bestia”.

Fuji-Ko, autrice e interprete di The Vampire Cat of Nabeshima (1908)

Nasce la Vampire Dance

Fuller e Fuji-ko non prendevano ispirazione dalla vampira predatrice di uomini creata da Kipling e Burne-Jones. Il fenomeno Vampire Dance nasce solo quando si diffondono spettacoli esplicitamente derivati dal quadro e dalla poesia The Vampire. Uno dei grandi artefici della prosecuzione in forma di danza del successo di The Vampire è senz’altro Joseph C. Smith. Dopo aver ballato, tra l’altro, alla Scala di Milano, diventa coreografo a Broadway e dal 1909, in coincidenza con lo spettacolo teatrale A Fool There Was, sceglie di trasformare in balletto la scena finale vista a teatro, inserendo citazioni dalla poesia di Kipling e allusioni al quadro di Burne-Jones.

Cronologicamente, sembra proprio Smith il primo a inventare la vampire dance, che nella sua versione da vaudeville diventa presto nota anche come temptation dance e flirtation dance. Smith ha inizialmente come partner artistica Louise Alexander, che veniva dalle Ziegfeld Follies. Con lei nel dicembre 1908 aveva già eseguito la Apache dance nel musical The Queen of the Moulin Rouge, a New York. La Apache dance era nata a Parigi nel 1908, al Moulin Rouge, ed era caratterizzata dai modi brutali del ballerino verso la sua partner femminile, una sorta di lite violenta tra amanti che si concludeva con una riconciliazione e la resa della donna. La lotta tra una donna e un uomo trasformata in balletto è analoga nella Vampire Dance, però a ruoli ribaltati e con un finale tragico che vede la supremazia della donna. La vampira non usa la violenza per ottenere quello che vuole dall’uomo, ma la seduzione ipnotica.

Smith e Alexander portano la danza vampiresca a Baltimora nel giugno 1909, ma dopo la prima rappresentazione devono cancellarla dal repertorio per volontà del direttore del teatro di vaudeville dove andava in scena lo spettacolo, a causa della “volgarità” del tema. Il duo Smith-Alexander si separa ed entrambi continuano a interpretare la vampire dance con altri partner. Smith sceglie Ethel Donaldson per presentare, nel settembre 1909, una “original conception” della danza vampiresca al teatro American di New York. In questo caso l’azione si svolge in un salottino: lui è in abito da sera (il caratteristico abbigliamento di Smith come ballerino), lei in succinto vestito nero con le spalle nude. Nel frattempo, come vedremo tra poco, nel corso dell’estate 1909 si era affermata nei teatri un’altra vampire dance, molto simile, eseguita dal duo Bert French-Alice Eis. Inevitabilmente i giornali fecero dei paragoni tra le due versioni, ritenendo quella di Smith-Donaldson inferiore a quella di French-Eis, soprattutto per il minor temperamento e abilità della ballerina. Anche queste rappresentazioni sollevarono l’indignazione dei commentatori “benpensanti” che ne stigmatizzavano il “cattivo gusto”.

Joseph C. Smith e Violet Dale nella Vampire Dance (1909)

Indifferente alle critiche, Smith continuò a promuovere la sua danza vampiresca. In particolare, cura il segmento The Vampire Dance alla chiusura del primo atto di una commedia musicale che ospitava al suo interno dei numeri di danza, The Flirting Princess, imperniata su una bella egiziana che scappa in America per evitare un matrimonio combinato. Nell’ottobre e novembre 1909 Smith esegue la Vampire Dance in un tour americano della commedia, con Violet Dale (che dopo la recita faceva sensazione baciando tutta la troupe) e il danzatore/attore Harry Pilcer. In occasione dello spettacolo al La Salle Theater di Chicago, “The Show World” (6 novembre 1909) dava una breve descrizione del ballo: “Harry Pilcer appoggia il viso alla spalla di Violet Dale e sussurra un paio di strofe della poesia di Kipling, poi entra Mr. Smith in abito da sera per finire vampirizzato. Miss Dale ha un vestito verde brillante, con in rilievo sul seno la testa di un grande serpente che le si avvolge luccicante lungo il corpo. Ondeggia intorno all’uomo, lo afferra ansimante e lo bacia, fino a che lui crolla irrigidito. Allora, con un sorriso malvagio, lei lascia cadere petali di rosa rossa sul corpo esanime e cala il sipario”.

Nella primavera del 1910, sempre a Chicago, la partner di Smith nella danza della vampira è Vera Michelena, attrice e cantante oltre che ballerina. Un ulteriore allestimento di The Flirting Princess si ha nel marzo 1911, dove però la Vampire Dance sarà eseguita da Maude Emery e Charles Morgan.

Alice Eis e Bert French nella Vampire Dance (da “The Sketch”, 15 dicembre 1909)

La “danza della vampira” conquista New York e Londra

Quello che mancava alla vampire dance di Smith e delle sue partner era l’audacia, il coraggio di portare all’estremo possibile in quei tempi il contenuto erotico della “danza della vampira”. Quel coraggio lo dimostrarono viceversa nell’estate del 1909 Alice Eis e Bert French, lei diciannovenne, lui poco più che ventenne, con il loro spettacolo The Vampire Dance. Da tre anni French e Eis si esibivano come mimi e Bert si era preso cura di insegnare la danza ad Alice. Lavorando insieme diventano noti come il primo duo a eseguire la Apache dance sui palcoscenici americani.

Dopo il successo a New York della loro Apache dance, French cercava un nuovo tema per un balletto ed ebbe l’illuminazione quando un amico gli inviò una cartolina che riproduceva il quadro di Burne-Jones. Nacque così The Vampire Dance, uno spettacolo della durata di 17 minuti che fa il suo esordio al teatro Fifth Avenue nel luglio 1909.

La rappresentazione si apriva con una Apache dance, in ambientazione vagamente parigina, dove French abbordava una donna per strada e la maltrattava senza pietà. Poi si passava alla danza vampiresca. Dalle recensioni di allora si possono immaginare i tratti essenziali dello spettacolo.

Alice Eis e Bert French nella “danza della vampira” (1909)

La scenografia è dominata da una scala, tra pesanti drappeggi, in quella che sembra una caverna su una spiaggia. Sul palcoscenico, tra suggestivi effetti di luce, c’è un giovane in abiti semplici. Si china per prendere una rosa rossa e se la porta alle labbra. In quel momento il sole svanisce e dalle tenebre emerge una luce rossa che illumina la scena, rivelando a poco a poco la presenza di una donna addormentata, al centro del palco, avvolta in un velo rosso. Una dolce musica sfuma mentre la donna si risveglia e, accucciata, resta intenta a osservare il giovane. Rimosso il velo, mostra un lungo abito d’oro e argento di foggia orientale, attillato, che le lascia scoperte le spalle e le braccia. Si avvicina al giovane. Scivola sinuosa intorno alla sua preda. L’uomo si ritrae, con un atteggiamento “femminile” che qualche giornale accostò alla ritrosia delle eroine perseguitate nei melodrammi, poi cede alla seduzione e la abbraccia. Mentre la bacia sulla bocca, la vampira tenta di morderlo al collo. Inorridito, il giovane la allontana da sé e lei cade a terra apparentemente esanime. Ma improvvisamente comincia a strisciare come un serpente verso l’uomo che tenta di fuggire. Inizia la lotta contro la seduttrice che cerca di raggiungergli la gola. Lui la respinge con brutalità e, come nella Apache dance, la getta più volte a terra, ma lei si rialza e continua a muoversi intorno a lui e a tentare di abbracciarlo. Alla fine lo avvolge nelle sue spire, di nuovo lui la bacia, ma cade di schiena e la vampira lo morde alla gola. Resta morente a terra, mentre lei lo osserva trionfante. In un ultimo tentativo di resistenza rotola via dalla vampira, ma è ancora morso al collo e muore. Quando il giovane giace immobile è inscenata una sorta di replica del quadro di Burne-Jones, con la donna che si erge sulla vittima.

La pubblicità metteva in diretta relazione lo spettacolo e il testo di Kipling (“La sensazionale poesia di Rudyard Kipling The Vampire illustrata in forma di danza da Bert French & Alice Eis”), sostenendo che “ogni frase della poesia può esser compresa dal pubblico con la stessa chiarezza che se la si leggesse”. Ad avvalorare lo stretto legame anche con il quadro di Burne-Jones contribuiva una foto promozionale di Alice Eis in sottoveste bianca e lunghi capelli scuri che evocava chiaramente la vampira del dipinto.

Alice Eis

La reazione al fenomeno della vampire dance, avviato da Smith e quasi contemporaneamente consacrato da French-Eis, fu di definirla “rivoltante” e “decadente”. Esemplari le parole di “Variety” (31 luglio 1909): “Quando ci hanno rappresentato la Apache Dance credevamo che New York avesse assistito al culmine estremo della danza sensazionalistica. La Vampire Dance va ben oltre (o sotto, se vogliamo) quella esibizione scellerata”. Il periodico continuava definendo lo spettacolo “un numero sgradevole con un grado di vividi dettagli quasi da visita medica”. Per “Variety” la Eis poteva fare la contorsionista e sapeva cadere bene a terra, ma non era certo una ballerina. La sentenza finale era senza appello: si trattava di una “esibizione assolutamente indecente”, messa in scena solo per fare cassa. Non meno severo il “New York Dramatic Mirror” (7 agosto 1909) che considerava la Vampire Dance “volgare”, uno spettacolo che “getta vergogna e discredito sui gestori del teatro” (il proprietario del Fifth Avenue, Benjamin Franklin Keith, era un’autorità nel mondo del varietà e del vaudeville) e “chiamarla danza è una diffamazione per la parola arte”. Il giornale aggiunge un “povero Kipling!” e si augura che lo spettacolo non vada oltre la prima settimana di rappresentazioni. Invece The Vampire Dance ebbe un successo clamoroso, nonostante la stagione estiva, con applausi a scena aperta e teatri pieni. Dopo due mesi a New York lo spettacolo va in tour ed è rappresentato tra l’altro al Grand di Syracuse e all’Orpheum di Atlanta. In provincia l’accoglienza della stampa è meno ostile e “The Constitution” (3 ottobre 1909) arriva a definire lo spettacolo “una vetta artistica” e “una perfezione di grazia”. Il successo fu tale che Alice Eis divenne tanto famosa da dover uscire con la testa coperta da un velo per non farsi riconoscere dalle innumerevoli persone pronte a seguirla ovunque.

Nell’ottobre 1909 Eis e French eseguono la Vampire Dance all’Hammerstein’s di New York, durante uno spettacolo che vede anche un numero di Buster Keaton, poi il loro balletto varca l’oceano. Lunedì pomeriggio 29 novembre 1909 Alice Eis e Bert French presentano The Vampire Dance all’Hippodrome di Londra e la stessa sera un’analoga “danza della vampira” è eseguita da Mildred Deverez e Tom Terriss al Tivoli. Questi ultimi, per quanto chiaramente imitatori, affermavano che la loro versione era la migliore.

A sinistra la Vampire Dance di Bert French e Alice Eis, a destra quella di Tom Terriss e Mildred Deverez (da “The Constitution”, 3 ottobre 1909; “The London Magazine”, marzo 1910)

Il duo danzante French-Eis fa di nuovo scandalo. “The London Magazine” (marzo 1910) liquida sia lo spettacolo di Terris-Deverez che quello di French-Eis come “realismo ripugnante”, dove l’arte del ballo sarebbe tramutata in mera “diavoleria”: “La Vampire Dance è chiamata danza per cortesia. In realtà non è una danza, ma una sorta di dramma in movimento, nel quale l’azione consiste in una serie di corse selvagge e demoniache su e giù per il palcoscenico, intervallate da brutali abbracci, avvinghiarsi da serpente e seduzioni da sirena”.

Fuori dal coro era invece il periodico populista inglese “John Bull”: “Per la grazia delle pose, per le forme sinuose, per la bellezza del corpo e l’avvenenza del viso, non ho mai visto niente di più incantevole di Alice Eis che, con i suoi poteri affascinanti e i movimenti da pantera, può portare alla dannazione qualsiasi essere umano” (18 dicembre 1909).

Il clamore londinese dello spettacolo fa cambiare orientamento anche alla stampa americana: “Da molti anni non si assiste a qualcosa di così nuovo e sensazionale, per quanto terribile”, scrive il “New York Herald” (26 dicembre 1909).

Il successo di pubblico della Vampire Dance a Londra è comunque strepitoso, French riceveva continue telefonate di ammiratori che volevano incontrare il duo e lettere che lodavano la “lezione morale” contenuta nel balletto. La vampire dance, infatti, prolungava in forma di balletto il contenuto “ideologico” della poesia di Kipling: la donna come pericolo, una minaccia per lo status quo a guida maschile, insidiato dalla richiesta di suffragio universale e dal femminismo. La “lezione morale”, semplificando, era di mettere in guardia l’uomo, indicando che cedere alle lusinghe di donne lascive e prive di sentimenti porta distruzione e morte.

Da “Show World”, 18 dicembre 1909

La Vampire Dance arriva al cinema

Dopo Londra, Eis e French portano il loro spettacolo a Vienna, nel luglio 1910, poi in Francia nel 1911, dove è definito “mimodrame sensuel”. Quando si esibiscono nella Vampire Dance all’Olympia, “Le Figaro” (18 aprile 1911) parla di un “trionfale successo”. Ancora a dicembre di quell’anno la Vampire Dance di Eis e French girava nelle sale francesi della provincia.

Nonostante i risultati trionfali in Europa, al ritorno in patria il duo dovette fronteggiare i rigori della censura. Per il loro spettacolo Le Rouge et Noir, nel febbraio 1913, Eis e French finirono in carcere a New York insieme al direttore del teatro. La Eis interpretava la Fortuna, una figura resa simile alla Vampira che qui illudeva un giocatore e poi gli consegnava il coltello con cui uccidersi. A far scattare le manette erano i costumi della danzatrice e alcune posture nel ballo.

Eis e French sono presto liberati, le scene incriminate sono sostituite e il duo può continuare le sue danze, riproponendo ancora la Vampire Dance a New York nel corso del 1913. Il loro successo doveva moltiplicarsi proprio in quell’anno con l’arrivo della Vampire Dance sugli schermi cinematografici. Nell’ottobre 1913, infatti, esce nelle sale un film di 38 minuti prodotto dalla Kalem, The Vampire, dove il duo si esibisce nella famosa danza vampiresca (ottennero un notevole compenso per la partecipazione al film: 2000 dollari). La regia era di Robert G. Vignola (nato in Basilicata, ma vissuto fin da bambino in America), su sceneggiatura di T. Hayes Hunter “da Rudyard Kipling”. Il direttore della fotografia era George K. Hollister, marito dell’attrice protagonista principale del film e operatore anni dopo per The Thing from Another World (La cosa da un altro mondo, 1951).

Il duo Eis-French nel film The Vampire (1913)

The Vampire raccontava la storia del giovane Harold Brentwell (Harry Millarde) che cade vittima di Sybil (Alice Hollister), una “vampira”, avventuriera spregiudicata e peccaminosa. Nelle spire della Vampira, Harold perde il lavoro e la fidanzata. Quando Harold non ha più soldi, Sybil lo abbandona e il giovane diventa alcolizzato. In un teatro assiste a una “Vampire Dance”, interpretata proprio da Alice Eis e Bert French, restandone talmente turbato che comprende i suoi errori e torna dalla fidanzata.

La visione della “danza della vampira”, dunque, porta alla redenzione. Anche se nel film Harold assiste alla Vampire Dance in uno spettacolo teatrale, le scene con Eis e French furono girate in esterni, nei boschi del New Jersey, perché le produzioni Kalem preferivano la luce naturale per le riprese. “The New York Dramatic Mirror” (1 ottobre 1913) scriveva che, dopo una proiezione privata in anteprima, gli spettatori che avevano visto in precedenza la danza di Eis e French sui palcoscenici espressero “l’opinione unanime che la Vampire Dance nella versione per lo schermo primeggiava su qualsiasi sua rappresentazione a teatro”.

Il segmento della danza è forse la prima visualizzazione in assoluto, al cinema, del morso di un vampiro. Come si nota nelle fotografie superstiti, infatti, la gola della vittima è imbrattata di sangue dopo l’attacco della vampira: la donna fatale, ma realistica, di Kipling si unisce finalmente ed esplicitamente alla creatura leggendaria bevitrice di sangue.

The Vampire creò anche problemi di ordine pubblico. Ad Atlanta la scena della danza era stata censurata, ma ne arrivò una copia integrale in un “negro theater” (una delle sale riservate agli afroamericani). Si accalcò una grande folla, composta anche da numerosi bianchi, tanto che intervenne la polizia (lo riporta “The Constitution”, 22ottobre 1913).

Il film The Vampire era considerato perduto, ma una copia è custodita all’Eastman Museum di Rochester e periodicamente viene proiettato, anche se non è disponibile su nessun supporto per l’home video (la prossima proiezione è prevista il 4 marzo 2024 al Sie Film Center di Denver).

Nel 1917 Alice Eis e Bert French si sono sposati.

La danza della vampira in The Vampire (1913)

Ascesa e declino della danza vampiresca

La moda della vampire dance si estingue a poco a poco con il diffondersi al cinema della vampirica donna fatale, grazie a una serie di pellicole che culmineranno nel successo di Theda Bara e nella proliferazione della “vamp” . Ma tra il 1909 e il 1915 la vampire dance è il fenomeno principale che cattura l’attenzione sui vampiri, nell’immaginario dell’epoca. Era tanto popolare che poteva diventare oggetto di parodie, come nella rivista Hello… London, all’Empire di Londra dal febbraio 1910, che vedeva un numero dedicato alla “danza della vampira”, di nome Julia, in questo caso impegnata a sedurre un anziano e un giovane musicista.

I perbenisti ancora nel 1912 temevano le nefaste influenze di quel ballo: “The Catholic Telegraph” di Cincinnati (16 maggio 1912) invocava in prima pagina la censura per “temi orribili e malsani come ‘La danza dei vampiri'”.

La vampira Julia in Hello… London (da “The Sketch”, 2 marzo 1910)

Ma in quegli anni non è solo l’America (o l’Inghilterra) a scandalizzarsi per la “danza della vampira” e contemporaneamente a riempire le sale per uno spettacolo che faceva il tutto esaurito ogni sera. A Parigi il 23 novembre 1909 la Vampire Dance è presentata all’Olympia con l’interpretazione di Théodora Girard (alias Teddie Gerard), appena arrivata da New York, e Harry Watt. Secondo “Variety” (4 dicembre 1909) lo spettacolo era in costumi dell’antica Grecia ed era stato subito dopo riproposto con Harry Agoust nel ruolo maschile.

L’anno successivo, sempre a Parigi, va in scena alle Folies Bergère La Vampire, pantomima ispirata alla poesia di Kipling con la danzatrice Natacha Trouhanowa, famosa per le sue interpretazioni di Salomè, e con Robert Quinault, in futuro celeberrimo ballerino. Lo spettacolo si protrae dal 15 febbraio al 30 aprile 1910, di fronte a un folto pubblico che chiedeva spesso il bis. La Vampire sarà riallestito dal primo al 27 ottobre 1913 con Miss Monor nel ruolo femminile.

Nella primavera del 1910 si rappresenta in Germania Der Vampir-Tanz, spettacolo che dichiara di ispirarsi alla poesia The Vampire e al quadro di Burne-Jones. Si tratta chiaramente della stessa pantomima di French e Eis, qui proposta con la ballerina Violet Hope nel ruolo della vampira e Fred Lesly in quello della vittima. Così la pubblicità descriveva la rappresentazione: “Una vampira vive in una grotta vicino a una palude. Tentato da un fuoco fatuo e incantato dal profumo di una rosa avvelenata, un giovane artista si avvicina alla grotta, ma fugge spaventato alla vista della vampira. Lei esce dalla grotta ed esegue una danza che eccita i sensi, finché l’artista non trova il coraggio per avvicinarsi di nuovo. La figura demoniaca lo ammalia e alla fine gli si avventa addosso e lo soffoca. Lui si libera e la allontana, ma lei alla fine riesce ad attirarlo nella grotta usando il suo velo magico. La scena, che per un momento diventa buia, mostra poi un’immagine emozionante. Immersa nella luce della luna, la vampira si china sull’artista immobile, gli succhia la vita con un bacio appassionato e poi lo getta negli abissi” (“Leipziger Tageblatt”,  16 aprile 1910).

La danza della vampira in Germania: poster per lo spettacolo del 1910

La vampire dance arriva anche in Australia, dove i giornali avevano dato ampio risalto alle prime rappresentazioni americane e londinesi, descrivendo lo spettacolo con indignazione per la decadenza, la nudità e l’assenza di vergogna. Secondo l’“Express and Telegraph” di Adelaide (8 gennaio 1910), il momento della seduzione nel corso del balletto “ha tanto a che vedere con la danza, quanto il Vesuvio con il Polo Nord”. “The Bulletin” (27 gennaio 1910) dava anche una colorita descrizione della danza: “È l’ultima importazione dagli Stati Uniti e la sua caratteristica principale è una donna che volteggia in costume succinto e trasparente, scarlatto e nero. Ruota con sinuosi e vibranti volteggi da serpente attorno a un personaggio maschile che è troppo affascinato per andarsene o resistere. Può solo fissare quella forma vorticosa che sembra un’alta fiamma dissipata e piegata dal vento. Il turbine si fa sempre più veloce, fino a che la vampira si avvicina abbastanza da avviluppare la vittima. Lei lo morde con il suo morso fatale e lui crolla lasciando le sue spoglie mortali”.

Agli spettatori australiani, la “danza della vampira” non doveva dispiacere, se qualche mese dopo, nell’aprile 1910, la Edison Records incise un disco di due minuti con un brano intitolato Dance of the Vampires, eseguito dallaNational Military Band. Nel 1911 la Clarke and Meynell’s Dramatic Company portò in tour per l’Australia A Fool There Was di Porter Emerson Browne e alla fine anche la vampire dance approdò nel Nuovissimo Continente. Nina Speight, nata in Australia, diventa nota in patria come modella e intorno al 1915 ha un grande successo con la sua The Vampire Dance nei teatri di vaudeville, identica alla versione di Eis e French. Secondo il giornale australiano “The Lone Hand” (1 ottobre 1917) la “danza della vampira” minò l’equilibrio psicofisico della Speight: “La tensione che provava per la sua potente interpretazione si dimostrò troppo grande per la sua salute”, tanto che per quel motivo nel 1916 abbandonò le scene e si trasferì in America per cercare fortuna nel cinema (ha recitato in vari film di Harold Lloyd).

La vampira di Nina Speight (da “The Lone Hand”, 1 maggio 1916)

La Vampire Dance, dunque, aveva varcato i continenti, ma a poco a poco perdeva le sue attrattive, abdicando in favore delle vamp cinematografiche. Ciò non toglie che anche in America il fenomeno proseguisse con vari interpreti. Si ha notizia, ad esempio, di una Vampire Dance con Mae Murray, in procinto di diventare una star del cinema muto, sotto la guida di Julian Mitchell, nome di punta delle Ziegfeld’s Follies e già vittima della vampira Louise Alexander nelle rappresentazioni del 1910. Nel 1919 Vera Michelena, che nove anni prima era stata partner di Joseph C. Smith nello stesso ballo, si esibisce in una Vampire Dance con Fred Hillebrand nel musical Take It From Me. Lei interpreta una regina del cinema che seduce un giovanotto, come le “vampire” del grande schermo. Sono gli ultimi fuochi della “danza della vampira”, soppiantata dal cinema e dalle sue vamp dopo il successo di Theda Bara. Qualche spettacolo di varietà continuò a presentare la Vampire Dance, fino all’ultima propaggine negli anni Cinquanta come intrattenimento nei locali, spesso ridotta alla sola protagonista femminile in abiti succinti.

Vera Michelena “vampira” in Take It From Me (1919)

Due “vere” vampire

Due interpreti della vampire dance nei teatri di inizio Novecento si sono rivelate molto simili, per certi aspetti, al personaggio della Vampira che interpretavano nei balletti. Sono Louise Alexander e Teddie Gerard, entrambe note come “vampire” delle danze da vaudeville.

Esattamente un anno dopo la sua vampire dance con Joseph C. Smith, nel giugno 1910 Louise Alexander è in Ziegfeld’s Follies of 1910, dove il balletto ha titolo A Fool There Was, richiamando esplicitamente tanto la poesia di Kipling quanto lo spettacolo teatrale di Browne. Il partner della Alexander è Julian Mitchell che già aveva curato le coreografie per le danze di Louise in Miss Innocence, a Chicago.

La Alexander, vero nome Jeanne L. Spaulding, si era sposata nel 1908 con Lewis Strang, celebre pilota automobilistico, promettendogli di lasciare il palcoscenico. Ovviamente la promessa non fu mantenuta e Louise si dedicò alla vampire dance. Ne seguì la separazione, ma soprattutto un evento giudiziario che nel 1910 occupò varie pagine di cronaca sui giornali. La moglie di Julian Mitchell, anche lei ballerina, aveva chiesto il divorzio e in tribunale fece il nome proprio della Alexander come una delle amanti di suo marito. La stampa non perse la ghiotta occasione di ricordare l’identificazione tra la Alexander e la Vampira.

Pochi mesi dopo, nel 1911, Strang muore in un incidente stradale che il gossip interpretò come suicidio. Insomma, la vampira Louise aveva distrutto il matrimonio del suo partner sulla scena (anche se in seguito Mitchell e la moglie si riappacificarono) e il suo ex marito era andato incontro a una fine tragica.

Louise Alexander (da “Minneapolis Star-Tribune”, 17 luglio 1910)

Ancora più vampiresca la biografia di Teddie Gerard, nata in Argentina nel 1892. Si chiamava in realtà Thérése Théodora Gerard Cabrié e diventò nota sulle scene anche come Teddy Gerard, Terrie Gerrard, Theodora Gerard o Girard. Negli anni della sua popolarità nei teatri era soprannominata “La Belle Théodora” a Parigi e “Teddie the Great” a Londra.

Da giovanissima, come racconta Alva Johnston (The Legendary Mizners, Farrar, Straus and Young, New York 1953), era entrata nelle grazie dei commediografi George Bronson-Howard e Wilson Mizner, oltre che di un innominato scrittore di famosi polizieschi. I tre pigmalioni “istruirono la ragazza, ne corressero la dizione, ne raffinarono la personalità e la avviarono alla carriera teatrale”. Mizner e Bronson-Howard, con la passione per l’oppio, la incaricavano di preparare la sostanza per poterla fumare. Quando la ragazza lasciò il trio di uomini per calcare le scene, Bronson-Howard non prese bene l’abbandono. Nell’agosto 1909, mentre l’attrice era impegnata a Broadway nella commedia musicale Havana, Bronson-Howard si presentò a casa sua per riprendersi un anello con diamante che le aveva regalato e la minacciò con un coltello. Per tutta risposta, Teddie lo fece arrestare. Quando Bronson-Howard fu perquisito alla stazione di polizia si scoprì che nascondeva un lungo pugnale: lui sostenne che era di Teddie e che lo aveva preso perché l’attrice minacciava di usarlo per uccidersi. Mizner pagò la cauzione e Bronson-Howard tornò libero.

Al processo, Miss Gerard si presentò in tribunale con un vestito da sera nero ornato di piume e una preziosa collana di diamanti con pendant a forma di cuore, senza però riuscire a convincere i giudici. Bronson-Howard fu scagionato per il furto dell’anello, ma le sue disavventure non finirono. Restò sotto accusa per il coltello che portava con sé al momento dell’arresto e nel maggio 1910 fu nuovamente arrestato a Baltimora per decadenza della cauzione. Inoltre per vendicarsi del giudice aveva dato lo stesso nome del magistrato a un personaggio negativo di un suo romanzo, ottenendo così una querela. Caduto in depressione durante la Prima guerra mondiale, Bronson-Howard nel 1922 si uccide con il gas.

Teddie, invece, dopo la vicenda giudiziaria proseguì la sua carriera, interpretando la Vampire Dance a Parigi nel novembre 1909. Proprio nei giorni in cui ballava la danza della vampira, una sera da Maxim’s si sentì disturbata dagli sguardi di un russo e gli spaccò un bicchiere in faccia.

Teddie Gerard in posa da donna fatale e un articolo del “Los Angeles Times” (15 luglio 1912)

Nel 1910. a Londra, Teddie Gerard diventò amante dell’estroso milionario Edward Russell Thomas e quando l’anno dopo tornò in America sostenne nelle interviste di essere stata “la prima a presentare la Vampire Dance che appassionò l’Europa diversi mesi fa” (“The New York Press”, 6 marzo 1911). La attendeva però una vicenda quasi identica a quella che coinvolse Louise Alexander: nel 1912 la moglie di Thomas chiese il divorzio puntando il dito sulla “vampira” che a suo dire aveva distrutto il loro matrimonio. I giornali potevano così replicare, come per la Alexander, gli accostamenti tra il personaggio vampiresco sulla scena e la realtà: Il milionario, la moglie e la ballerina “vampira” titolò ad esempio “The Evening World” (20 marzo 1912).

Negli anni successivi la Gerard fu una star minore di Broadway, molto seguita dalla stampa scandalistica per le innumerevoli avventure amorose con aristocratici russi, ungheresi e britannici. Teddie Gerard recitò anche nel cinema muto ed ebbe l’opportunità di apparire con Boris Karloff in The Cave Girl (1921), nel ruolo del titolo.  Ancora nel 1926 rallegrava i party più chic, tra alcol e battute salaci, come ricorda nei suoi diari il grande fotografo Cecil Beaton (The Wandering Years: 1922-39, Weidenfeld & Nicolson, London 1961).

ALLE FONTI DEL VAMPIRO MODERNO / 3

Porter Emerson Browne: la Vampira a teatro

Il quadro di Philip Burne-Jones The Vampire e la poesia omonima di Rudyard Kipling dovevano rinfocolare la loro popolarità nel 1909, grazie a uno spettacolo teatrale e a un romanzo, entrambi firmati dall’americano Porter Emerson Browne (ma come vedremo in articoli successivi, grazie anche a dei balletti e al cinema). Con l’arrivo a teatro, la figura della Vampira si concretizza per la prima volta davanti agli occhi del pubblico, accanto alla visione del decadimento fisico e morale delle sue vittime.

Nel 1907 l’attore Robert Hilliard, all’epoca idolo del teatro popolare, alto, soprannominato “Handsome Rob” (Rob il bello) e noto per la voce baritonale, propone a Porter Emerson Browne, giornalista ventottenne e aspirante scrittore, di creare un testo teatrale ispirato al quadro di Burne-Jones e alla poesia di Kipling. Nasce così A Fool There Was, con un titolo che riprende alla lettera l’incipit della poesia The Vampire.

Agente di borsa prima di diventare attore, Hilliard si impegna finanziariamente nel progetto e si accorda con il produttore Frederic Thompson, esperto di spettacoli a sensazione, creatore dei primi parchi dei divertimenti. A Fool There Was diventa così un evento destinato a grande successo di pubblico. Il 18 e 19 marzo 1909 va in scena all’Harmanus Bleecker Hall di Albany, poi seguono altre tappe nel New England fino all’esordio newyorchese, al Liberty Theatre, il 24 marzo. Le repliche a Broadway continueranno ininterrottamente fino a giugno, con un centinaio di rappresentazioni.

Foto da un opuscolo promozionale per A Fool There Was

Il testo teatrale in tre atti di due scene ciascuno non risulta conservato, ma è possibile ricostruirne i passaggi fondamentali grazie alle recensioni di allora. I nomi degli interpreti, qui di seguito, sono quelli delle prime rappresentazioni del 1909, poi in gran parte sostituiti da altri attori e attrici negli allestimenti successivi.

Primo atto, prima scena. John Schuyler (Robert Hilliard), un americano benestante in carriera diplomatica e con una famiglia felice, comunica alla moglie (Nannette Comstock) e alla figlioletta (Emily Wurster) che sta per partire: resterà lontano un mese per un’importante missione su incarico governativo.

Seconda scena. Sulla nave che deve portare Schuyler in missione. A bordo sale una donna (Katherine Kaelred), la Vampira, bella ed elegante, con un bouquet di rose. “Una donna bellissima, alta, flessuosa e languida, con le labbra rosse e i fianchi snelli che si muove ondeggiando come un serpente” (“Newark Evening Star”, 21 gennaio 1911). La donna è avvicinata da un giovane emaciato e nervoso, Parmalee (Howard Hull), che litiga con lei e la minaccia con una pistola. La vampira sorride e gli dice dolcemente: “Baciami, stupido mio”. Il giovane si punta la pistola alla testa e si spara. Appena il corpo è portato via, la Vampira si siede soddisfatta su una sdraio nello stesso punto dove il giovane è morto. Entra in scena Schuyler, accompagnato dai suoi familiari e dall’amico Tom (William Courtleigh) che vogliono salutarlo prima della partenza. In quel momento Schuyler nota la Vampira e ne è subito talmente attratto che non dà alcun peso alla notizia del suicidio di un giovane a bordo, limitandosi a sorridere recitando a Tom dei versi dalla poesia di Kipling. Quando i familiari lasciano la nave, la Vampira avvicina Schuyler e lo seduce.

Secondo atto, prima scena. Nel roseto della loro casa la signora Schuyler soffre per l’assenza del coniuge, ma sua sorella e Tom hanno appreso da una lettera che l’uomo ha rinunciato al suo incarico politico ed è in viaggio con la Vampira. Seconda scena, nella biblioteca della casa dove ora Schuyler vive da solo, lasciato dalla moglie, un mese dopo. Beve, è angosciato. L’amico Tom (che ama segretamente la moglie di Schuyler) lo scongiura di lasciare l’amante. Schuyler fa un tentativo di separarsi dalla Vampira, ma lei lo persuade del contrario ripetendo anche a lui “Baciami, stupido mio”.

Terzo atto. Un anno dopo, sempre nella biblioteca. Disordine, specchi rotti, bottiglie e bicchieri dappertutto. Tom fa un ultimo tentativo per riportare Schuyler alla ragione, ma lo trova in stato confusionale convinto di vedere le precedenti vittime della Vampira e di parlare con loro. Tom cerca invano di scuoterlo, arrivando a picchiarlo. Gli getta un bicchiere d’acqua in faccia e Schuyler si riprende, piange e sotto gli occhi di moglie e figlia promette di rompere con l’amante. Schuyler si sta apprestando a tornare dalla sua famiglia, quando la Vampira gli comunica che è stanca di lui e vuole lasciarlo. “Prima che ci separiamo, baciami, stupido mio!”, gli dice. Furioso, Schuyler tenta di strangolarla, ma è colto da malore e muore. Lei si ricompone e ridendo lascia cadere petali di rosa sul corpo di Schuyler. Sipario.

La coreografia dell’ultima scena era studiata per evocare il quadro di Burne-Jones, con la vampira vittoriosa che incombe sul cadavere dell’uomo. Niente lieto fine, la donna fatale e trasgressiva trionfa.

Pubblicità per lo spettacolo A Fool There Was

Browne dà un’identità al “fool” della poesia di Kipling. Ne fa un uomo d’affari e diplomatico, al servizio addirittura del Presidente americano. Il tema del maschio vulnerabile ai richiami della carne, tanto da farsi dissanguare economicamente e distruggere fisicamente da una Vampira, aveva ancora grande presa sul pubblico e al successo di A Fool There Was contribuì la sontuosa messa in scena. Il produttore Thompson aveva investito su scenografie che lasciavano incantato il pubblico, come la ricostruzione della nave, con una folla di comparse, o il giardino di casa Schuyler. Per le rappresentazioni serali faceva arrivare in teatro centinaia di rose rosse e agli spettatori era consegnata insieme al programma una copia della poesia di Kipling, con la riproduzione del quadro di Burne-Jones. Le rose rosse erano un tratto distintivo della Vampira: le ha con sé sulla nave, ne lascia cadere i petali sulla sua vittima, come gocce di sangue. La Vampira spiega nel corso della rappresentazione che ci sono due tipi di amore: uno come la rosa bianca, pallida e fredda, l’altro come la rosa rossa.

Gli interpreti si rivelavano ben scelti. A parte Hilliard, già famoso e ammirato, fa scalpore l’attrice inglese Katharine Kaelred nel ruolo della Vampira (che non è mai indicata con un nome proprio). Anche se i giornali prestarono maggiore attenzione al protagonista principale interpretato da Hilliard, non mancarono le lodi per la Kaelred, prima incarnazione di quella Vampira che prenderà poi il volto di numerose attrici sullo schermo cinematografico. Nelle recite newyorchesi si fa notare anche la breve apparizione di Howard Hull nella parte del giovane che si uccide a causa della Vampira. Per la cronaca, l’attore era fratello di Henry Hull, futuro licantropo in Werewolf of London (Il segreto del Tibet, 1935).

Il quadro di Burne-Jones e la poesia di Kipling utilizzati per pubblicizzare lo spettacolo teatrale

A Fool There Was ottenne gli apprezzamenti del “New York Times” e di gran parte della critica, con importanti eccezioni come “The Evening Post” (25 marzo 1909) che lo stronca senza appello, definendolo “fallimentare” e sciorinando una serie di definizioni negative: “sensazionalista”, “stravagante”, “zuccheroso”, “imitativo”, fino a un attacco diretto all’autore, al quale mancherebbe “l’ispirazione sia del pittore [Burne-Jones] che del poeta [Kipling]”.

Il pubblico, però, premiava A Fool There Was e dopo le rappresentazioni a New York iniziò un tour per gli Stati Uniti. Il cast cambia completamente, solo Hilliard mantiene il suo ruolo nello spettacolo. In particolare, la parte della Vampira va a Bernice Golden Henderson (morirà nel 1913, a trent’anni) e poi a Virginia Pearson, giovane attrice che in breve diventerà una diva del cinema muto girando una cinquantina di film. Dudley Glass su “The Atlanta Georgian and News” (24 novembre 1910) la definisce “perfetta” e loda “la stretta imitazione del dipinto di Burne-Jones con le labbra rosse e il viso mortalmente bianco, le forme flessuose da serpente e le sue rose rosse”.

Curiosamente, la Pearson apparirà nel primo film interpretato da Theda Bara, The Stain (1914). Proprio il regista di quel film, Frank Powell, prese in considerazione la Pearson per interpretare la Vampira nel film della Fox A Fool There Was, ruolo che poi andò a Theda Bara stessa. William Fox la scelse comunque come uno dei volti da affiancare a Theda Bara nelle tante pellicole che riproponevano storie incentrate sulle donne fatali. Nel 1925 la Pearson recita con Lon Chaney in The Phantom of the Opera nella parte di Carlotta, la cantante lirica che il Fantasma costringe ad abbandonare le scene per lasciare il posto alla sua amata Christine. Quando il film viene aggiornato con nuove riprese per una versione sonora, nel 1929, Virginia Pearson apparirà in alcune scene interpretando anche la madre di Carlotta. Nel corso degli anni Venti, però, la sua notorietà è in crisi, con il rapido declino delle vamp cinematografiche, le sue finanze tracollano e si riduce a vivere in una piccola stanza di hotel con il marito, l’attore Sheldon Lewis.

Due interpreti della Vampira a teatro, Katharine Kaelred e Virginia Pearson

Il successo di A Fool There Was prosegue per anni. Nel 1911 lo spettacolo è ancora tanto famoso da indurre una casa discografica a incidere un disco dove Hilliard legge The Vampire e declama altre battute dal testo teatrale di Browne. “The Washington Herald” salutava A Fool There Was come “opera audace e realistica che ha scosso i newyorchesi dal loro quaresimale letargo come una improvvisa esplosione di dinamite teatrale” (12 febbraio 1911).

Nello stesso anno un giornale chiese a Robert Hilliard se donne come la Vampira del suo spettacolo, oltre che delle opere di Burne-Jones e Kipling, esistessero davvero nel mondo reale. “Ce ne sono molte”, rispose l’attore. “Donne strane che portano distruzione a qualsiasi cosa tocchino, donne che non sono bellissime (molte di loro sono insignificanti), ma che possiedono una forza di attrazione che non manca mai di incantare ovunque si diriga. Questa forza è qualcosa di impossibile da analizzare, ma può portare un uomo, per tutta la vita indifferente o insensibile di fronte alle donne più belle, a un brivido improvviso quando gli presentano determinate donne, un brivido che lo cattura e lo scuote come un terrier fa con un topo, senza lasciarlo mai fino a che la vita e i sensi sono stravolti, lasciandolo inerme, troppo tardi consapevole della propria stupidità”.

Per rafforzare le sue tesi, Hilliard citava il caso di un illustre magistrato impegnato in politica, portato alla rovina da una vampira e morto in miseria, aggiungendo: “Non credo che le donne vampiro siano delle mercenarie: non sono mai sazie d’amore. Devono possedere completamente un uomo. Poi all’improvviso, e probabilmente senza sapere perché, se ne stancano. Non amano più quell’uomo, ma la loro natura richiede amore e così ne cercano un altro… e la storia si ripete continuamente. In altre parole, la donna nota comunemente come vampira è semplicemente una versione al femminile dell’uomo di mondo” (Bob” Hilliard Tells of Vampires in Real Life, “Buffalo Evening News”, 13 marzo 1911).

Nel 1912 Hilliard è sostituito nelle recite di A Fool There Was da William L. Gibson, mentre il ruolo della Vampira va a Elsie Jane Wilson, destinata a diventare una prolifica regista e sceneggiatrice. Per un singolare sovrapporsi di rimandi tra le attrici che interpretarono la Vampira, la neozelandese Wilson era moglie del suo conterraneo Rupert Julian, in seguito regista del già citato The Phantom of the Opera. Nel 1916 Julian aveva dato alla moglie una parte da “vampira”, una donna libertina e assassina, nel suo film The Evil Women Do.

Due copertine per la canzone A Fool There Was (1913). A sinistra, negli ovali l’attore Robert Hilliard nel primo atto dello spettacolo teatrale e nel terzo, quando il personaggio è rovinato dalla Vampira

Un altro indice della duratura popolarità di A Fool There Was si ha nel 1913, quando esce una canzone dallo stesso titolo, con testo di Alexander Dubin e musica di Gustav Benkhart “dalla poesia The Vampire di Rudyard Kipling”. Le prime parole sono significative: “Una volta un poeta scrisse dei versi ed emozionò il mondo con una verità”. L’omaggio a Kipling prosegue nella descrizione del giovane che a causa di una donna rimane con “il cuore freddo e morto”. Sulla copertina dello spartito, pubblicato contemporaneamente a Filadelfia, Londra e Sydney, non mancava il riferimento al “grande successo di Robert Hilliard”. Il 78 giri della canzone aveva la voce del tenore De Los Becker. La canzone si può ascoltare a questo link: A Fool There Was.

Come spesso accade con i vampiri (la diatriba Polidori-Byron, il sequestro di Nosferatu, ecc.) i diritti d’autore furono oggetto di contese. Nel novembre 1911 Browne accusa di plagio William Schilling che aveva scritto una commedia intitolata The Vampire Fool, sostenendo che aveva “rubato” intere parti del secondo e terzo atto di A Fool There Was. Da parte sua Hilliard nel marzo 1915 porta in tribunale una ditta cinematografica che voleva produrre un film dal titolo A Fool There Was e a luglio dello stesso anno fa causa alla Fox per aver distribuito il film con Theda Bara prima della data stabilita dal loro accordo.

In quel 1915, tuttavia, la parabola ascendente dello spettacolo teatrale di Browne e Hilliard si stava concludendo. Il suo successo si era esteso ai balletti da vaudeville, come vedremo nel prossimo articolo, ma soprattutto il cinema prendeva il posto del teatro, con una serie di pellicole che culminano nel film ovviamente intitolato A Fool There Was con Theda Bara.

Cartolina postale del 1910

Il romanzo di Porter Emerson Browne

Visto il grande successo a Broadway di A Fool There Was, Browne aveva subito trasposto in romanzo il suo testo teatrale, con lo stesso titolo. La prima edizione è pubblicata nel 1909 da The H.K. Fly Company di New York, con illustrazioni a colori di Edmund Magrath e a inchiostro di W.W. Fawcett, presto ristampato da Grosset & Dunlap. Il libro porta in copertina una riproduzione del quadro di Burne-Jones ed è dedicato a Robert Hilliard, vero promotore della saga sulla vampira. Browne rivendica anche l’ispirazione a The Vampire di Kipling, ponendo in epigrafe la prima strofa della poesia che viene poi citata espressamente nel corso del romanzo. Come nel testo teatrale, l’amico Tom, sulla nave dove si è appena ucciso il giovane Parmalee, chiede a Schuyler se ha letto la poesia di Kipling e lui risponde: “Beh, sì, ovviamente. Quasi tutti l’anno letta”. Poi ne recita i primi versi.

Il romanzo ripropone con uno stile verboso le stesse situazioni melodrammatiche dello spettacolo a teatro, ma aggiungendo molti dettagli sulla biografia della Vampira e sviluppando il riferimento moralistico a opinioni molto presenti nella cultura dominante dell’epoca. Si delinea ulteriormente la connotazione “di classe” dei personaggi. John Schuyler, padre modello, erede di una stirpe virtuosa anglo-olandese, cresciuto nella Fifth Avenue di New York, è esponente della “classe dominante”, ricco, di successo e ovviamente bianco. La Vampira, invece, è di povera estrazione, provenendo da un villaggio della Bretagna, tra contadini quasi animaleschi. Lei è figlia illegittima di un aristocratico francese e di una povera donna bretone che muore dopo averla data alla luce. Il padre, pur abbandonandola cinicamente, decide di scegliere il nome per la figlia: Rien (niente). L’uomo finirà male: anni dopo torna alla misera casa della figlia e lei lo fissa negli occhi, facendolo arretrare su un precipizio fino a che cade nel vuoto.

La copertina dell’edizione Grosset & Dunlap e una delle immagini all’interno

Può sembrare assurdo ai nostri occhi attuali, ma il romanzo indicava delle ragioni genetiche per il vampirismo. La povertà era considerata un segno di inferiorità e i poveri potevano essere indicati come parassiti, quindi vampiri. La Vampira, in quanto figlia del rapporto tra una povera bretone e un nobile francese, aveva genitori europei ma “latini”, diversi dal filone genetico anglo-olandese rivendicato dagli americani dell’epoca come loro ascendenza. Era dunque frutto dell’unione tra poveri, tali per la loro inferiorità, e aristocratici, decaduti a causa del vizio: il contrario dei borghesi benestanti che si ritenevano geneticamente privilegiati e mossi da rettitudine morale per guidare gli Stati Uniti. Cedendo alle attrazioni sessuali della Vampira, Schuyler indebolisce anche il suo rigore morale. Bram Dijkstra (Evil Sisters, Alfred A. Knopf, New York 1996) segnala che il disordine e la sporcizia in cui viveva la madre della vampira è analogo a quello in cui finisce a vivere Schuyler nella sua abitazione dopo essere caduto nelle grinfie della donna fatale.

La Vampira è bianca, ma viene da un mondo contadino sordido, dai bassifondi. Socialmente meticcia, incrocio tra un nobile e una contadina, si eleva a donna borghese, colta e bella, per esercitare il suo potere ipnotico sugli uomini. Come scrive ancora Dijkstra, per Browne la Vampira fa parte della schiera di donne “strisciate fuori dalla peggior feccia della peggior specie di umanità per infettare il mondo ariano con la loro lussuria”. Browne rendeva universale quella minaccia, indicandola in apertura del romanzo come valida anche nei millenni passati

In A Fool There Was non ci sono mai accenni a possibili caratteristiche soprannaturali della Vampira. Però le condizioni fisiche di Schuyler sono molto simili a quelle delle vittime di un vampiro soprannaturale: prosciugato, ridotto a una larva, Schuyler dice che quella donna “gli succhia il cervello”. Si ciba della sua salute e più lui si indebolisce (“Il sangue mi si è trasformato in acqua e le mie ossa in gesso! Il mio cervello si è avvizzito!”), più lei diventa forte e florida.

A molti decenni dalla pubblicazione del libro di Browne, almeno due romanzi hanno utilizzato lo stesso titolo. Nel 1958 esce il “mystery” A Fool There Was (Crest Books, New York) di John Manson che aveva avuto una precedente edizione l’anno prima con il titolo It Is a Dream. La nuova versione puntava molto sul legame con la poesia di Kipling, riprodotta integralmente all’interno e richiamata in copertina. Narra la vita di un uomo stravolta dall’amore incondizionato per una ragazza, i cui “profondi occhi bruni lo avevano ipnotizzato” sin dal primo incontro. Nel 2009, poi, i versi della poesia di Kipling aiutano la poliziotta Sukey Reynolds, creata dalla scrittrice Betty Rowlands, a risolvere un caso in A Fool There Was (Severn House, London).

Copertina del romanzo del 1958 con i versi di Kipling

LA VAMPIRA DI MARRAKESH

Questa è la storia di un bizzarro cortometraggio “di vampiri” e del suo ancor più bizzarro regista, entrambi poco noti anche agli appassionati del genere. Il cortometraggio si intitola Quest of the Perfect Woman: The Vampire of Marrakesh, diretto e interpretato da Tom Terriss nel 1934. Per capire quanto sia curioso l’autore di quel corto basti anticipare, come vedremo tra poco, che Terris ha conosciuto di persona Bram Stoker, ha intervistato Bela Lugosi, ha lanciato la “danza dei vampiri”, portandola a teatro e sullo schermo, e sosteneva di aver presenziato all’apertura della tomba di Tutankhamen.

Tom Terriss

Prima di arrivare a The Vampire of Marrakesh è quindi utile fare la conoscenza con Tom Terris, per decenni famosissimo soprattutto in America e oggi dimenticato.

La sua vita è quanto meno romanzesca. Nato a Londra nel 1872, era figlio di William Terriss, celebre attore scespiriano che ha fatto parte della compagnia di Henry Irving al londinese Lyceum Theatre. Sì, si tratta proprio della compagnia per la quale lavorava come manager Bram Stoker, l’autore di Dracula.

La sua fantasiosa biografia vuole che Tom da giovanissimo abbia studiato a Oxford, sia stato apprendista marinaio, allevatore di pecore in Australia, minatore nel Colorado, rimanendo intrappolato in una tormenta sulle Montagne Rocciose dove i riflessi della neve gli danneggiarono permanentemente la vista, e impiegato alla Borsa di Londra (così si legge, ad esempio, in John Parker, The New Dramatic List. Who’s Who in the Theatre, Small, Maynard and Company, Boston 1914). Seguendo le orme del padre, nel 1890 fa il suo esordio teatrale nella parte di Osric in Amleto, al Globe Theatre di Londra, poi per tre anni recita al Theatre Royal. Nel 1897, però, nella sua vita irrompe una tragedia: il padre è ucciso a coltellate da un pazzo, in un episodio che colpì molto l’opinione pubblica. Per decenni, dopo il delitto, si è vociferato che il fantasma di William Terriss apparisse nella stazione della metropolitana di Covent Garden e all’Adelphi Theatre.

L’amico di Bram Stoker

Il padre di Tom Terriss è un personaggio molto interessante. Dopo aver cercato fortuna alle isole Falkland come allevatore si era dedicato al teatro, diventando uno degli attori principali che lavoravano con Irving e di fatto il “numero due” del Lyceum. William Terriss era forse l’unico che si poteva permettere di dare consigli a Irving, uomo notoriamente dal carattere molto forte. Irving aveva tale stima di Terriss che gli consegnò un reperto storico in suo possesso, la spada impugnata dal grande attore inglese Edmund Kean nella messa in scena del Riccardo III nel 1814, a lui tramandata. Irving e Terriss insieme furono ricevuti dalla Regina. Una volta, Stoker chiese a Terriss di sostituire per il Re Lear il grande Irving in persona, a letto con l’influenza, ma William rifiutò quel compito troppo impegnativo. Terriss suscitò anche l’interesse della figlia di Karl Marx, Eleanor. Nei suoi articoli sul teatro per la rivista “Time” si leggono molte parole di apprezzamento di Eleanor Marx per Terriss (e si scopre anche un accenno a Bram Stoker, da lei definito “il principe dei manager teatrali”).

William Terriss dichiarava di possedere misteriosi poteri ipnotici che mise alla prova in presenza di Stoker, inscenando una fittizia seduta di ipnosi con la complicità della giovane attrice Jessie Millward, sua partner a teatro e nella vita privata.

Lasciato il Lyceum, Terriss divenne l’attore di punta dell’Adelphi Theatre di Covent Garden, continuando una prestigiosa carriera. Ed è proprio uscendo dall’Adelphi che troverà la morte, il 16 dicembre 1897: un uomo lo colpisce al cuore e alla schiena con un coltello da macellaio. A ucciderlo è un altro attore, Richard Archer Prince, convinto che Terriss ostacolasse la sua sfortunata attività sui palcoscenici. Prince aveva recitato in piccoli ruoli sulle scene britanniche, ma si trovava in miseria ed era noto nell’ambiente teatrale come “Mad Archer” per il suo comportamento folle, tra accessi di rabbia, dedizione all’alcol e dichiarazioni deliranti (sosteneva spesso di essere Gesù Cristo). È curioso che quel personaggio inquietante, ben conosciuto sicuramente da Stoker, si chiamasse Archer, cognome molto simile all’Harker protagonista del romanzo Dracula.

L’assassino fu catturato subito e sfuggì al linciaggio. Irving e Stoker si recarono a porgere personalmente le loro condoglianze sia alla vedova che all’amante del defunto, Jessie.

L’assassinio di William Terriss in un’illustrazione dell’epoca

Il delitto fece molto scalpore e il figlio della vittima, il nostro Tom Terriss (con il vero nome Thomas Lewin), sarà chiamato a testimoniare al processo. Per Archer si aprirono le porte del manicomio criminale, dove durante la detenzione allestiva spettacoli teatrali e musicali.

Della vicenda Stoker tornò a occuparsi un paio d’anni dopo, perché l’assassino inviò dal manicomio una lettera a Irving che secondo i giornali conteneva minacce di morte (giurava che, appena rilasciato, per prima cosa avrebbe ucciso Irving). Stoker precisò al quotidiano scozzese “The Dundee Courier” (6 aprile 1899), interessato alla vicenda perché l’assassino era nato proprio a Dundee, che la lettera era piena di accuse al mondo teatrale, senza però contenere minacce di morte nei confronti di Irving.

I nomi di William Terriss e Bram Stoker erano quindi strettamente legati, in quella fine del secolo. L’anno dopo la morte di Terriss, inoltre, una sua biografia fu pubblicata dallo stesso editore del Dracula di Stoker, Constable. I due erano considerati “amici”, ma le poche citazioni del nome di Terriss nei libri scritti da Stoker non sono tutte lusinghiere (sui rapporti tra i due, vedi tra l’altro David J. Skal, Something in the Blood, Liveright, New York 2016). Nella corrispondenza di Stoker conservata alla Brotherton Library dell’Università di Leeds ci sono lettere del 1893 dove Terriss lamenta di essere stato sottopagato per un tour in America, accusando poi Stoker di averne messo al corrente Irving. L’attrice Jessie Millward nelle sue memorie (Myself and Others, Hutchinson, London 1923) ricorda che proprio durante quel tour furono Terriss e Stoker a convincere la polizia di New York al rilascio di un membro della compagnia, arrestato per offese a pubblici ufficiali.

Il nesso tra Terriss e Stoker è stato anche preso a pretesto, nel 2004, per uno spettacolo dell’Equity Theatre di Tampa, in Florida: Sherlock and Shaw: The Adventure of the Missing Vampire Diaries di Aubrey Hampton. Nel testo teatrale si immagina che il corpo di Terriss fosse stato prosciugato dal sangue e che Bram Stoker avesse consegnato all’attore una copia del suo presunto manoscritto Vampire Diaries, sparito misteriosamente dopo il delitto.

La danza della vampira

Usufruendo dell’eredità ricevuta alla morte del padre, molto ricco grazie ai successi teatrali, Tom Terriss si dedica alla sua passione per i viaggi, scrivendo reportage, ma prosegue il lavoro di attore diventando noto per le messe in scena dei racconti e romanzi di Charles Dickens (era tra l’altro nipote del prestigioso storico George Grote che conosceva Dickens di persona), in particolare legandosi al personaggio di Ebenezer Scrooge dal racconto di fantasmi A Christmas Carol.

Nel 1909 Tom conosce una giovane ballerina e la sposa. Nata in America nel 1884, era stata una delle ragazze dei primi spettacoli di vaudeville Ziegfeld Follies. Per liberarsi del suo vero cognome, un troppo banale Smith, aveva scelto uno pseudonimo con almeno quattro varianti: Mildred De Vere, Devere, Deveres, Deverez.

Con quest’ultimo pseudonimo, Deverez, insieme al marito si appassiona a un tema molto in voga all’inizio del nuovo secolo: i vampiri, o meglio “la” vampira, intesa come donna fatale che porta alla distruzione il maschio, depredandolo di beni ed energia. Non tanto i vampiri soprannaturali del Dracula di Stoker, ma creature femminili portatrici di disastro che avevano ottenuto grande popolarità grazie a un quadro e a una poesia.

Il quadro era The Vampire di Philip Burne-Jones (figlio del più noto pittore preraffaellita Edward Burne-Jones) in mostra, proprio mentre usciva Dracula nelle librerie, durante la primavera 1897 alla New Gallery di Londra: una donna in sottoveste bianca, i lunghi capelli scuri sciolti, si erge predatrice su un uomo coricato, esanime (il dipinto è perduto, ma ne sopravvivono riproduzioni dell’epoca in bianco e nero). Nel catalogo della mostra era contenuta una poesia con lo stesso titolo del quadro, scritta dal cugino dell’artista, Rudyard Kipling: è il lamento misogino di un uomo che si sente devastato da una donna spietata. Quadro e poesia avevano poi dato origine nel 1906 a un testo teatrale di Porter Emerson Browne intitolato con le stesse parole con cui iniziava la poesia di Kipling, A Fool There Was, e dall’autore trasposto in forma di romanzo nel 1909. Browne immagina la storia che fa da premessa al quadro, narrando di un diplomatico portato alla rovina da una donna senza scrupoli (A Fool There Was, trasformato in film, nel 1915 lancerà la figura della “vamp” grazie all’interpretazione di Theda Bara).

Nel 1909 lo spettacolo teatrale di Browne ebbe il massimo successo e anche la “danza della vampira” era diventata popolare in quell’anno, grazie a un breve balletto ispirato al quadro di Burne-Jones, intitolato The Vampire e rappresentato nel luglio 1909 a New York da Alice Eis e Bert French (della “Vampire Dance” nell’immaginario durante il passaggio tra Ottocento e Novecento ci occuperemo specificamente in un successivo articolo).

Tom Terriss e Mildred Deverez decisero di replicare quel successo con un loro balletto per il vaudeville ispirato a sua volta alla figura della donna vampiro. Il 29 novembre 1909, così, si verifica a Londra una sfida tra due “danze di vampiri”. Quel giorno esordiscono contemporaneamente sulle scene londinesi la “Vampire Dance”di Eis e French, all’Hippodrome, e quella di Mildred Deverez e Tom Terriss al Tivoli.

Una pagina di “The Sketch” dedicato alla danza vampiresca di Terriss-Deverez

Il ballo di Deverez e Terriss può essere immaginato in base alle descrizioni della stampa di allora (ad esempio su “Auckland Star”, 5 febbraio 1910, e “Wairarapa Daily Times”, 4 maggio 1910). All’alzarsi del sipario si vede una donna (Deverez) appoggiata a una colonna, il corpo avvolto in un velo rosso semi-trasparente. Lentamente si toglie il velo, mentre una voce melodiosa declama la poesia di Rudyard Kipling. Tolto il velo si scopre una donna bellissima dai lunghi capelli rossi, in abito quattrocentesco. Inizia a danzare, sensuale, quando entra in scena un giovane pittore (Terriss) che si siede meditando su una sua opera. La vampira lo vede e corre silenziosa lungo il palcoscenico “come una pantera verso la sua vittima”. Il ballo tentatore affascina l’uomo che però tenta di distrarsi ricominciando a lavorare sui suoi schizzi. Lei lo attrae nuovamente a sé con i suoi poteri ipnotici e lui resiste, poi lentamente torna da lei. Con la sua danza che si fa più selvaggia lei lo soggioga, l’artista tenta di allontanarsi, ma poi bacia la donna sulle labbra e cade inerme ai pedi della vampira che lo morde alla gola. Il giovane rotola lungo una scala, morto. Lei ride e balla, in attesa di un’altra vittima. Il momento del morso fatale era illuminato da una luce verde, proprio come accadrà un ventennio dopo con le rappresentazioni teatrali di Dracula interpretate da Bela Lugosi.

Il duplice balletto sulle vampire di quel novembre 1909 fece scalpore e Mildred Deverez da allora continuò a proporre delle variazioni sulla sua “Vampire Dance” sia in America che in Europa, prima di ritirarsi dalle scene negli anni Venti. In The Poison Kiss, pantomima ambientata in una Venezia del Cinquecento e rappresentata nel 1911, la Deverez è Lucrezia, decisa a vendicare la morte della sorella, causata dallo spregiudicato Giovanni, mettendosi del veleno sulle labbra e scoccando un bacio micidiale. Un anno dopo la Deverez è ancora una femme fatale in The Love Dream, dove un ufficiale della marina è sedotto alle Hawaii dalle danze di una donna del luogo. Sta per rinunciare a tornare sulla sua nave, poi riesce a trovare la forza di liberarsi dall’incanto della donna. In questo caso, come in Madama Butterfly, è la donna a morire, piantandosi un coltello nel cuore.

Dopo aver lanciato la “danza della vampira” nelle sale britanniche, Tom Terriss decide di lasciare l’Inghilterra e porta in America e Canada i suoi spettacoli ispirati a Dickens. Con l’avvento del cinema si trasferisce a New York e diventa regista, dirigendo The Chimes (1914), ancora tratto da Dickens, e poi oltre 40 film d’avventura, romantici e drammatici (in alcune delle sue prime pellicole fece recitare anche la figlia di quattro anni Millie). Nel 1915 progetta una sua casa produttrice, due anni dopo ottiene la cittadinanza americana. Come attore appare tra l’altro accanto a Charles Chaplin in Sunnyside (Charlot in campagna, 1919). La “danza della vampira” rimarrà un dato caratterizzante dell’attività di Terriss, anche al cinema. Nel 1915, infatti, unisce l’esotismo al vampirismo femminile, dirigendo il film Flame of Passion, ambientato in Giamaica: una donna fatale del luogo porta al disastro un ricco americano. Una foto superstite del film evoca chiaramente il quadro di Burne-Jones all’origine della “Vampire Dance”. Nella parte della vampira, tra l’altro, Terriss fa recitare sua sorella Ellaline, come lui famosa attrice di teatro e moglie di Seymour Hicks, autore teatrale e produttore.

Ellaline Terriss in Flame of Passion (1915)

Tom Terriss e Tutankhamen

Nel novembre 1922, secondo le sue dichiarazioni, Terriss vive un’esperienza eccezionale: assiste all’apertura della tomba di Tutankhamen con la squadra di Lord Carnarvon. Terriss era in Egitto in quei giorni, impegnato a preparare il film di produzione britannica Fires of Fate (uscirà nel 1923 e un anno dopo negli USA con il titolo The Desert Sheik), tratto dal romanzo di Arthur Conan Doyle La tragedia del Korosko (The Tragedy of the Korosko, 1898) che racconta le vicissitudini di alcuni turisti in viaggio sul Nilo presi prigionieri dai dervisci. Terriss ha sostenuto in differenti circostanze di essere stato invitato a quell’evento straordinario oppure di essersi “infiltrato” spacciandosi per giornalista (espediente strano, dato che c’era una rigida esclusiva a “The Times”), unendosi alle 15 persone, o 24 secondo alcune fonti, che presenziarono all’apertura della tomba (molti dettagli su Terriss e Tutankhamen si trovano in Matthew Coniam, Egyptomania Goes to the Movies, McFarland & Company, Jefferson 2017).

In un’intervista rilasciata alla regina del gossip cinematografico Louella Parsons (“Morning Telegraph”, 23 settembre 1923), Terriss raccontava le sue sensazioni: “Lo scavo della tomba è stata l’esperienza più emozionante che io abbia mai avuto. Il battere dei martelli sulle mura era una sorta di rumore soprannaturale che risuonava con forza nella silenziosa stanza dove non si diceva una parola. Eravamo in una grande camera che portava proprio al luogo di sepoltura di Re Tutankhamen. Ci aspettavamo di trovare un’altra stanza enorme. Al contrario il sarcofago era appoggiato in verticale al muro. Il freddo getto d’aria che seguì l’apertura del muro è stata l’esperienza più strana che io abbia mai vissuto. Era esattamente come se qualcuno ci avesse colpito la spina dorsale con un getto di acqua gelata”.

Non c’è nessuna conferma che il racconto sia vero, ma Terriss ha continuato a ripeterlo (fornendo varie versioni dell’episodio) per tutta la vita. Mancano riscontri, nessuno dei testimoni di quel giorno ha mai fatto il suo nome né esiste documentazione a riguardo. In un’occasione Terriss lasciò intendere che girò delle immagini dell’apertura della tomba, ma non ne esiste traccia.

Ovviamente anche Terriss doveva fare i conti con la cosiddetta “maledizione di Tutankhamen”. Si disse che era uno dei pochi sopravvissuti alla maledizione e lui stesso alludeva a una grave malattia che avrebbe contratto subito dopo aver partecipato all’apertura della tomba del re egizio. Sui giornali si arrivò a scrivere che Terriss era uno dei soli quattro superstiti, sfuggiti alla vendetta del faraone. Per sfruttare queste voci, nel 1934 Terriss tentò, senza esito, di realizzare un film sulla maledizione di Tutankhamen.

L’albo a fumetti Famous Funnies (1953) ricostruisce la storia di Terriss e Tutankhamen

La fatale marocchina

Arriviamo infine al cortometraggio The Vampire of Marrakesh che discende direttamente dall’attrazione per l’orientalismo e l’esotico maturata da Tom Terriss con l’esperienza egiziana. La vera popolarità Terriss la ottiene all’inizio degli anni Trenta, quando si specializza in “travelogue”, diari di viaggio filmati e conditi di fiction, girati con la sua troupe dotata di cinepresa e microfoni per immortalare le voci del nativi e le loro musiche. Dal 1927 aveva raccontato i suoi viaggi in giro per il mondo alla stazione radio KFI di Los Angeles e due anni dopo porta sugli schermi la stessa idea di fondo. Terriss da attore e regista del cinema muto si trasforma in esploratore, realizzando un’infinita serie di corti della durata di circa 10 minuti (una bobina), caratterizzati da una miscela di avventura esotica, commedia e accenni di nudo.

Noti come Vagabond Adventures, i filmati erano inizialmente prodotti e distribuiti con il sostegno della Pathé, e poi RKO, da Alfred T. Mannon e Amedee Van Beuren, pionieristico produttore di film, cortometraggi e cartoni animati (vedi Hal Erickson, A Van Beuren Production, McFarland & Company, Jefferson 2020). La formula era semplice: riprese di luoghi insoliti, inserti drammatizzati, una voce fuori campo. A volte Terriss appariva di persona, più spesso era la voce narrante. I corti uscivano ogni due settimane e in seguito una volta al mese. Alcune scene di pura fiction erano girate in California con attori professionisti da Elmer Clifton, già assistente alla regia di D.W. Griffith e caduto in disgrazia nel 1923 quando un’attrice era morta bruciata sul set di un suo film.

Nei cortometraggi di Terriss sono ricorrenti i riferimenti a leggende macabre, come in Glacier’s Secret (1931), dove si racconta di una donna rimasta intatta nel ghiaccio per quarant’anni, e nell’analogo The Frozen Bride (1946) imperniato su una leggenda svizzera relativa a una donna conservata perfettamente dai ghiacci per mezzo secolo. Gli intrecci tra i documentari di Terriss e l’immaginario nero non finiscono qui. A lui si deve un corto con la sua voce narrante girato per la RKO-Pathé, The Song of the Voodoo (1931), dove si assiste a una cerimonia voodoo nell’isola di Haiti. Secondo gli studiosi di cinema fantastico sarebbe il primo film in assoluto a occuparsi di voodoo, dato che anticipa White Zombie, la pellicola con Bela Lugosi uscita nel 1932. E a proposito dell’attore ungherese, Terriss nel 1931 ha intervistato Lugosi per il cinegiornale “Voice of Hollywood”, chiedendogli quale effetto abbia avuto su di lui recitare il ruolo di Dracula (l’attore rispose che lo considerava una sfida e si diceva molto lieto che si fosse conclusa, evidentemente ancora ignaro del suo imminente destino di identificazione totale con il personaggio). Durante il periodo d’oro della sua notorietà come “regista vagabondo”, Terriss progetta una serie di 13 cortometraggi, lo stesso numero di tante odierne serie tv, con il titolo Quest of the Perfect Woman (Alla ricerca della donna perfetta). Agli inizi del 1934 annunciava il completamento di due episodi, The Vampire of Marrakesh e The Veiled Dancer of El Oued. Del terzo episodio, North of Sahara, non si hanno notizie a parte che era ambientato in Etiopia e di certo la serie non ha poi avuto seguito. I primi due episodi sono tuttora disponibili e The Vampire of Marrakesh è apparso nel 2002 come extra nel DVD del film Doctor Gore della Something Weird.

I titoli di testa di The Vampire of Marrakesh indicavano come produzione la Hammer Pictures Inc. Forse siamo di fronte al primo film di vampiri della famosa casa produttrice britannica che realizzerà molti anni dopo Dracula il vampiro (Dracula, 1958) e una serie di indimenticabili pellicole gotiche? Pare proprio di no: il produttore Arthur Hammer, che si occupava dei cortometraggi avventurosi di Quest of the Perfect Woman, non ha nulla a che fare con l’azienda cinematografica che nasceva in Inghilterra nello stesso periodo. Non si tratta nemmeno di una versione ridotta del già citato Flame of Passion, come sostengono alcuni, dato che contiene sì temi simili, ma si svolge in tutt’altra ambientazione.

Una scritta in apertura di The Vampire of Marrakesh spiega: “Esiste la donna perfetta? Forse una tale rarità la si può trovare non dove la civilizzazione ha creato valori artificiali, ma nei paesi più primitivi dove la semplicità e la natura dominano supreme?”.

Tom Terriss e il suo amico Jimmy nella loro ricerca della donna perfetta si recano a Marrakesch, definita “barbaric city”. Dopo qualche ripresa di panorami marocchini, il giorno successivo all’arrivo Tom si presenta dall’amico con il viso stanco e racconta l’esperienza appena vissuta con quella che descrive come “la creatura del male”, una “vampira”.

Rielaborazione video della scena cruciale di The Vampire of Marrakesh

Un flashback mostra la sua avventura. Per introdursi in un edificio principesco, convinto che nasconda un harem, Tom entra di nascosto nel giardino del palazzo, dove una donna dai lunghi capelli scuri prende il sole nuda accanto a una piscina (il nome dell’attrice è ignoto). Lei lo vede: “I suoi occhi mi tentavano, invitandomi a seguirla”. Tom nel palazzo trova altre donne in succinti abiti orientali che lo osservano senza parlare. In un cortile, la donna che lo aveva attratto è adagiata su un divano e assiste a uno spettacolo di musica e danze. Tom si inginocchia e bacia la mano della donna (“I suoi occhi erano come fuoco opalescente”), che ha i seni scoperti e gli porge un bicchiere. “Dopo che ho bevuto la sua voce è diventata come il distante tintinnio di una campana d’argento”. Tom si risveglia in un’altra stanza e mentre riprende conoscenza la donna si avvicina a lui danzando, le gambe avvolte in un velo trasparente e i seni nudi coperti solo dai capelli corvini: “Ho capito dagli occhi e dai denti aguzzi tra le rosse labbra che ero alla mercé di una vampira”. La donna si china su di lui, coricato, in una sorta di rielaborazione del dipinto di Burne-Jones. Il flashback finisce e Tom racconta di essersi risvegliato in mezzo a una strada.

Una donna araba che porta sventura ritorna nel successivo episodio, The Veiled Dancer of El Oued, dove Terriss accresce lo stile “realistico”, da documentario: Tom e Jimmy parlano agli operatori, seguiti dalle cineprese della troupe. Il corto ripropone una femmina pericolosa, capace di affascinare gli occidentali e portare loro disgrazia, per quanto senza accenni al vampirismo. Tom Terriss e il suo amico Jimmy sono in Algeria. Tom è attratto da una seducente algerina che danza in strada a seno nudo. La fanciulla, però, si rivela anche in questo caso insidiosa, perché indica agli abitanti del luogo la troupe cinematografica così che possano rapinarla. Dopo l’aggressione, Tom e Jimmy finiscono in ospedale, accuditi da una bella infermiera (per altro molto simile alla ballerina di strada) che potrebbe forse essere la vera “donna perfetta”, finalmente individuata.

Concluso l’esperimento precocemente interrotto di Quest of the Perfect Woman, Tom Terriss continuerà la saga delle Vagabond Adventures con altre produzioni, fino alla metà degli anni Quaranta, portando il suo format anche alla radio della NBC e facendo apparizioni sul piccolo schermo all’alba della televisione. I suoi cortometraggi documentaristici in terre esotiche gli avevano portato la celebrità, quasi un anticipatore di odierni programmi come l’italiano Freedom. E si rese talmente noto al pubblico angloamericano appassionato di viaggi e avventure da diventare protagonista dei fumetti, fino agli inizi degli anni Cinquanta, con gli albi Tom Terriss the Vagabond Adventurer, nella collana Famous Funnies: in un episodio (n. 206, 1953) si ricostruisce la sua ipotetica partecipazione all’apertura della tomba di Tutankhamen e la relativa maledizione.

Tom Terriss è morto ultranovantenne nel 1964. Un mese prima era morta sua moglie Mildred, la vampira della danza.